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Briciole di pane

Quadrografia a cura di Nicola Ricciardi

Spesso ho trovato che il miglior modo di guardare, scrivere e parlare d’arte — in particolare di quella contemporanea — sia di farlo per il mezzo di strumenti e linguaggi che non siano propri dell’arte, come la filosofia, il teatro, la poesia. Quest’ultima, ultimamente, si sta dimostrando una lente particolarmente efficace attraverso cui scorgere nuove, inaspettate correlazioni. Magari si scopre una poesia, e da questa si passa a un’altra e poi un’altra ancora, e così via, seguendo le parole come briciole di pane per strada, fino a quando ci si trova davanti a un’opera d’arte — cercata o inaspettata, finita o solo accennata.

Anche in questo caso, invitato a scrivere del rapporto tra arte e natura, sono voluto partire dalle riflessioni sul tema di un poeta, Charles Simić, per poi lasciarmi guidare da lui — di riflessione in riflessione, di immagine in immagine — in un periplo attorno alle meraviglie, spesso involontarie, del mondo. Tutti i testi qui riportati sono suoi, le relative opere le ho aggiunte io. La prima traccia proviene dalla raccolta di saggi “The Unemployed Fortune-Teller” del 1994; la seconda da una serie di testi scritti per il volume di fotografie di Linda Connor “On the Music of the Spheres”, pubblicato nel ‘96 dal Whitney. Tutte le altre sono poesie in prosa citate per intero da “Dime-Store Alchemy”, il libro del ’92 che Simić ha dedicato a Joseph Cornell.

PROPOSITION #1: MAKE A SALAD
(1962 – 2014) di Alison Knowles

«Il termine ‘natura’ ha sempre avuto per me, ragazzo di città, una sgradevole connotazione didascalica […]. Mi va benissimo stare in mezzo all’oceano o in un orto invaso da peperoncini, melanzane e pomodori, ma la natura idealizzata mi è sempre sembrata un paradiso artificiale […]. La natura come esperienza — per esempio, fare un’insalata di pomodori con mozzarella fresca, foglie di basilico e olio d’oliva — è meglio di qualunque teoria sulla Natura.»

Da Salsiccia Fritta, saggio scritto nel 1992 per il numero speciale della Ohio Review dedicato al tema dell’arte e della natura.

THOM AND SUSAN LOOKING AT PETROGLYPHS, PUGET SOUND, WASHINGTON (1983) di Linda Connor

Cielo notturno

La carta del cielo appesa sopra la lavagna nell’aula delle elementari rimane dov’era quarantasette anni fa. Gli alberi sono spogli e sta ancora piovendo. Tutti sono chini sui loro quaderni e io soltanto viaggio con la fantasia mentre osservo un minuscolo insetto arrampicarsi sulla carta diretto verso la costellazione del Cane. 

Vorrebbe essere una delle sue pulci, penso tra me.

UNTITLED (HOTEL EDEN) (1945)
di Joseph Cornell

Comprendiamo grazie alla meraviglia

Anche Whitman vedeva la poesia ovunque. Nel 1912 Apollinaire parlava di una nuova fonte d’ispirazione: ‘depliant, cataloghi, poster, avvisi pubblicitari di ogni tipo’ che racchiudono la poesia del nostro tempo. La storia di questa idea ci è famigliare così i suoi eroi: Picasso, Arp, Duchamp, Schwitters, Ernst — per citarne solo alcuni. L’arte non si crea, si trova. Ammettiamo qualsiasi cosa come sua materia prima. Schwitters collezionava frammenti di conversazione e ritagli di giornale per le sue poesie. Waste Land di Eliot è un collage, e altrettanto i Cantos di Pound. 

La tecnica del collage, l’arte di assemblare frammenti di immagini preesistenti in modo tale da far nascere una nuova immagine, è la più importante innovazione artistica di questo secolo. Cose rinvenute, creazioni casuali, confezioni (articoli prodotti in serie che vengono promossi a oggetti d’arte) aboliscono la separazione tra arte e vita. La banalità è miracolosa se vista nel modo giusto, se riconosciuta.

‘Il problema non è ciò che si guarda, ma ciò che si vede’, scrive Thoreau nel suo diario. E Cornell: ‘…essere immerso in un mondo di totale felicità in cui ogni cosa insignificante si impregna di significato.’ Giorgio de Chirico, che Cornell ammirava immensamente, scrive: ‘Il guantone di zinco colorito, dalle terribili unghie dorate, altalenato sulla porta della bottega dai soffi tristissimi dei pomeriggi cittadini, mi indicava coll’indice rivolto ai lastroni del marciapiede i segni ermetici d’una nuova malinconia’.

IL PALAZZO ALLE 4 DEL MATTINO (1932)
di Alberto Giacometti

La verità della poesia

Un giocattolo è una trappola per sognatori. Il vero giocattolo è un oggetto poetico.
C’è una scultura giovanile di Giacometti intitolata Il palazzo alle 4 del mattino (1932). Consiste solo di pochi bastoncini sistemati in un ponteggio fuori uso, che il titolo misterioso rende ossessivi e indimenticabili. Giacometti diceva che era una casa di sogno per lui e la donna di cui era innamorato.
Sono sogni che un bambino riconoscerebbe. Sogni nei quali gli oggetti sono rinominati e investiti di vite immaginarie. Un ciottolo diventa un essere umano. Due bastoncini appoggiati l’uno contro l’altro fanno una casa. È un mondo in cui si gioca a essere qualcun altro.
È quello che cerca anche Cornell. Come costruire un veicolo di sogni a occhi aperti, un oggetto che possa arricchire l’immaginazione di chi guarda e tenergli compagnia per sempre.

SCHNECKENSTILLEBEN (2004)
di Wolfgang Tillmans

Lo studio magico della felicità

Nel più piccolo teatro del mondo le briciole di pane parlano. È una sacra rappresentazione sul tema del paradiso perduto. C’era una volta una cucina con un tavolo su cui restava qualche briciola. Dalla finestra vedevi la tua giovane madre parlare con la vicina, accanto alla staccionata. La mamma aveva freddo e continuava a stringersi nel suo vestitino leggero. Le nuvole veleggiavano in cielo mentre lei rideva rovesciando la testa all’indietro.

Dove le parole non riescono a spingersi oltre — là c’è la dura superficie del tavolo. Le briciole ti guardano mentre a tua volta le guardi. L’ignoto che è in te e l’ignoto che è in loro si attraggono. L’uno e l’altro sono come due amanti clandestini, incredibilmente e inspiegabilmente felici.

Nicola Ricciardi (Milano, 1985) è il Direttore Artistico di miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea di Milano. Dal 2016 al 2020 è stato Direttore Artistico delle OGR-Officine Grandi Riparazioni, dove ha organizzato oltre 20 mostre, tra cui le personali di Tino Sehgal, Susan Hiller, Mike Nelson e Monica Bonvicini, e più di 70 concerti di artisti quali Kraftwerk, New Order + Liam Gillick, Holly Herdnon e Kamasi Washington. È stato membro del Consiglio di Amministrazione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci di Prato (2017-2018) e ha curato diverse mostre in Italia, Germania e Stati Uniti tra il 2010 e il 2015. Nicola ha inoltre lavorato con il team curatoriale della 55a Biennale di Venezia (2013) e ha preso parte al programma della 7a Biennale di Berlino (2012) in qualità di Node Center Resident Curator. Insegna Storia dell’Arte Contemporanea alla NABA di Milano e i suoi testi sono presenti in diverse pubblicazioni e riviste, tra cui Frieze, Mousse Magazine, The Brooklyn Rail e DIS. Nicola si è laureato presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Cattolica di Milano nel 2007 e ha conseguito un Master in studi curatoriali presso il Center for Curatorial Studies al Bard College di New York nel 2014, con una tesi su Matthew Barney.