Vai al contenuto

Ti sono vicino

Intervista ad Andrea de Chirico

Ci è prossimo ciò che ci è vicino: una persona che condivide i nostri spazi e con cui magari non abbiamo mai parlato, pratiche diffuse sul nostro territorio, ma che non per questo conosciamo, un oggetto familiare, che utilizziamo quasi senza accorgercene e che diamo per scontato, anche se, proprio come noi, c’è stato un momento in cui è venuto al mondo.
Nel lavoro del designer Andrea de Chirico la prossimità è il filo rosso che intreccia abitanti, luoghi, oggetti e pratiche tradizionali e sperimentali dando vita ogni volta a nuovi progetti che coinvolgono intere comunità. Per questo, abbiamo deciso di continuare a esplorare il tema “prossimo” con lui.


La prima domanda che vorremmo rivolgerti riguarda proprio i tuoi progetti, che ci sembrano particolarmente affini al tema che stiamo affrontando. Che cosa ne pensi? Che cosa hanno in comune i tuoi progetti con la parola “prossimo”?

Mi piacerebbe innanzitutto fare una premessa più generale, che sono sicuro non riguardi solo me: nell’ultimo periodo, visto quanto è accaduto con la pandemia da Covid-19, siamo stati tutti quanti chiamati a lavorare a distanze anche siderali. Credo che vedere compromessa anche la vicinanza più scontata abbia reso la prossimità un elemento ancora più apprezzabile.
Detto questo, è vero: io sono molto legato al tema della prossimità. Nel mio lavoro ne parlo sempre: è ciò che intendo quando sottolineo il valore della vicinanza tra le persone, tra i laboratori artigianali. Anzi, posso affermare di lavorare proprio basandomi sulla prossimità con le persone con cui collaboro e con i luoghi in cui mi trovo. Il tipo di comunicazione e di scambio che posso avere con chi è vicino è quello che preferisco e che riesco a gestire meglio. Al contempo, le ricerche che svolgo per ogni mio progetto hanno nella prossimità una condizione necessaria: per poter studiare un luogo, devo trovarmici fisicamente.


Vuoi raccontarci qualche tuo progetto in cui progettazione e prossimità si incontrano?

Da sei anni, per esempio, sviluppo il progetto Super Local, che ruota proprio intorno al concetto di prossimità e di vicinanza: scoprendo organizzazioni situate a pochi metri l’una dall’altra, nello stesso quartiere se non addirittura nella stessa strada, che non hanno mai avuto occasione di collaborare fra loro, il mio ruolo è quello di creare i collegamenti tra esse. Alla base c’è la convinzione che l’essere prossimi, ovvero il condividere uno stesso spazio, sia già di per sé un punto di partenza importante.
La prossimità è anche alla base del progetto Folie n°36, sviluppato insieme a Eugenia Morpurgo per la mostra Infinite Creativity for a Finite World all’EnSad di Parigi. La ricerca di Eugenia si focalizza sui materiali che è possibile produrre a partire da scarti vegetali, mentre io mi impegno a definire il potenziale produttivo di alcune zone specifiche, generalmente di quartieri. In questo caso ci siamo concentrati su La Villette, un parco cittadino nel Nord-Est di Parigi in cui ci sono vari orti, una foresta di bambù, allevamenti di api e che è sede di numerose iniziative educative volte a introdurre i bambini al mondo naturale. Allo stesso tempo, vi sono le Folies di Tschumi, un architetto svizzero attivo negli anni Ottanta, che ospitano varie organizzazioni, tra cui due FabLab.
La Villette, comprensiva di una parte dedicata alle specie viventi e di macchinari per la fabbricazione tradizionale e digitale, si è rivelata il contesto perfetto per combinare le nostre ricerche: abbiamo definito delle possibili linee produttive di ciò che sarebbe stato possibile produrre grazie alla presenza di piante, animali e macchinari.
Questo progetto è stato il primo in cui la ricerca necessaria sul contesto specifico è stata svolta completamente a distanza: una contraddizione in termini che ha dato il via a uno sviluppo diverso dal solito. Per poter immaginare prodotti che rispondessero ai bisogni sollevati dalle attività già in essere nel parco, era importante entrare in dialogo con le persone che frequentano abitualmente La Villette: per ora le abbiamo contattate tramite zoom e via mail, ma perché l’operazione abbia effettivamente un impatto sul luogo, dovremo esservi presenti fisicamente.


Non credi però che talvolta l’ultimo periodo abbia trasformato, fuori da ogni immaginazione, la lontananza in un’esperienza di prossimità? Che sia stato possibile, cioè, tendere fili anche laddove sembrava impossibile farlo?

Sì, è vero. Soprattutto se pensiamo che, alla fine, siamo riusciti a portare avanti il progetto in una situazione che vedeva me a Torino, Eugenia in Germania e il nostro luogo di riferimento a Parigi. A ripensarci, sembra paradossale, ma di certo entusiasmante.


Prima hai accennato al tuo progetto Super Local. Mi sembra che l’idea che lo ispira sia la stessa che ha animato la tua proposta per A Spasso con Sofia, il festival itinerante per bambini e famiglie che con i Ludosofici organizziamo da qualche anno e attraverso il quale vogliamo esplorare la città da tanti punti di vista diversi. Vuoi raccontarci qualcosa di più di questo tuo progetto?

Super local è una piattaforma globale per la produzione locale di oggetti di uso quotidiano. In sostanza, esploriamo un contesto specifico – solitamente un quartiere – alla ricerca di ciò che potrebbe portare alla produzione di un oggetto. Mettiamo quindi in contatto gli artigiani con i materiali presenti sul territorio con l’obiettivo di realizzare oggetti di uso quotidiano come sedie, sgabelli o asciugacapelli.
A oggi sono stati prodotti diciassette oggetti in sei città europee. Ogni oggetto è presentato sempre insieme ai luoghi e alle persone e alla documentazione relativa alla produzione: l’oggetto finale diventa così uno tra i tanti elementi del processo.
L’oggetto è una sorta di finestra o di scusa per entrare in contatto con varie forme di conoscenza legate ora alla produzione artigianale ora ai materiali ora ai luoghi ora alle persone che abitano quotidianamente quei quartieri.
Conoscere la storia che c’è dietro a ogni oggetto, renderla esplicita e raccontarla incoraggia uno sviluppo sostenibile, poiché rende più consapevoli nei confronti dell’oggetto che è utilizzato. Ecco, dunque, che intorno a ogni oggetto si crea una serie di attività: veri e propri tour di produzione in cui gruppi di dieci persone girano per il quartiere coinvolto partecipando attivamente alla produzione. Quest’ultimo è un elemento fondamentale per noi: essere parte attiva del lavoro artigianale, entrarci fisicamente, crediamo sia indispensabile.


Conoscere la storia di qualcosa spesso equivale a riappropriarsene: ad averne maggiore consapevolezza e a essere disposti a prendersene cura. In pratica, conoscere la storia di un oggetto porta a sviluppare una visione totalmente nuova su di esso…

Potremmo dire lo stesso dei luoghi. Il nostro intento è anche quello di regalare uno sguardo diverso su contesti noti dal punto di vista turistico, così che i tour tradizionali, che magari vogliono portare ad ammirare un famoso monumento, siano integrati con una visione più legata alle realtà produttive. L’Italia, in particolare, è un paese in cui attività artigianali specifiche caratterizzano tanto il più piccolo villaggio quanto la più grande città: ogni luogo vanta grandissime e antichissime esperienze, troppo spesso poco conosciute. Per fare giusto un esempio, mi viene in mente la cittadina di Pattada, in Sardegna, in cui sono prodotti coltelli artigianali considerati tra i migliori al mondo: peccato che ciò sia noto solo tra gli esperti di manifatture di coltelli.


Che ne dici di lasciare ai nostri lettori la possibilità di mettere in pratica quanto ci hai raccontato, scegliendo un oggetto e rintracciandone la storia?

Mi sembra un’ottima idea. Vi lascio qui una cartolina su cui ricostruire la storia di oggetti che ognuno di noi, bambino o adulto, può avere vicino o sa essere legati al territorio in cui abita.

La ricerca di Andrea de Chirico, con un master in Social Design presso l’Accademia di Eindhoven e una laurea in Disegno Industriale presso l’Isia di Roma, si focalizza sull’interazione tra progettazione convenzionale, tradizionale e moderna nella produzione di oggetti. Progetta strumenti, sistemi e oggetti con consapevolezza sociale e ambientale, sempre a partire da un’analisi rigorosa del contesto. È stato ricercatore presso la libera Università di Bolzano dal 2016 al 2019, e designer in Residence nel 2016 per il Design Museum a Londra. Il lavoro di Andrea è stato esposto a livello internazionale presso fiere e musei, tra cui Design Museum a Londra, la Triennale di Milano, Z33 House for Contemporary Art.