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C’era una volta una mappa…

Intervista a Massimo Rossi

Ci sono mappe, scritte tanti anni fa, che rappresentano un mondo molto diverso da come lo conosciamo oggi. Forse non saranno in grado di darci le giuste indicazioni stradali, ma leggerle è ugualmente importante: quante storie sapranno raccontarci?

Perché di fronte a una mappa o un mappamondo sia grandi che piccini provano una sensazione di meraviglia così grande da far spiccare il volo alla loro immaginazione?

Perché, credo, ogni mappa rappresenta un potenziale viaggio. Si vedono dei luoghi e, di conseguenza, l’immaginazione è immediatamente sollecitata.

Dipende ovviamente dal tipo di mappa che abbiamo davanti agli occhi. Una carta tecnica regionale fatta ai giorni nostri non ci permette di compiere chissà quali viaggi, perché offre del mondo un punto di vista molto legato alle superfici ed è in bianco e nero. Se invece guardiamo le mappe del passato, come quelle esposte nella mostra Mind the Map, troviamo colori, ma anche illustrazioni di mostri, animali e paradisi terrestri sparsi in diverse parti del mondo, dall’Europa al lontano Oriente.
Le mappe sollecitano la nostra immaginazione proprio in virtù delle figure e delle annotazioni che ci sono sempre state. Quando guardiamo una mappa, leggiamo anche un po’ la storia dei luoghi che rappresenta. È questo che ci spinge a viaggiare.
Insomma, le mappe soddisfano il nostro bisogno di storie: sono dei piccoli racconti delle cose che accadono nelle varie aree del mondo.


Grazie con le mappe, però, vengono tracciate anche dei confini. Perché questo bisogno da parte dell’uomo di porre delle linee di separazione?

Qui, più che un geografo, dovrebbe rispondere un antropologo. Diciamo che le mappe concretizzano i confini. I confini li vediamo su una mappa perché appunto lì sono ben delineati. Storicamente, i confini esistono dove ci sono dei punti di transito.
I confini ci servono, perché sono sia un modo per dividere sia un modo per unire: il confine mi diversifica da quello che sta dall’altra parte e, di conseguenza, mi permette di rappresentare me stesso ai miei occhi. In un suo scritto, Umberto Eco riporta un dialogo avuto con un tassista di origine indiana che, in una corsa tra le strade di New York, a un certo punto gli aveva chiesto quale fosse il “nostro” nemico. Eco, sorpreso per la domanda, aveva risposto che non ne abbiamo alcuno. Lo scambio di battute, però, aveva scatenato una riflessione su quanto sia importante la figura di un nemico, che rappresenta l’alter ego di noi stessi e che ci permette di definirci per contrasto: solo il diverso da me mi aiuta a capire chi sono. Allo stesso modo, se pensiamo all’Unità d’Italia o alla Prima Guerra Mondiale, le mappe hanno delineato dei confini ancora prima che questi esistessero, per esempio con l’Alto Adige e la Venezia Giulia.
Il confine, nella misura in cui diversifica, ci aiuta. Io, però, credo che più che sui confini, che sono separazioni nette, dovremmo ragionare sulle frontiere. La frontiera è diversa: è una linea larga, che aiuta il transito e all’interno della quale io mi diversifico e mi trasformo
Infine, i confini non sono mai naturali. La natura non è cosciente di formare un confine, è l’uomo che storicamente decide che c’è un momento e un luogo in cui si passa a qualche cosa di diverso. I confini sono una decisione umana. Pensiamo al confine tra Libia ed Egitto: è un bidone in mezzo al deserto che riporta un cartello con scritto da una parte Libia e dall’altra Egitto.


Poco fa ci ha detto che il grande fascino delle mappe sta nella loro capacità di raccontare storie. Tra tutte quelle che conosce, ce n’è una che preferisce?

Ce ne sono molte, proprio perché ognuna racconta una storia diversa. Lo vediamo nella mostra Mind the Map, il cui titolo già suggerisce di fare attenzione alle mappe, che, nel loro mettere a posto il mondo, danno sicurezza, ma restano pur sempre una costruzione umana. In una mappa ho la sensazione di riconoscere il mondo. Ci ritrovo nomi noti e nuovi, confini ordinati che mi aiutano a comprendere quello che altrimenti sarebbe un mondo difficile, complicato e pericoloso.
Nella mostra abbiamo inserito mappe medievali e rinascimentali, le mappe dei grandi viaggi delle esplorazioni geografiche. In particolare, c’è l’Atlas Catalan, fatta nel 1375, su cui è riportata tutta la toponomastica dell’area asiatica tratta dal Milione di Marco Polo, di cui sono riportate figure e citazioni.

Vi compaiono, per esempio, i pescatori di perle dell’Oceano Indiano, che, prima di tuffarsi, pregano così da non essere divorati dai pesci. Oppure, là dove è collocata la tomba del Gran Khan, è scritto che quando un Gran Khan muore, anche se molto distante dal mausoleo, viene portato scortato dai suoi cortigiani, che uccideranno chiunque incontreranno sul loro tragitto, consacrando le vittime all’onore di servire il Gran Khan nell’altro mondo.

Le mappe ospitano storie che appartengono a culture diverse. Ecco perché mi piacciono tante mappe, che, del resto, sono oggetti bellissimi. È davvero difficile non avere un rapporto culturale con loro.

Massimo Rossi è geografo, laureato in Lettere con lode all’Università di Ferrara, borsista presso la Newberry Library di Chicago, dottore di ricerca in Geografia storica presso l’Università di Genova, abilitazione scientifica alle funzioni di professore di seconda fascia nel settore concorsuale 11/B1 Geografia. È quadro con funzioni direttive, responsabile della cartoteca e dell’area di ricerca “Studi geografici” della Fondazione Benetton Studi Ricerche. Membro del comitato scientifico della Biblioteca Bertoliana di Vicenza e del Comitato Nazionale Antonio Pigafetta per le celebrazioni del primo viaggio intorno al mondo (1522-2022), per il Centro Italiano per gli Studi Storico-Geografici coordina la sezione di Storia della cartografia ed è membro del direttivo e della rivista “Geostorie”. Ha insegnato Geografia come professore a contratto nelle università di Padova, Ferrara e IUAV di Venezia ed è socio della Deputazione di Storia Patria per le Venezie. Fa parte del gruppo di lavoro dell’ICCU per l’elaborazione della scheda catalografica nazionale della cartografia. Ha ideato e coordina dal 2012 il progetto Atlante Veneto in partnership con la Regione del Veneto e il Segretariato Regionale del MiC (sede di Venezia). Nell’ambito della celebrazione del Centenario della Grande Guerra ha curato il progetto scientifico della mostra La geografia serve a fare la guerra? (2016-2017), che ha ricevuto la “Medaglia di rappresentanza” del Presidente della Repubblica Italiana Sergio Mattarella. Ultima pubblicazione Mind the Map!
Disegnare il mondo tra l’XI e il XXI secolo
, Antiga-Fondazione Benetton Studi Ricerche, Treviso, 2022.