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Suoni riflessi

Una playlist a cura di Fabio Bagnoli

A che cosa può dar vita un’intersezione tra l’insieme musicale, fatto di suoni, ritmi, melodie, partiture, e un insieme che gli è in qualche modo estraneo?
La musica, ma potremmo dire lo stesso per l’arte in generale, ha sempre guardato con curiosità a tutto ciò che, pur essendo diverso da lei, fosse in grado di arricchirla o trasformarla. Da questi incontri, incredibili intrecci, sono scaturite nuove forme sonore, a volte sorprendenti.
Potremmo ricorrere ad alcune suggestioni per farcene un’idea. Dunque iniziamo il viaggio.

1. Musica e teatro

Subito mi viene in mente il “recitar cantando”. Risalente al 1600, l’Euridice composta da Jacopo Peri sulle parole del poeta Ottavio Rinuccini è il primo esempio giunto fino a noi di una forma che vuole portare i suoni nel teatro.

Tuttavia, lascerò che a mostrarci la portata dell’incontro tra musica e teatro sia un estratto dall’Orfeo di Claudio Monteverdi, tradizionalmente considerato il padre del melodramma. Il nome di questa forma d’arte basta di per sé a rivelare l’intersezione che rappresenta e a rispondere, così, alla domanda che chiede che cosa abbiano in comune la musica, melos, e il teatro, drama.

2. Musica e parole

Sarebbe giusto considerare che, di per sé, il teatro è una mescolanza complessa di elementi: spesso e volentieri ha una storia da mostrare e vuole gesti e parole che sappiano raccontarla. Intrecciare musica e teatro, abitudine del melodramma successivamente ereditata dall’opera lirica, è dunque ogni volta scatenare l’incontro tra musica e azione, tra musica e parole.
Quando l’Opera si diffuse in Europa, diventando un fenomeno di massa, i compositori si ritrovarono a rinnovare di continuo la relazione tra parole e musica.
Talvolta diedero vita a prove di teatro musicale dove l’insieme della musica e quello delle parole avevano tanti elementi in comune da essere quasi coincidenti. È il caso del finale del Rigoletto di Giuseppe Verdi, a mio parere una delle prove di teatro musicale più alti che abbiamo.

Un frammento dal Pierrot Lunaire di A. Schönberg può esserci utile per capire come nello scorrere dei secoli il rapporto tra parole e musica si sia trasformato. Schönberg dà vita a una composizione in cui il confine tra il recitare ed il cantare è quasi parallelo, come se gli insiemi di musica e parole si sfiorassero appena, riducendo al minimo i punti in comune dell’intersezione.

3. Musica e significato

La musica ha voluto tentare intersezioni complesse. Rinunciando alle parole, ha voluto comunque provare a raccontare, a parlare; a intrecciarsi con l’insieme dei significati privati dei loro soliti significanti. Ci è riuscita? La storia della musica ci dice che sì, trasmettere un messaggio fatto di soli suoni è possibile…
Per farvene un’idea, ascoltare questo brano scritto dal grande compositore ungherese Gyorgy Kurtàg per una persona che non c’è più. Un solo oboe che suona una lettera… Una lettera da lontano ad Ursula.

4. Musica e immagini

Andiamo avanti per sottrazioni. Lasciate da parte le parole, anche la musica ora ci pare così scarna che a stento la riconosciamo come tale. Nel film di Sergio Leone C’era una volta il West, i primi 12 minuti sono contraddistinti unicamente da suoni in apparenza casuali. Ed è vero, non c’è una linea melodica riconoscibile, eppure un orecchio e uno sguardo attento non possono non riconoscere una composizione, una partitura studiata e realizzata fino al minimo dettaglio: cigolii di porte, voci della natura, eco meccaniche… Tutto è concepito e organizzato per raccontare, insieme alle immagini, il microcosmo del selvaggio West con una precisione che mille pagine di un saggio non sarebbero sufficienti ad illustrare.

5. Suono, parole e spazio

Da ultimo la musica, arte sonora, quasi rinuncia alla sua essenza e si rende inudibile. Diventa musica evocata, che, ancora una volta, quasi coincide con l’insieme delle parole. Sonorità narrate sotto forma di parole che disegnano e rendono visibile lo spazio, risultato di questa nuova e spericolata intersezione.
A esempio di quest’ultimo intreccio vi propongo il frammento di una lettera che il poeta Rainer Maria Rilke scrisse alla pianista Magda von Hattigberg in cui racconta come, nell’oscurità, sia riuscito a percepire la forma della Sfinge udendo il volo di una civetta.

… s’immagini un po’: dietro la sporgenza del casco regale, dalla testa della Sfinge, aveva preso il volo una civetta, sfiorandone il volto con le sue morbide e lente ali, di cui si percepiva, in maniera indescrivibile, il battito nella pura profondità della notte: e ormai, come per miracolo, s’era impresso nel mio udito, purificato dalle lunghe ore di silenzio notturno, il contorno di quella guancia…

Fabio Bagnoli è diplomato al Conservatorio Martino di Bologna, si è perfezionato presso l’Accademia Europea Musicale con Pietro Borgonovo e presso l’accademia di perfezionamento per solisti (Bologna) con Han de Vries. Successivamente ha intrapreso gli studi di composizione con Romano Pezzati.
Collabora come primo oboe con l’Orchestra dei Pomeriggi Musicali di Milano, Orchestra Verdi di Milano, Orchestra della Toscana, Teatro dell’opera di Roma, con i Fiati di Parma ed i Filarmonici romani.
Si è esibito con musicisti come Peter Lukas Graf, Heinz Hollinger, Bruno Canino, Giuseppe Sinopoli, Krzysztof Penderecki presso le più importanti istituzioni concertistiche nazionali ed internazionali tra cui Unione Musicale, Amici della Musica di Palermo, Musica Insieme di Bologna, stagione concertistica dell’Università “La Sapienza” di Roma, GOG, Amici della Musica di Trieste, Società del Quartetto di Vercelli, Mito di Milano, Biennale di Venezia.
Al suo attivo vi sono inoltre registrazioni con le più importanti radio europee e presso le etichette BMG, Arts, amadeus e Tactus.