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Cartografare la terra

Intervista a Giacomo Sartori ed Elena Tognoli

Sotto i nostri piedi c’è un universo invisibile e complesso: la terra o, se si vuole utilizzare una terminologia più precisa, il suolo.
Nel corso dei secoli la terra è stata associata all’idea di “sporco”; in diverse tradizioni religiose i regni degli inferi sono, appunto, sottoterra. Con lo svilupparsi delle pratiche agricole intensive, la terra è stata considerata un supporto inerte da arricchire con concimi chimici, per massimizzare le rese. Il suolo è però un corpo vivente ricco di scambi e relazioni, che risente dell’azione degli esseri umani, e che può anche morire. Con la crisi ambientale e climatica, la sua importanza capitale e i rischi che lo minacciano, sono venuti alla ribalta, ma resta comunque molto poco conosciuto.
In questa intervista incontriamo Giacomo Sartori (agronomo e pedologo, ma anche scrittore di narrativa) e Elena Tognoli (artista visiva). Giacomo ed Elena stanno conducendo un progetto a cavallo fra scienza, arte e scrittura in Francia nella regione della Somme (Piccardia), con l’obiettivo di creare delle “cartografie poetiche” delle terre e dei paesaggi di questa regione.


Nell’introduzione leggiamo che Giacomo è “pedologo”, di che lavoro si tratta?

G : Sono agronomo, ma specializzato poi in pedologia, che è la scienza che studia i suoli (“soil science”, in inglese). In Italia non esiste una formazione specifica, e di solito i pedologi sono agronomi, o anche geologi. Uno dei compiti principali è la messa a punto di carte dei suoli, che ora sono in realtà banche dati elettroniche, e che servono in particolare per l’agricoltura e per il monitoraggio ambientale (contaminazioni, problemi di erosione idrica, consumo di suolo…). C’è poi la parte più scientifica, che riguarda discipline molto diverse, perché il suolo è complesso, ha una parte minerale e una organica, e ha una vita biologica molto attiva. Quindi nello studio del suolo sono coinvolti chimici, microbiologi, zoologi, idrologi, geomorfologi, mineralogisti, ecotossicologi, eccetera, i quali utilizzano linguaggi e scale di studio molto diverse: arrivare a una sintesi non è facile. Questo è un grosso problema, perché le conoscenze restano molto specialistiche, e molto parziali. Ora anche in Italia si parla molto delle problematiche legate al suolo, ma nei fatti si fa ancora molto poco: solo qualche regione del nord dedica risorse di una certa entità al suo studio.


Perché vi siete focalizzati sulla terra, nel vostro progetto di cartografie poetiche della Somme?

E : Perché la Somme è un territorio caratterizzato da un’agricoltura intensiva ancora più industriale di quella della Pianura Padana in Italia, con superfici molto grandi e una meccanizzazione molto spinta. Quando abbiamo visitato per la prima volta la regione, il nostro sguardo è stato colpito da enormi distese di campi arati. Poi, parlando con gli abitanti del luogo, ci siamo resi conto che le narrazioni legate a questo territorio sono prevalentemente negative: oltre al peso della memoria storica, e in particolare delle due guerre mondiali, è un paesaggio considerato senza attrattive proprio per la presenza di così tanta terra, di tanto marrone. Abbiamo quindi pensato di guardare da vicino e da diverse angolazioni questo elemento che si è spesso riluttanti a osservare. Cambiando punto di vista si scopre un universo ricco e affascinante, anche appunto molto bello.


E che cosa si scopre a guardare sottoterra, o meglio a osservare da vicino il suolo?

G : Il suolo è forse l’elemento centrale del paesaggio, che sintetizza tutti i fattori in gioco nell’ambiente (geologia, clima, vegetazione, …). Il suolo permette di far vivere le piante, che servono per la nostra alimentazione, e per quella degli animali che mangiamo. Delle piante siamo abituati a considerare la parte aerea, perché vediamo quella, ma le radici sono altrettanto importanti, e altrettanto complesse. La terra ospita un’incredibile quantità di microrganismi e organismi, che sono essenziali per il suo funzionamento, dei quali si sa in fondo molto poco (in qualche grammo di terra sono presenti più batteri che esseri umani sul pianeta). L’agricoltura chimica, o convenzionale, considerava il suolo un substrato inerte, da sfruttare al massimo, e da nutrire con dei concimi chimici. L’origine dei danni enormi che ha fatto in pochi decenni sta proprio lì, perché la realtà è molto più complicata. Tra le altre cose i suoli hanno perso molta sostanza organica, che è la base della sua salute e della sua fertilità. E anche i lombrichi, fondamentali per il suo funzionamento, sono drasticamente diminuiti.


Perché lavorare a delle cartografie?

E : Le rappresentazioni cartografiche propongono una visione distaccata, dall’alto, e che nascondono in realtà molti preconcetti e molti non detti. Dietro all’apparente oggettività, si cela un punto di vista ben preciso che opera delle scelte, decidendo per esempio cosa mostrare, in base a quali criteri, quali confini tracciare, sulla base di quali semplificazioni. Quindi, lavorare con le cartografie ci sembra un modo per riflettere sul punto di vista che adottiamo per rapportaci con il mondo, e per mettere giocosamente in discussione le nostre prospettive antropocentriche: come sarebbe, per esempio, una carta disegnata dai lombrichi? Che cosa sceglierebbero di includere nelle loro mappe? E, considerato che i lombrichi sono ciechi, come creare una cartografia che non richieda l’uso della vista?


Perché avete deciso di unire l’approccio scientifico a quello artistico?

G : Viviamo in un mondo dove la tecnologia ha fatto enormi progressi, e quindi abbiamo l’illusione che la scienza sia onnipotente. In realtà la scienza è lungi dal conoscere tutto e dallo spiegare tutto, e in particolare per quanto riguarda gli ecosistemi, che sono complessissimi, con miriadi di soggetti diversi e di interrelazioni, e in continua evoluzione. Come dicevo prima, ogni disciplina è nei fatti un compartimento stagno: sono davvero pochissimi gli scienziati che si muovono a loro agio tra approcci diversi. Senza contare che sempre di più la ricerca si concentra su tematiche che possano avere applicazioni redditizie, mentre la maggior parte degli studi naturalistici non hanno un’utilità immediatamente riconoscibile. Dell’humus del suolo non sappiamo quasi nulla, perché poche persone hanno provato a studiarlo a fondo. E ora ci accorgiamo che è fondamentale per capire qualcosa del ciclo del carbonio, e quindi dell’effetto serra. Noi abbiamo scelto di concentrarci sul suolo proprio perché ci sembra un emblema della complessità delle dinamiche della natura. La scelta di utilizzare anche l’approccio artistico, fra cui il disegno e brevi testi narrativi, deriva proprio dalla coscienza della parzialità e della limitatezza di quello scientifico. L’arte utilizza i sensi, e l’intuizione, che sono anch’essi fondamentali strumenti di conoscenza.


Che cosa può apportare il disegno alla rappresentazione del suolo?

E : Da quando ho memoria, mi sembra che il disegno mi aiuti a capire meglio il mondo che mi circonda, e me stessa in relazione a esso. Tuttavia, il suolo si è subito dimostrato molto difficile da disegnare: è scuro, tendenzialmente informe, con pochi elementi osservabili a occhio nudo. Le mie conoscenze in merito derivano da testi scientifici corredati da rappresentazioni grafiche e schemi dove tutto sembra essere inequivocabilmente al suo posto. Come fare coincidere queste immagini cristalline con l’universo scuro, informe, e palpitante di vita, che rivelavo scavando con la vanga nei campi? 
Faccio una breve digressione: il mio professore di filosofia del liceo ci introdusse al pensiero di Baumgarten, e in particolare alla teoria dell’Estetica come scienza della conoscenza sensibile. Gliene sarò per sempre grata: quando mi vengono dubbi sulla legittimità dei miei disegni, che sembrano arrancare per poi mai arrivare a una rappresentazione fissa o attendibile, mi dico che in fondo di questo si tratta. E cioè creare, attraverso l’arte, una forma di conoscenza che è a suo agio con l’ambiguità, la polisemia, anche con l’irrappresentabile. E quindi, per tornare al suolo, ho scoperto cha la matita poteva percorre (e poi cartografare) i vuoti del suolo (la terra, che sembra così solida sotto i nostri piedi, è per il 50% del suo volume percorsa da spazi vuoti, necessari perché la terra “respiri”), le sue texture e i suoi odori così pungenti e diversi a seconda della sua composizione, e altre cose che sto ancora scoprendo.


Come avvicinarsi alla terra con i bambini?

  • Sporcandosi le mani! Smantelliamo la convinzione che la terra sia sporca. 
  • Osservandola da vicino: che cosa c’è in superficie, nella lettiera? Se facciamo un buchetto, che cosa troviamo dentro? Quali forme, quali strutture, quali organismi, quali corpi estranei (pietre, legnetti…)?
  • Elaboriamo una descrizione sensibile del suolo: che sensazioni tattili ci comunica? Quali odori? Se appoggiamo l’orecchio a terra che rumori sentiamo?
  • Raccogliamo campioni di terra in luoghi diversi, facciamo una piccola “terroteca”, quanti tipi di marrone troviamo? Ci sono terre più leggere e terre più pesanti? Cosa cambia se le bagniamo?
  • Il suolo è anche vuoti, riempiti d’aria e d’acqua. Procuriamoci una zolla di terra e concentriamoci sui buchi, sulle gallerie, sugli spazi vuoti al suo interno. Proviamo a mapparli, a disegnarli con la matita, a creare una cartografia “in negativo” della zolla che osserviamo. 
  • Indaghiamo se nei parchi, nei prati, nei campi vicino a noi ci sono dei lombrichi. Più lombrichi ci sono, più il suolo è in buona salute! Un indizio può aiutarvi: le loro caratteristiche deiezioni (i lombrichi fanno cacca solo in superficie, mai sottoterra). Di sicuro le conoscete, sono dei turricoli dall’aspetto glomerulare. Molto probabilmente nelle loro vicinanze troverete la galleria scavata dal lombrico.

N.d.r. : la residenza artistica nell’ambito della quale Giacomo ed Elena conducono il loro progetto di ricerca è promossa dal PETR du Cœur des Hauts-de-France, in partenariato con: la Direction Régionale des Affaires Culturelles des Hauts-de-France, il Conseil Régional des Hauts-de-France, il Conseil départemental de la Somme, e le Rectorat de l’Académie d’Amiens.

Giacomo Sartori è agronomo, specializzato in scienza del suolo, e vive in Francia. Ha lavorato in vari paesi nell’ambito della cooperazione internazionale, e ha all’attivo molte pubblicazioni sui suoli e sui paesaggi alpini. Ha insegnato Agronomia generale all’università di Trento. Narratore e poeta, ha pubblicato alcune raccolte di racconti, e sette romanzi, gli ultimi dei quali sono Sono Dio (NN, 2016) e Baco (Exorma, 2019). Suoi testi sono stati tradotti in francese, inglese, tedesco e olandese. È membro del blog letterario collettivo Nazione Indiana.

Elena Tognoli disegna per cercare di capire il mondo visibile e invisibile, fuori e dentro. Nata a Milano nel 1982, vive e lavora a Parigi. Si laurea in Illustrazione presso il Camberwell College of Art (University of the Arts, London), e si specializza in Art and Design in Education all’Insitute of Education (UCL, London). Il suo lavoro artistico è costantemente in dialogo con la sperimentazione in ambito pedagogico. Ha esposto in mostre collettive e personali in Italia, Inghilterra, Belgio e Timor Est. Ha partecipato a numerosi progetti artistici ed educativi con varie istituzioni fra cui: la British Library, Discover – Children’s Story Centre (Londra), l’UNESCO (delegazione di Timor Est), Griffith University (Australia), il SESC (Brasile), Fondazione PInAC – Pinacoteca Internazionale dell’età evolutiva Aldo Cibaldi (Brescia). I suoi scritti sono pubblicati sul blog culturale Nazione Indiana.