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Che cos’è un archivio?

Articolo a cura di Danilo Craveia

Archivio è una parola antica. Greca. Poi latina. È una parola misteriosa, mai oziosa, sempre pericolosa. Esiste addirittura un “mal d’archivio”, secondo Derrida. Ambiguo e potente, il termine archivio indica sia il contenitore, sia il contenuto. Basta questo a confondere le idee. Archivio è potere (l’informazione è potere solo se è archiviata, cioè reperibile, altrimenti non è informazione, cioè non è potere). Archivio è ordine, ossia sistema non caotico, ovvero cosmico. Ma ordine allude anche al comando. Chi archivia mette in ordine e impartisce ordini. Archivio è soprattutto futuro, perché archiviare significa progettare. Niente è più orientato al futuro di un archivio, che non è mai un deposito o un magazzino, ma piuttosto un arsenale. Chi pensa agli archivi come inutili accumuli di scartoffie polverose non ha mai frequentato un archivio. E soprattutto non ha mai considerato che il passato non è solo quello remoto, delle pergamene e dei sigilli di ceralacca, ma è anche quello prossimo, quello dei byte. Il passato è adesso. Anzi adesso. Adesso. Adesso… Quel passato, che assomiglia tantissimo al presente, ma più ancora al futuro si chiama “tempo reale” perché è archiviato, ordinato, reperibile. Ed è “reale”, per quanto virtuale, al punto di farci vivere convinti che Internet sia una proiezione sul domani, quando invece non è altro che una rapidissima sovrapposizione di infiniti ieri. Big data sta per grandi archivi. Consultabili alla velocità della luce, ma pur sempre archivi. Autogeneranti. Algoritmicamente. Ma non per questo meno archivi. Immaginare è ricordare rapidamente. E la creatività è archiviazione efficiente. Si pensa solo ciò che già esiste e ciò che esiste è negli archivi. Siano essi l’Archivio Segreto Vaticano o i cervelloni elettronici della Silicon Valley o i server delle piattaforme dell’e-commerce. Il telefono che state usando è un archivio inserito in un archivione nuvoloso a cui attinge e che implementa. Mai stati più archiviatori né più archivisti di oggi, in nessuna epoca passata. E andrà sempre meglio, o peggio, dipende da come la si vuole vedere.

Gli archivi sono garanzia di civiltà. I barbari, di tutti i tempi, distruggono gli archivi. Perché vogliono un mondo nuovo, senza memoria, fatto solo di oggi, un oggi senza fine, che però dura pochissimo. Ma più spesso la barbarie si accanisce contro gli archivi perché la memoria genera sensi di colpa e fabbrica colpevoli. La civiltà si fonda sulla scrittura, ma senza archiviazione la scrittura non si conserva e la civiltà scade come uno yogurt. Gli archivi presidiano la giustizia (la giurisprudenza è archiviazione di sentenze). Gli archivi difendono la libertà.

Esiste una pagina di Wikipedia che si chiama List of archives. Un piccolo archivio di archivi. Un hub culturale senza pretese, che si descrive così:

“This is a list of archives from around the world. An archive is an establishment that collects, stores and preserves knowledge in several formats: books, manuscripts, journals, newspapers, magazines, sound and music recordings, videos, play-scripts, patents, databases, maps, stamps, prints, drawings and more. The International Council on Archives comprises 1400 members in 199 countries”.

Niente male, no? L’ICA elenca le grandi concentrazioni archivistiche istituzionali, dagli Archivi di Stato dell’Azerbaigian a quelli venezuelani. Passando per le maggiori biblioteche e per i più rilevanti musei. Come a dire che l’umanità e gli archivi sono inscindibili. Non esiste l’una senza gli altri. Archivio ergo sum.

Agli archivisti non piace mescolarsi con bibliotecari e museologi, ma è il caso di smettere di tirarsela… Tutto è memoria di tutto, facciamocene una ragione. Non si può conservare tutto, ma ogni volta che si sceglie di distruggere, si perde qualcosa: e il tutto è un po’ meno tutto. Perché tutto si tiene. Una bolla pontificia, una cinquecentina veneziana, una tavola fiamminga, un manifesto pubblicitario futurista, un giornale studentesco vietnamita, le diapositive delle vacanze, il Super8 del cane in cortile, l’etichetta di una birra messicana, una programmazione in MS-DOS, un sito realizzato con WordPress, … Che cosa “vale” di più? La risposta che avete in mente è quella sbagliata. La risposta giusta è quella “accanto”. E la fornisce l’archivio, anzi l’archiviazione. Perché ciò che conta, archiviando, è la conservazione dei rapporti, la strutturazione delle relazioni, la valorizzazione delle possibili interazioni, anche tra “supporti” diversi. E la trasmissibilità delle notizie. Serve aggiornare, copiare, trasmigrare.

Gli archivi sono una rete. Quelli che credono di dover creare reti di archivi sono dei presuntuosi. Non c’è niente da creare, tutt’al più si tratta di scoprire tessuti connettivi spazio-temporali che esistono già. La tecnologia facilita le cose e le complica. Ma mai come in questo momento il sapere e la sua gestione archivistica è fluido e scorrevole. Ora siamo nelle collezioni della Biblioteca del Congresso degli Stati Uniti d’America a informarci sugli anarchici italiani di Paterson, tra un istante, tramite un link, nelle infinite occorrenze di Gallica per consultare i registri dei battesimi del Seicento di una piccola parrocchia della Savoia, appena dopo a perdersi tra gli innumerevoli volti della National Portrait Gallery, da lì su Archive.org, su Google Books o sulle emeroteche digitali russe, quindi su Europeana per la Grande Guerra, fino al SAN Sistema Archivistico Nazionale, e poi laggiù negli archivi dei paleoclimi a leggere carote di ghiaccio… E via così. Navigando tra le fonti. Senza filtri, o quasi. Negli archivi d’impresa che adesso vanno di moda, negli archivi della moda, che vanno sempre di moda, Nella baraonda incontrollabile e tumultuosa dei blog, dei portali tematici, dei social. Notti perse, chilometri risparmiati.

Ma allora gli archivi sono già tutti dematerializzati? Gli originali, quelli scritti a mano o stampati a contatto, esistono ancora? Il bello di quest’epoca di pura follia e di inconsapevolezza archivistica è che carta e cloud riescono a convivere. Così si può sperimentare la vertigine intellettual-sensoriale di avere gli occhi su un touchscreen e le mani sulla pagina ruvida di un antico codice. Lo stesso polpastrello sfiora la fotografia ritoccata su Instagram (che non sembra, ma è un archivio) e il tessuto di un campionario di un lanificio biellese. O viceversa. E scoprire, annullando le distanze, che locale e globale si incontrano, che esperienza individuale e collettiva si mescolano, che entrambe le condizioni sono autentiche e vere, perché noi stessi siamo medium e testimoni. Perché siamo archivi. Perché prima di smettere di essere archivi, smetteremo di essere uomini.

Foto Danilo Craveia
© Festivaletteratura

Danilo Craveia è nato a Biella il 28 marzo 1974. Dopo la maturità scientifica si diploma in Archivistica, Paleografia e Diplomatica presso la Scuola dell’Archivio di Stato di Torino nel settembre 2001. Specializzato nella catalogazione e nel riordino di fondi industriali (specialmente in ambito tessile), fondi ecclesiastici e fondi fotografici, svolge attività di archivista (e bibliotecario) per il DocBi Centro Studi Biellesi presso il Centro di Documentazione dell’Industria Tessile alla Fabbrica della Ruota di Pray (BI), per il Santuario di Oropa e Casa ZEGNA, appartenente alla Fondazione Zegna. Svolge attività di consulente tecnico-archivistico per la realizzazione del Centro Rete Biellese degli Archivi Tessili e della Moda della Provincia di Biella e per Festivaletteratura di Mantova. Già assessore alla Cultura del Comune di Tollegno, ha pubblicato studi storici di carattere locale (tra cui la monografia “Gli eremiti della Brughiera” nel 2006) e vari saggi apparsi su diversi bollettini DocBi, su “Rivista Biellese” e “La Bruera”. Dal 2000 collabora con il giornale locale “Eco di Biella” e dal 2002 è collaboratore culturale del Santuario di Oropa, per cui ha curato diverse mostre fotografiche e tematiche. Nel 2008 ha preso parte alla campagna di studio sulle residenze e i parchi del Biellesi (con un saggio pubblicato sul volume “Il paesaggio ordito”). Tra le sue ultime curatele: “Grigioverde dal telaio alla trincea. Le fabbriche biellesi nella Grande Guerra” (2016, con Marcello Vaudano) e “Viva i vivai! Storia del florovivaismo nel Biellese” (2017). È vicepresidente dell’Associazione ‘ArchiVivo – Amici dell’Archivio di Stato di Biella’.