Il tempo in musica
Una playlist a cura di Pierluigi Ledda – Archivio Storico Ricordi
“Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so” – Agostino
Sarà capitato a tutti, durante un concerto, di perdere la concezione del tempo, e di non saper poi dire esattamente quanto fosse durata quell’esperienza. Quella sensazione dice della capacità intrinseca della musica di giocare con le nostre sensazioni e col tempo.
Per chi scrive musica, il tempo è un elemento solido che si può plasmare, un elemento di lavoro come la matita e il pentagramma. Tanti compositori hanno ragionato, giocato e sperimentato con il concetto stesso del tempo, accorciandolo, dilatandolo, spezzettandolo e ricomponendolo.
Non voglio proporvi una lezione, ma solo offrire qualche spunto interessante sui tanti “tempi” che possiamo trovare nella musica, e per ciascuno di essi un ascolto esplicativo.
Il tempo del silenzio: i famosi 4 minuti e 33 secondi di John Cage (1952)
4′33” è una composizione in tre movimenti del compositore sperimentale statunitense John Cage (1912-1992), composta per qualunque strumento musicale o ensemble; lo spartito dà istruzione all’esecutore di non suonare per tutta la durata del brano nei tre movimenti: il primo di 30 secondi, il secondo di 2 minuti e 23 secondi, il terzo di 1 minuto e 40 secondi; il totale dei secondi di silenzio, ossia 4 minuti e 33 secondi, dà il titolo all’opera. Nelle intenzioni dell’autore, la composizione si presume consistere dei suoni emessi dall’ambiente in cui viene eseguita, dando una idea dell’importanza dell’ambiente stesso, sebbene sia generalmente percepita come “quattro minuti e trentatré secondi di silenzio”. Secondo Cage, 4’33” non è per nulla un’opera silenziosa, in quanto il vero centro di attenzione dovrebbero essere i rumori casuali che si sentono durante il silenzio dei musicisti, al pari di quelli dati dalla caduta di un oggetto, dal ronzio di un insetto o dal respirare degli spettatori.
Il tempo della nanna: i “Soothing sounds for babies” di Raymond Scott (1962)
Raymond Scott (1908-1994) è il semi-sconosciuto genio della musica elettronica del novecento: brillante pianista, direttore d’ensemble jazz, autore delle più riuscite colonne sonore per i cartoni animati della Warner Bros, è considerato uno dei più importanti ingegneri elettrotecnici ed elettronici nel campo delle tecnologie applicate alla composizione ed esecuzione musicale. All’inizio degli anni ’60 realizza una serie di tre album dedicati ai bimbi, divisi per fasce d’età (1-6, 6-12 e 12-18 mesi), colonne sonore elettroniche per addormentarli, cullarli, intrattenerli. Vi propongo “Sleepy Time”, una ninnananna minimalista in cui dai sintetizzatori viene estratta pura dolcezza.
Il tempo in cui viviamo: Sign O’ The Times di Prince (1987)
“Sign O’ The Times arriva il 30 marzo del 1987 e si accende con la terrificante title-track. Un groove liquido che oscilla nel vuoto come una sorta di vogue siderale, una drammatica scheggia funk d’avanguardia con testo sanguinante.” — Times
Il testo è un’istantanea delle ansie sociali della fine degli anni ’80.
La musica del (video)gioco
Qual è la musica che abbiamo ascoltato più volte nella nostra vita? Probabilmente non è la nostra canzone preferita, ma il sottofondo non invadente di qualche videogioco, un tappeto sonoro che è stato lì, per ore, ad accompagnare il nostro peregrinare per mondi (Final Fantasy), raccogliere funghetti, il costruire case e vite virtuali (The Sims).
Il tempo della nostalgia: l’estate infinita di Christian Fennesz (2001)
Come la musica può ricostruire le sensazioni emotive legate ad una stagione, all’idea ideale che abbiamo di quella stagione, in questo caso l’estate. Fennesz disegna un affresco sonoro che è un grande omaggio alle estati californiane, ai Beach Boys di Brian Wilson, alla surf music degli anni sessanta, è uno degli esempi più “caldi” di computer music.
Il tempo dell’attesa: i call center e la “disruptive muzak” di Sam Kidel (2016)
Esercizio di sovversione giocosa ed emotiva della cosiddetta Muzak, ovvero la musica per ambienti composta appositamente per luoghi come ascensori e supermercati. Il compositore qui gioca con le musiche d’attesa utilizzate dai call center, mischiando stili musicali (ambient, elettro-acustica, musica aleatoria) e ottenendo un affresco struggente e contemporaneo.
PER APPROFONDIRE
Rai Radio 3 | Lezioni di Musica | Carlo Boccadoro parla del tempo in musica
🎧 Ray Play Radio: Inventare il tempo. Prima parte. Tempo liquido, flessibile
🎧 Ray Play Radio: Inventare il tempo. Seconda parte. Tempo modellabile, come creta
“Che cosa è dunque il tempo? Se nessuno me ne chiede, lo so bene: ma se volessi darne spiegazione a chi me ne chiede, non lo so: così, in buona fede, posso dire di sapere che se nulla passasse, non vi sarebbe il tempo passato, e se nulla sopraggiungesse, non vi sarebbe il tempo futuro, e se nulla fosse, non vi sarebbe il tempo presente. Ma in quanto ai due tempi passato e futuro, in qual modo essi sono, quando il passato, da una parte, più non è, e il futuro, dall’altra, ancora non è? In quanto poi al presente, se sempre fosse presente, e non trascorresse nel passato, non più sarebbe tempo, ma sarebbe, anzi, eternità. Se, per conseguenza, il presente per essere tempo, intanto vi riesce, in quanto trascorre nel passato, in qual modo possiamo dire che esso sia, se per esso la vera causa di essere è solo in quanto più non sarà, tanto che, in realtà, una sola vera ragione vi è per dire che il tempo è, se non in quanto tende a non essere? […]”
Agostino, Le confessioni, XI, 14 e 18, Bologna, Zanichelli, 1968, p. 759.