A giocare con il tempo
Opalka, l’artista che giocava con l’infinito
Un grande artista franco-polacco, Roman Opalka, ha dedicato tutta la sua ricerca artistica alla descrizione del flusso del tempo come dice lui stesso:
“Tutto il mio lavoro è fatto solo per descrivere e contare l’inesorabile flusso del tempo, dal primo momento a un momento infinitamente futuro. Ciò che mi devasta è la nostra piccolezza: se esistiamo in un istante, il momento dopo potremmo non essere più nulla ”.
Questo è l’ambizioso progetto di Opalka: dare forma tangibile al tempo e quantificare l’infinito, ciò che per definizione non può essere rappresentato né compreso.
Nel 1965, nel suo studio a Varsavia, Opałka iniziò a dipingere numeri da 1 a infinito. Partendo dall’angolo in alto a sinistra della tela e finendo nell’angolo in basso a destra, l’artista ha riempito di piccoli numeri innumerevoli tele. Ogni nuova dipinto, che per l’artista era solo un Dettaglio dell’opera complessiva, rappresentava un nuovo conteggio che “1965/1 – ∞”.
Nei primi Dettagli, Opałka usava dipingere numeri bianchi su uno sfondo nero. A partire dal 1968 l’artista sostituì lo sfondo nero con uno grigio, “perché non era un colore simbolico, né emotivo” e, a partire dal 1972, ad ogni nuovo Dettaglio decide di aggiungere l’1% in più di bianco allo sfondo per creare un effetto evanescente in modo da suggerire i temi della labilità della memoria e del dissolvimento ineluttabile.
Nel 1968 Opalka inserisce un nuovo elemento, la fotografia: il ritratto del suo volto, sempre della stessa espressione, si modifica inesorabilmente con lo scorrere dei giorni. Nel 1972, infine, aggiunge le registrazioni della sua voce.
In questo percorso durato oltre quarant’anni, c’è un racconto del Tempo [1] che non è narrativo, né didascalico, ma universale e, allo stesso tempo, relativo, poiché ogni tela vuole rappresentare solo “l’impronta” di un momento dell’esistenza, “uno psicogramma”, come lo definiva l’artista. Il numero è scrittura silenziosa, archetipo, ripetizione della forma intervallata da una pausa, uno spazio vuoto, “un interstizio mentale” che potrebbe essere ricollegato alla pratica cinematografica del montaggio, in cui il rimando al successivo diviene formulazione continua di possibilità, dove ripetizione e arresto sono le uniche azioni possibili. Nella costruzione della “durata” rientra il valore universale del tempo che abbraccia e coinvolge l’uomo in quanto specie, per il suo essere nel tempo senza potersene distaccare: “La vita è nel tempo e si sviluppa nell’intervallo tra la nascita e la morte. Per l’uomo, nascita e morte significano inizio e fine del tempo che è concesso”. [2]
[1] C. Fiasca, Roman Opalka. TImeless, Homeless Œuvre in http://www.arteecritica.it/onsite/roman-opalka.html
[2] L. Hegyi, Roman Opalka’s essentiality 1965/1 – ∞, Nino Aragno Editore, Milano, 2015, pp. 289