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Anche la scienza si sbaglia?

Intervista a Massimo Sandal

Si può dire che, in questi due anni, la pandemia abbia portato alla ribalta la scienza e gli scienziati. Mai come negli ultimi due anni esperti di varie discipline scientifiche sono stati trasformati in personalità pubbliche dal nostro sistema dei media. Purtroppo, spesso, con risultati poco lusinghieri per questi scienziati diventati da un giorno all’altro star di uno spettacolo che, a voler essere gentili, è stato spesso confuso e contraddittorio, proprio nel momento in cui tutte e tutti stavamo guardano alla scienza e agli scienziati con la speranza che avrebbero saputo dare risposte precise alle domande che animavano i nostri spiriti, inquieti e spaventati da quanto ci stava accadendo. È con questi pensieri in testa che, quando abbiamo iniziato a preparare il numero di maggio dedicato al tema dell’errore, ho pensato di contattare Massimo Sandal – ex ricercatore, science writer, giornalista scientifico e autore del libro La malinconia del mammut (Il Saggiatore, 2019) – per parlare del ruolo e dell’importanza dell’errore.


Ciao Massimo, benvenuto su FarFarFare! Iniziamo con una domanda da vero ignorante di scienza quale sono: la scienza è infallibile?

Ovviamente non è infallibile: se lo fosse, non sarebbe scienza. La scienza ha tanti metodi (non esiste “un” metodo scientifico) ed è difficile definire un algoritmo con cui si evolve, ma in ogni caso è un costante lavoro di approssimazione. Ricava dei dati -che di per sé possono essere fallaci, va ricordato- e cerca di costruire dei modelli che spieghino questi dati e in più facciano anche predizioni su fenomeni non ancora osservati. Questi modelli sono una nostra costruzione, non hanno un valore assoluto, e derivano dal consenso della comunità scientifica su un dato argomento. Inevitabilmente molti di questi modelli verranno sostituiti da modelli più raffinati, quando emergono nuovi dati. 

Questo non significa però che tutto può essere messo in discussione allo stesso modo. Ci sono questioni su cui la mole di dati indipendenti è talmente enorme che non ha alcun senso metterla in discussione: affermazioni come «la Terra è rotonda» o «le cose sono fatte di atomi» sono e restano vere in qualsiasi modello futuro della natura.  Al limite possiamo affinare queste affermazioni, ad esempio cercando di capire come sono davvero fatti questi atomi, o quale sia la forma dettagliata del pianeta: in questo senso sbaglia e si corregge.

A lato di questo, ci sono i casi, non pochi, in cui la scienza sbaglia perché si basa su dati errati, o trae conclusioni da dati che non sono in grado di supportarli, o in rari casi addirittura crea dati e lavori scientifici falsi. Sono nodi che prima o poi vengono al pettine, e fanno quindi parte di quel processo di approssimazione e raffinamento come “rumore di fondo” di cui prima o poi ci si libera, ma sul breve periodo possono avere un impatto importante su vari campi di ricerca.


Secondo te come nasce l’idea che la scienza sia una disciplina infallibile? Perché le persone pensano e si comportano come se dire “l’ha detto la scienza” sia un modo per affermare che qualcosa è vero oltre ogni ragionevole dubbio?

Perché, ahinoi, viene spesso raccontata così. La divulgazione e l’insegnamento della scienza si occupano spesso di riportare i risultati delle ricerche, ma raramente raccontano come si arriva a questi risultati e quali sono i punti di forza e debolezza del processo che è arrivato a una scoperta. Ci sono cose su cui abbiamo abbondanti e pressoché inequivocabili certezze e cose invece dove è tutto ancora molto incerto, e saper distinguere è parte dell’alfabetizzazione scientifica

Anche quando si parla del metodo scientifico, spesso lo si descrive in modo caricaturale, ancora legato al falsificazionismo di Popper, mentre la filosofia e soprattutto la sociologia della scienza sono andate avanti nel corso di oltre mezzo secolo, e hanno chiarito che la scienza è un processo assai meno meccanico e razionale di quanto si voglia far credere. In Italia abbiamo un sociologo della scienza di altissimo livello come Massimiano Bucchi che però purtroppo non è letto come meriterebbe…

Spesso la comunicazione della scienza in Italia inoltre ha la tendenza a mettersi sulla difensiva, ad agire in reazione a opinioni o movimenti che legge a torto o a ragione come antiscientifici, e quindi a combatterli. Questo induce chi la comunica a voler far sembrare la scienza una cosa più salda e obiettiva di quanto sia, allo scopo di non lasciare fiato all’avversario. Ma comunicare la scienza in questo modo, oltre a essere asfittico, rischia appunto di falsificare la realtà. Il miglior modo di contrastare le derive pseudoscientifiche secondo me invece passa proprio dal far capire come funziona la ricerca nel bene e nel male, e far capire quali sono i procedimenti che rendono un dato affidabile rispetto a quelli che non lo rendono tale. Infine spesso si mescolano volontà di “certezza” scientifica a quella di usare la scienza per avallare scelte che sono più che altro politiche o sociali. La scienza diventa quindi un martello retorico, usato per scopi che scientifici non sono.


“Far capire come funziona la ricerca nel bene e nel male”, questo è un aspetto che mi interessa molto. Per questo mi sono chiesto se l’errore, lo sbaglio, ha un ruolo nel processo scientifico e nel funzionamento della ricerca. Se sì, qual è questo ruolo?

L’errore ha diversi ruoli nella ricerca. Innanzitutto, l’errore è uno dei motivi principali per cui facciamo ricerca: nessun modello della realtà è veramente corretto o completo al cento per cento. Ogni nostra teoria, per quanto accurata, non è completamente corretta, e cerchiamo di trovare un’altra teoria che non abbia questi errori (anche se, magari, ne avrà altri). Quando non ci sono margini di errore in realtà c’è un problema. Prendiamo l’attuale Modello Standard della fisica delle particelle: sappiamo che non può essere corretto sia per motivi teorici (non riesce a trattare la gravità) e pratici (non prevede la materia oscura). Però pressoché ogni sua predizione matematica è confermata sperimentalmente. Non abbiamo errori da usare come indizio, come leva per proseguire.
A livello più terra-terra ma non meno importante, l’errore è quello da cui ogni sperimentatore deve difendersi. Non l’errore del tipo “ho messo il liquido sbagliato in provetta” (anche se succede!) ma disegnare esperimenti che siano in grado di restituire una risposta chiara e il meno possibile ambigua, meno influenzata possibile dai bias dello sperimentatore e da fattori che possano confondere il risultato. È un’arte estremamente difficile, e infatti è molto raro riuscirci appieno: anche gli esperimenti spesso sono approssimazioni di un ideale.

Massimo Sandal è science writer. Ha lavorato per Le Scienze, Wired, Facta, Il Tascabile. Il suo ultimo libro è La malinconia del mammut. Specie estinte e come riportarle in vita (Il Saggiatore 2019).