Luci antiche, nuove luci
Intervista a Mia Landi
MAO – Museo d’Arte Orientale
La luce come tema per connettere e unire la città. In che modo il Museo ha sviluppato questo processo a partire dal progetto Luci d’Artista, che quest’anno festeggia il suo venticinquesimo compleanno?
Il nostro nuovo direttore, con noi da febbraio dopo un’esperienza in Cina che l’ha visto al lavoro anche con numerosi artisti viventi, è molto propenso a unire il mondo dell’arte antica con quello dell’arte contemporanea, più vicino, in qualche modo, al progetto Luci d’Artista. Per questo, quest’anno, anche noi del MAO siamo entrati a far parte del gruppo di musei che danno vita a questa iniziativa.
Come tutti, anche noi abbiamo adottato una luce: tra le tre installate per la prima volta quest’anno, la nostra è quella più vicina a noi, nei pressi di Porta Palazzo.
È importante sottolineare il fatto che elementi relativi alla luce sono fortemente presenti già all’interno delle collezioni del Mao, che si occupa di Arte Orientale. Numerosi sono i riferimenti legati al Buddhismo (le statue dorate del Buddha o le fiammelle posizionate sulla sua testa, così come le lanterne delle moschee islamiche). Per questo, l’idea è stata sin da subito quella di coinvolgere i bambini che avrebbero partecipato alle nostre attività nella ricerca della luce o di elementi che la ricordassero all’interno del museo.
Abbiamo dunque lavorato a cavallo tra il mondo antico, racchiuso nel museo, e quello contemporaneo, espresso dalla luce d’artista, trovando la luce ora nel fuoco, nelle fiammelle, nelle candele, ora nelle lucine elettriche. Abbiamo provato a porci domande importanti e a indagare la luce sotto questo aspetto. Del resto, era la stessa luce d’artista a invitarci a farlo, essendo un grande punto di domanda.
In particolare, l’artista pone interrogativi sulla città. La sua luce si configura come una sorta di dubbio luminoso rivolto verso Porta Palazzo, dove si apre una zona interessante e ricca di questioni, anche piena di difficoltà: una Torino diversa. Inoltre, intende sottolineare gli interrogativi che la nostra contemporaneità non smette di porci. Insomma, uno spazio e un tempo in cui le domande si affollano e non sempre trovano risposte.
Venendo alle attività, abbiamo coinvolto classi di scuole primarie ubicate nella circoscrizione territoriale del museo, ma anche provenienti da altre zone, così da consentire anche a chi non era mai venuto a trovarci, vuoi per ragioni economiche, vuoi per motivi geografici, di conoscere il nostro museo. La possibilità di contare sui fondi messi a disposizione dalla città per la realizzazione di questo progetto si è tradotta nell’opportunità di estendere il nostro pubblico.
Abbiamo incontrato le singole classi qui in museo. Abbiamo fatto degli incontri performativi con un gruppo di attori performer – i Jin Song -, che hanno curato la performance prevista in occasione della parata di luci sotto la cupola dove è presente la Luce d’Artista.
Per questa prima esperienza, abbiamo puntato a svolgere tutte le attività in un lasso di tempo abbastanza breve, di modo da essere sicuri di agire sempre nel periodo di accensione della luce. Abbiamo voluto insistere sul contenuto. Anche per questo, insieme ai bambini partecipanti, ci siamo chiesti che cosa fosse la luce. Inutile dire che sono venute fuori moltissime riflessioni interessanti: «la luce è gli occhi», «la luce ce l’ho nel cuore», «la luce è nella testa».
In merito al fatto di legarsi a religioni altre rispetto al tradizionale cattolicesimo, qual è stata la reazione dei bambini? Ci si sono riconosciuti? Hanno visto dei segni di appartenenza? C’è stato un ulteriore dialogo che è nato tra compagni appartenenti e provenienti da tradizioni religiose diverse e anche, magari, con le stesse famiglie, innescato proprio questo incontro?
Nella maggior parte delle classi con cui abbiamo lavorato c’è un’alta percentuale di musulmani. In alcune classi non c’era nessun bambino di origine italiana, perché tutti gli alunni erano cinesi, rumeni, egiziani… E sì: venire in museo e trovare qualcosa, qualche oggetto, qualche riferimento a Paesi diversi dall’Italia è stato per loro sicuramente molto interessante. Quando poi ritrovano la loro cultura, lì nascono degli scambi bellissimi. Qualche bambino un po’ più grandino, di 5ª elementare, ha letto ad esempio le nostre pagine di Corano a voce alta. È stato molto emozionante. A proposito della luce, in particolare, abbiamo una lampada che riporta una citazione tratta dal Corano che recita “Allah è luce nei cieli e nella terra” e molti bambini sono stati felici di individuarla. Quanto alla componente buddhista, era molto ridotta tra i bambini che abbiamo incontrato. Tuttavia, qui la luce si ricollega alla parola illuminazione, dunque alla scoperta, al passaggio dalla non conoscenza alla conoscenza. E questo è un discorso che li ha catturati (anche, e sicuramente, vista l’appariscenza delle statue appartenenti a questa cultura).
La luce è in dialogo con il buio: sono opposti che si richiamano in continuazione e che non possono vivere l’uno senza l’altro. Come è stato trasferito questo rapporto all’interno dei percorsi proposti?
A dire la verità, nei nostri discorsi il “buio” non è saltato fuori spesso. Abbiamo riso moltissimo, perché ogni tanto – e a prescindere dall’età -, qualche bambino rivelava di volersi sempre addormentare con una lucina accesa vicino al letto. Questo, però, non perché il buio di per sé corrisponda a qualcosa di brutto, ma perché rimanda a qualcosa di sconosciuto e quindi di temibile. La luce rassicura in un’oscurità che nasconde e, quindi, mi è ignota.
Torna il discorso a cui accennavi prima: il rapporto tra luce e buio come quello tra conoscenza e non conoscenza…
Sì. È sempre in questa chiave che abbiamo sfiorato anche l’idea del buio. D’altro canto, nei discorsi che abbiamo fatto, ci siamo accorti, grazie alle parole dei bambini, che anche la luce stessa ha in sé un’infinita complessità di sfumature. Una complessità che un po’ si è persa quando abbiamo chiesto loro di rappresentare che cosa per loro fosse la luce attraverso un disegno. In questo esperimento, la luce è tornata a essere qualcosa di semplice, come un raggio di sole.
In ogni caso, credo che trovare il modo di concretizzare un pensiero sia un passaggio fondamentale. È stato importante proporre loro la forma grafica. Per noi, però, si è rivelato poi estremamente più congeniale ricorrere al movimento e alla performance, alla creazione fisica di forme capaci di ricreare la luce.
Nel corso delle vostre attività incontrate solo le classi o lavorate anche con le famiglie?
Nelle attività relative al progetto Luci d’Artista ci siamo concentrati principalmente con le scuole. Ne siamo felici, anche perché abbiamo potuto sperimentare qualcosa che con le classi ci capita davvero di rado di provare: la continuità. Certo, ci sarebbe piaciuto coinvolgere anche le famiglie dei bambini, ma il tempo a disposizione era troppo poco per riuscire a fare tutto. Però, ecco, la parata di luci prevede la partecipazione tanto dei bambini quanto dei loro genitori e parenti. In questo caso, il museo diventa luogo d’incontro e il punto di partenza da cui i bambini si muoveranno a suon di tamburo, ciascuno con la propria lucina.
Come è stata vissuta l’attesa dell’evento? Credi che sia pertinente definirlo come un momento di passaggio, la possibilità di varcare la soglia?
Mi viene in mente proprio il passaggio dal buio alla luce. A dir la verità, in tutto il percorso fatto con i bambini ci siamo concentrati di più sulla luce e sul suo significato, piuttosto che sull’idea di passaggio da uno stato all’altro. Eppure, pensando proprio all’evento, i bambini hanno chiesto più e più volte, come a volerne essere rassicurati, se la parata si svolgesse di sera, dopo il tramonto: era chiaro e necessario che, per far risplendere le luci il più possibile, il buio era una condizione imprenscindibile. Credo che l’idea del passaggio, e anche del contrasto tra ciò che è luce e ciò che non lo è, non sia stata particolarmente verbalizzata, non sia stata oggetto di ragionamento esplicito, ma è rimasta tra le righe, nel vissuto delle varie attività e, soprattutto, nell’evento della parata.
MAO – Museo d’Arte Orientale, inaugurato nel 2008 all’interno dello storico Palazzo Mazzonis, è uno dei 3 musei gestiti dalla Fondazione Torino musei, è un’istituzione culturale che si propone di raccogliere, conservare e presentare al pubblico opere significative della produzione storica e artistica delle società asiatiche. Situato nel centro storico di Torino zona del Quadrilatero Romano conserva più di 2500 opere e si sviluppa su quattro piani espositivi collegati tra loro da scale e ascensori.
Il museo si pone come strumento di mediazione e intende ispirare nel visitatore nuove forme di pensiero e di rappresentazione, Il MAO si propone come punto di riferimento per le comunità di origine asiatica presenti nella Città di Torino e sul territorio nazionale nell’ottica di creare ponti tra culture e mondi differenti. All’aspetto inter/multiculturale si aggiunge la sensibilità all’accessibilità nell’ottica di un museo per tutti.
Le proposte dei Servizi Educativi del MAO Museo d’Arte Orientale puntano a stimolare le facoltà intellettuali, emozionali e fisiche integrando i saperi e coniugando un’ampia gamma di competenze.
In un’ottica di accessibilità e di “museo per tutti”, le attività di visita e laboratorio progettate e condotte al MAO spaziano tra molteplici temi e sono destinate a numerose tipologie di pubblico: scuole, famiglie, adulti, gruppi di disabili etc…
Le collezioni permanenti, e le mostre temporanee consentono di adottare l’approccio multidisciplinare indispensabile per rispondere agli interessi più vari, mentre l’attività pratica di laboratorio con l’utilizzo di materiali quali l’argilla, le carte speciali, gli acetati e i permanet marker e tecniche come la pittura monocromatica per il sumi-e, rende più coinvolgente e completa la fruizione del museo e dei suoi contenuti.