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Un bellissimo quadro
senza cornice

A cura di Giuseppe Russo Rossi
Teatro alla Scala Milano

Ouverture

Mi piace osservare. Dalle mie parti, verso oriente, c’è una tradizione secolare basata su questo. Osservando, ho l’impressione che tutto si fermi per un po’. Lo scrittore scrive ciò che vede, il pittore dipinge ciò che sente, ho letto tempo fa. Non sono né l’uno né l’altro. Sono un musicista.
Sono un interprete e, come tale, mi esprimo comunicando nella maniera più chiara possibile un linguaggio, un messaggio. La mia lingua quotidiana è la musica, un’arma potente, scuote corde sottili comuni a tutti. Proprio adesso che sale da concerto e teatri sono chiusi, nella mia stanza osservo la mia viola e mi ritrovo a constatare quanto sia importante per un’arte immateriale come la musica dal vivo realizzarsi nel momento in cui si suona per qualcuno e con qualcuno. Credo che il vero momento magico si esplichi ogni qual volta un’esperienza artistica, seppur nata in isolato individualismo, non sia mai esaustiva esclusivamente nella sua statuaria solitudine, ma rivolga solidarietà e interesse nell’unione di intenti, nel rispecchiamento che ogni fruitore e ogni esecutore potranno ricavarne, per l’appunto, insieme.

In definitiva, quando si è abituati a pensare e vivere con la musica e nella musica, suonare con e per l’altro diviene un progresso per la propria individualità che passa, appunto, attraverso lo scambio. Una retorica del dare e ricevere infinita. Questo è, a mio avviso, il significato dell’interpretare, che non esclude posizioni, sia se si è sul palco che seduti in platea. Nel momento in cui prendo lo strumento, calco il palcoscenico, eseguo un brano di insieme con un altro collega o vado a sentire un concerto, non finirò mai di stupirmi nel cogliere l’attualità del messaggio che quella determinata musica raccoglie tanto da renderla specchio dell’evoluzione sociale, alle volte addirittura in anticipo sui tempi, se si pensa che le più grandi fascinazioni spesso derivano da brani composti nei secoli passati. Ci sono autorevolissime concezioni sulla musica, ma in definitiva che cosa vuol dire fare musica insieme?

Non posso rispondere da solo a questa domanda, perché farlo vorrebbe dire far prevalere un solo punto di vista laddove è necessario adottare uno sguardo d’insieme. Mi rivolgerò perciò ad alcuni rappresentanti delle diverse forze che, nel fare musica, cooperano e si completano a vicenda.

Atto I

Il direttore d’orchestra è colui che ha il compito di coordinare il lavoro d’insieme e di realizzare un’efficace comunicazione: con e tra i musicisti e con il pubblico, senza sottovalutare la complessità del messaggio, che, per essere comunicato, dev’essere studiato, interpretato ed eseguito.

Marco Alibrando direttore d’orchestra

Il concetto d’insieme è quotidianità per un direttore d’orchestra così come per ogni professore d’orchestra. Basti pensare al termine stesso “sinfonia” che deriva dal greco σύν «insieme» e ϕωνή «suono». Un’orchestra è composta da diverse sezioni di strumenti che eseguono linee musicali differenti, le quali, se non fossero suonate cercando di collaborare l’una con l’altra, sconfinerebbero in una cacofonia. Invece il fine di un concerto, di un’esecuzione di una sinfonia che porta ad una sintonia è, secondo me, arrivare al concetto finale di armonia, senza scontrarsi o prevaricare, ma lavorando insieme. Tutto questo magari è immediato in un’orchestra professionale che ha già più anni di esperienza; può esserlo meno per un’orchestra giovanile, poiché in quest’ultima i singoli musicisti, per via dell’inesperienza, tendono a concentrarsi più sulla propria parte dimenticandosi, talvolta, di ascoltare anche gli altri così da poter tenere “sott’orecchi” le varie sezioni e fare musica insieme. Con gli anni mi sono reso conto che il minimo per un’esecuzione accettabile è ottenere un’unione di intenti, un’orchestra che respira insieme, che fraseggia insieme con cuore unico pulsante e trovo che questo “respiro” sia ciò che ci fa comunicare maggiormente con l’ascoltatore. 

Michele Gamba direttore d’orchestra

Da direttore giovane, cerco di concentrarmi sul potenziale gestuale più che su una premeditata “strategia comunicativa”. La comunicazione verbale giunge dove il gesto non può o non riesce ad arrivare. Per la mia esperienza, con le grandi orchestre ho ottenuto molta più varietà di suono e risultati molto più soddisfacenti semplicemente dirigendo l’idea musicale. Ho sempre avuto l’impressione che, se l’orchestra riconosce questa capacità comunicativa attraverso il gesto, al giungere di una richiesta verbale o di una spiegazione da parte del direttore, c’è la fattiva volontà di andare incontro ai desideri di chi sta sul podio proprio perché viene compreso il nocciolo musicale della richiesta stessa.

Marco Alibrando direttore d’orchestra

Io vengo da una scuola che mette al centro la partitura come una sacra scrittura. Tuttavia è inevitabile che la soggettività dell’interprete emerga. La partitura è soltanto un foglio di carta con tanti segni, che non suona da sola: ha bisogno di un interprete che le dia vita e che vada ad indagare quei segni scoprendo i significati celati. Il brano c’è quando effettivamente lo esprimi in suono. A differenza dei manufatti di arte figurativa, meravigliosamente uguali a se stessi, quello che mi affascina nell’arte musicale è proprio che venga ricreata ogni volta dall’esecutore che ne è anche interprete e quindi mette sempre in ballo la propria soggettività nell’interpretazione, a meno che non sia il compositore stesso a farsi carico di tutti i significati.  

Michele Gamba direttore d’orchestra

Daniel Barenboim ha scritto che “La partitura non è la verità”. Se vogliamo basarci sull’oggettività del segno scritto, per via delle implicazioni semiotiche allora potremmo dire che il “segno” è stratificato: esiste una superficie oggettiva, determinata dal mero aspetto grafico, al di sotto della quale troviamo aspetti più interni che si relazionano al nostro sentire, all’esperienza, alla nostra individualità. Solo alla luce di questa relazione segno-individuo, possiamo dire che “la partitura non è la verità”. O meglio ancora: la partitura esiste come verità stratificata e prospettica, quindi mai assoluta. Eppure, la partitura rimane se stessa. Nel finito del segno troviamo l’infinito (la molteplicità) dell’interpretazione. All’aspetto “stratificato” del segno, si aggiunga poi la necessità di una specifica competenza musicale per leggere il segno e integrarlo nella partitura: ad esempio, spesso accade che, per ottenere un lungo e omogeneo crescendo, a fronte di un’indicazione identica per gruppi di strumenti diversi, sarà necessario anticipare o posticipare certe istruzioni della partitura per alcune sezioni di strumenti. O ancora, a fronte di un forte scritto per tutti, sarà necessario pensare alla dinamica non come indicazione individuale per ciascun musicista, ma come somma risultante delle parti. È questo l’ambito della concertazione di cui è responsabile il direttore d’orchestra.

Atto II

I cantanti sperimentano la tensione tra preparazione individuale e lavoro di gruppo, senza mai perdere di vista il fine ultimo, ovvero la globalità di un’opera lirica.

Federica Lombardi soprano

Durante la fase di studio sono sola, mi concentro sulla preparazione personale, ma tenendo presente il punto d’arrivo cosicché il lavoro inizi individualmente, si indirizzi verso la condivisione con gli altri (per quanto riguarda gli aspetti espressivi, musicali e scenici) e converga al risultato finale, rivolgendosi quindi al pubblico. Anche quando studio da sola, mi aiuta moltissimo aver presente la parte degli altri e, per abituarmi a questo, tendo a cantarla fra me e me predisponendomi già così all’insieme globale. Oltre a ciò, reputo indispensabile l’energia, nella sua accezione di forza fisica ma anche di fonte creativa che si avviluppa durante la messa in scena.

Mattia Olivieri baritono

In teatro ogni piccolo aspetto è utile e necessario. Il lavoro di gruppo è fondamentale: solo insieme lo spettacolo può prendere vita. Credo molto nelle energie che mandiamo e riceviamo: l’orchestra prepara il tappeto sonoro su cui puoi farti veicolare, le scenografie ti proteggono e ti trasportano in qualsiasi posto, tempo, cultura; è tutto uno scambio vicendevole che trionfa univocamente facendoci sentire protetti. Non penso mai di essere solo, e traggo forza necessaria per mettere a nudo, cantando, cose che altrimenti rimarrebbero soffocate, come i nostri sentimenti, le nostre intimità. Ci vuole molta sincerità per esprimere emozioni, tramite essa possiamo dare un carattere a un personaggio. Come sempre diceva il mio maestro quando ero uno studentello volenteroso “una volta che sali lì sopra dimenticati di quel passaggio tecnico difficile, pensa al personaggio, chi sei, che stai dicendo, fallo rivivere…”: in questo modo il pubblico può arrivare a provare empatia, immedesimandosi in qualsiasi emozione, che sia di gioia, rabbia, amore, delusione etc. In fondo è questa la bellezza della comunicazione in musica.

Chiara Isotton soprano

L’arte del dialogo permette di scoprire la verità, sosteneva Socrate. Che cos’è infatti la musica se non un dialogo? Non mi riferisco solo all’interlocuzione momentanea in palcoscenico fra cantanti e orchestra, ma soprattutto al dialogo fra artista e pubblico, in un meccanismo che è un “tutto”. Il destino dell’uomo è quello di essere “unito”, non diviso, e la musica contribuisce creando unità. Quando canto provo una sensazione totalizzante, che si avvicina e, oserei quasi dire, supera qualsiasi forma di amore. Una determinata melodia, una frase declamata musicalmente, un passaggio armonico racchiudono tutte le tipologie di amore da secoli decantate da poeti e pittori. C’è l’amore romantico, c’è la passione, ma ci sono anche l’amore deluso e tradito, l’amore filiale e tutte le sfaccettature che la mente umana possa concepire.

Intermezzo

Gli strumentisti, suonando insieme, danno vita a un organismo unico, che vive e respira grazie al completarsi vicendevole delle parti di cui si compone.

Daniela Cammarano violinista

Da bambina, per rappresentare in un disegno il senso di un insieme, racchiudevo tutto ciò che per me era importante in un cerchio. È a quel cerchio che penso quando suono in duo col mio pianista Alessandro Deljavan. Diventiamo complici e condividiamo generosità, voglia di lasciarsi andare, di superarsi, di scherzare: si crea quasi un mondo parallelo in cui respiriamo allo stesso modo, soffriamo, ci emozioniamo contemporaneamente per la stessa nota, la ascoltiamo e la rendiamo indimenticabile anche per chi l’ascolterà, potendo, da spettatore privilegiato, entrare per un attimo nel nostro cerchio e goderne l’irripetibile unicità. La sinergia è tale che se durante le prove accade di cedere al riso per qualcosa, il pericolo più grande è che in concerto si rischi di non riuscire a guardarsi senza scoppiare, tanto diventa impossibile trattenersi. Alessandro diviene il mio specchio, la mia parte riflessa, e io divengo responsabile affinché quell’insieme non perda valore, non perda bellezza, non perda autenticità.

Alessandro Deljavan pianista

In questo periodo di fermo ho fatto un esperimento: con la violinista Daniela Cammarano, partner in crime in duo, abbiamo deciso di suonare “assieme” registrando i nostri singoli video ognuno a casa propria per poi assemblarli, eseguendo così lo stesso brano contemporaneamente, pur essendo separati fisicamente. Si trattava di una sonata per violino e pianoforte, dunque una musica concepita per due esecutori simultanei in emissione e intenti. Con grande sorpresa, nonostante fossimo geograficamente separati, suonando abbiamo avuto un’unica direzione e ci siamo istintivamente fidati l’uno dell’altra. Mi sono accorto che è stata tutta una questione di respiro: suonare insieme è respiro fisico, un po’ come nel nuoto sincronizzato in cui gli atleti imparano a respirare nello stesso momento e poi riescono a compiere il gesto insieme senza nemmeno guardarsi. Il respiro simboleggia anche l’idea: in musica bisogna avere chiaro e a fuoco la storia che si vuole raccontare che, in definitiva, è la sintesi di quello che si è. Vorrei che quando suono mi capisse anche chi non mi vede perché mi piace pensare di essere più un narratore che un performer.

Sandro Laffranchini violoncellista

Insieme si possono ottenere risultati superiori rispetto a quelli che si ottengono come singolo e, magari, con minori sforzi. Però, quando si lavora in collettività, subentrano spesso fattori psicologici soggettivi che, sotto forma di incongruenze pratiche tipiche della convivenza, possono intaccare la curva di apprendimento e lo spirito di coesione necessari. I problemi sussistono quando le forze contrarie, se reiterate nel tempo, vanno a disturbare l’obiettivo puro, il sogno di fare musica assieme. In circostanze simili mi piace pensare al mare: c’è la marea, forza positiva principale, e poi ci sono le onde, forze medie che increspano. Ciò che disturba, in fin dei conti, è qualcosa di piccolo e limitato nel tempo. 

Finale
allegro con fuoco

Per fare musica insieme è essenziale il complemento che arriva dal “dietro le quinte”, siano esse di una partitura o della (stra)ordinaria amministrazione.

Lamberto Curtoni compositore
In musica il concetto di insieme è un dono incredibile: condividere, nell’accezione prima di spartire, è alla base del lavoro. Il compositore lo fa con gli strumentisti e i cantanti, e loro lo fanno eseguendo la propria parte. La musica nell’atto di esecuzione è una società perfetta, armonica, in cui ognuno contribuisce alla completezza dell’opera. Il quartetto d’archi ne è l’organico perfetto: per possibilità di registro sonoro e mille altre ragioni, tra cui un repertorio bellissimo e variegato.
Per farvi un’idea, provate ad ascoltare i quartetti K421 e K428 di Mozart e il quartetto op. 132 di Beethoven.


Fa r (e) Fa r (e) Fa Re

Insieme era la pratica vocale gregoriana: il Graduale, contenente i canti, veniva sistemato sopra un grande leggio (spesso a due o tre facce) in modo che tutto il coro (seduto solitamente sui meravigliosi cori lignei disposti a semicerchio) potesse leggere. Pensando alla musica scritta invece l’idea di insieme inizia con un semplice contrappunto.
È probabilmente sulla carta il primo grande esempio di democrazia: la nota, nel nostro sistema Occidentale, che in una determinata tonalità è tonica, può essere invece dominante o sensibile in altre. Cambia il punto di vista ma tutti i soggetti coinvolti sono ugualmente importanti.

Paola Filiani collaboratrice di prestigiosi festival e istituzioni teatrali

Oggi più che mai abbiamo la sensazione che la rete possa offrirci contenuti che dovremmo essere soliti fruire dal vivo. Ma la rete, il luogo in cui impera la disponibilità del tutto e del tutto subito, non può che offrirci contenuti smaterializzati. “Bada al senso, e i suoni baderanno a se stessi”  scriveva Lewis Carroll attraverso uno dei personaggi del più celebre dei suoi libri. Ci aggrappiamo a queste realtà ipermediali, non luoghi dove tutto è lontano ma allo stesso tempo incredibilmente vicino. Una realtà che, di fatto, ci pone una visione “riflessa” di quella che è la performance vera. Ciò che rende unica l’esperienza resta il live, settore che ha trainato la cultura soprattutto nell’ultimo decennio. Del resto parliamo di performing arts: non c’è arte senza la performance. L’insieme necessario al fare musica non può essere solo virtuale: deve essere fisico.

Applausi

Eccoci giunti alla fine di quest’opera. Ringrazio i miei amici Marco, Michele, Federica, Mattia, Chiara, Daniela, Alessandro, Sandro, Lamberto, Paola, a cui ho pensato di rivolgere un abbraccio collettivo per far sì che si creasse una “corale” di idee sul concetto di insieme. Da canto mio, saluto e ringrazio chi ci ha fatto compagnia nella lettura e lascio in versi quello che è il senso vero e proprio del mio fare arte coi suoni e con la gente. Ognuno potrà interpretare le parole a seconda di ciò che risuoneranno per sé:

In viaggio

Questa è la luce della mente.
Se cado lontano, in terre madri di tutto
è perché obbedisco ai sogni
nuvole fiorite e mistiche
sul volto delle stelle

Giuseppe Russo Rossi è un violista e un grande appassionato di scrittura. Ha ricevuto il premio Sinopoli dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano e suona nell’orchestra del Teatro alla Scala di Milano. È sempre pronto a lanciarsi con entusiasmo in ogni progetto che presenti un minimo di follia.