Vai al contenuto

Città tra arte e gioco

A cura di Giorgio Cellini

Premessa della Redazione:

Questo è stato uno dei primi contributi ricevuti, quando ancora non sapevamo cosa sarebbe stato FarFarFare e, soprattutto, prima della pandemia. Eppure, rileggendolo, emerge l’estrema contemporaneità di queste sperimentazioni artistiche che giocano con lo spazio della città, con le relazioni che questi spazi generano, l’erranza nello spazio come possibilità di conoscenza… 

La città è fonte di ispirazione, è fonte di idee, è un terreno perfetto per una ricerca artistica sempre nuova. Se ci pensiamo, nella storia dell’arte si susseguono interi dipinti di città: dalla Venezia di William Turner, alla cattedrale di Rouen di Monet, o alla città distrutta di Guernica di Picasso. In un modo o in un altro, la città è sempre stata terreno fertile per sviluppare un’arte, un messaggio, un’idea. 

Certuni al giorno d’oggi non sopportano i modi in cui la nostra società vuole organizzarli, inquadrarli, determinarli. E fuggono. Scelgono gli smarrimenti del cuore e dello spirito. Rifiutano caserme e autostrade e preferiscono i cammini che prendono direzioni alternative, i sentieri che biforcano, i lieti errori. In modo almeno provvisorio hanno cessato di coltivare, di costruire, d’abitare: lottano contro ogni installazione, contro tutte le istituzioni. Errano, vagabondi insolenti, stregoni avidi.” 

Gilbert Lascault, Baruchello ovvero del diventare nomadi, Ed. Galleria il Chiodo, Mantova, 1977

La città è uno di quei macro-luoghi sociali all’interno dei quali emergono le esigenze e le istanze di una collettività. L’arte, che, attraverso gli artisti, è il luogo della metabolizzazione, della critica e dell’espressione dei paradigmi contemporanei, è da sempre stata interessata all’oggetto città e, attraverso differenti approcci, metodi e pratiche, è stata rappresentata, percorsa e vissuta perché ci fornisse, consciamente o inconsciamente, interpretazioni, suggerimenti e prospettive sulle città passate, presenti e possibili. 

Proverò a raccontarvi di quei primi artisti d’avanguardia che si sono relazionati con la città passo dopo passo, camminando e dando il via a una serie di pratiche artistiche caratteristiche della storia dell’arte.

IL TURISMO DELL’INUTILE

I dadaisti di passaggio a Parigi, volendo rimediare all’incompetenza delle guide e di sospetti ciceroni, hanno deciso di intraprendere una serie di visite in alcuni luoghi scelti, in particolare quelli che non hanno veramente alcuna ragione di esistere.[…]

Tratto da un volantino Dada distribuito il 21 Aprile 1921

Cominciamo da Dada

Dal primo dopoguerra i dadaisti conducono deambulazioni all’interno dello spazio urbano. La prima, avvenuta il 14 aprile del 1921, segnerà un passaggio fondamentale nella storia dell’arte, e non solo. Ma facciamo una piccola digressione che ci sarà utile a inquadrare queste azioni nella storia dell’arte. In quegli stessi anni, Marcel Duchamp propone a un salone americano per giovani artisti la sua famosa Fountain (1917) – l’orinatoio, per intenderci – in cui l’attenzione e l’azione dell’artista si sposta su di un oggetto che, per la sua modestia, la sua ordinaria funzione, la sua consueta forma e il suo carattere di merce, non era considerabile oggetto o soggetto dell’arte. Su tale oggetto l’artista interviene con dei piccoli ma decisivi gesti. L’orinatoio, prima opera nominata ready-made da Duchamp, viene capovolto e appoggiato su di un piedistallo diventando un’opera d’arte o, meglio, diventando uno degli interventi in campo artistico più rilevanti e fertili. I dadaisti seguiranno lo stesso percorso di genesi dell’opera non con un orinatoio, ma con un altro strano oggetto: il movimento

Se per il futurismo quest’ultimo viene declinato come velocità, nella sua eccezione nobile di potenza e capacità sovrumana della macchina che racconta la città del futuro, per Dada il moto è quello umano del camminare, senza una specifica funzione o obiettivo, nella città del banale. Poiché la città del futuro non è una città vivibile, dato che esiste solo nel divenire, le azioni dei futuristi nella città del loro presente si limitano a qualche scazzottata o a qualche evento all’interno di gallerie, salotti letterari ecc. I dadaisti, invece, trovano con facilità la città del banale, e compiono azioni di vita quotidiana connotate da gratuità e non funzionalità che, in quanto critica alla società borghese tra le due guerre, diventano vere e proprie operazioni artistiche. Proprio come Duchamp con l’orinatoio, il deambulare in modo erratico per la città dei dadaisti sposta il “luogo dell’arte” dall’interno (del museo, della sala teatrale, della galleria) all’esterno (la città, ad esempio), trasformando la vita quotidiana in un oggetto estetico: le meraviglie del quotidiano!

Il 14 Aprile del 1921 la sezione francese di Dada (di cui uno dei membri sarà il futuro surrealista André Breton) dà appuntamento di fronte a Saint-Julien-Pauvre con questo documento diffuso dalla stampa:

Oggi alle 15 nel giardino della chiesa di Saint-Julien-Pauvre… Dada inaugura una serie di escursioni a Parigi, invita gratuitamente amici e nemici a visitare le dépendances della chiesa. Sembrerebbe infatti che si possa trovare ancora qualche cosa da scoprire nel giardino, seppure sia già noto ai turisti. Non si tratta di una manifestazione anticlericale, come si sarebbe tentati di credere, ma piuttosto di una nuova interpretazione della natura, applicata questa volta non all’arte, ma alla vita.

Con la visita alla chiesa parigina (che all’epoca dell’operazione dadaista era abbandonata) la città, dall’essere rappresentata per la sua specialità e grandezza, diventa la città del quotidiano, la città banale da vivere e abitare.

La passeggiata per le strade di Parigi del flânerie, analizzate e descritte da Walter Benjamin con riferimento al poeta Charles Baudelaire, non sono più mediate dalla poesia, ma sono vissute e inscritte nello spazio e nel tempo reali1.

L’arte interviene colmando quei vuoti lasciati dall’organizzazione urbanistica e sociale senza lasciare tracce com’è proprio di architetti e urbanisti con la loro pianificazione su piccola o grande scala. Se l’artista era abituato a costruire, decorare o inserire il suo evento nella città, come una bella statua equestre, per esempio, e il pubblico era abituato a contemplare, ora le regole vengono stravolte. I dadaisti si recano nel luogo prescelto e senza lasciare tracce, se non per una fotografia che ritrae il gruppo di fronte al giardino della chiesa, un comunicato stampa e il testo del manifesto distribuito ai passanti, compiono le loro azioni non funzionali, coinvolgendo i passanti perché siano parte integrante dell’operazione: durante quel pomeriggio verranno letti frammenti casuali estratti dal dizionario, verranno consegnati doni ai passanti, eccetera. 

I dadaisti sono coscienti di non stare facendo nulla, ed è per questa ragione che probabilmente le loro visite non avranno luogo, ma il loro atteggiamento contraddittorio, nichilista e oppositivo è da leggersi come protesta nei confronti dei falsi miti della ragione positivistica, negando la ragione e optando piuttosto verso un irrazionalismo psicologico e metafisico2.

L’esplorazione del banale di Dada fornirà il substrato per l’applicazione delle teorie freudiane dell’inconscio alla città. 

DAL BANALE ALL’INCONSCIO

Bisogna essere nomadi, attraversare idee come fossero nazioni, paesi e città.

Francis Picabia

Veniamo ora a un altro gruppo di artisti, i surrealisti, che incarnano la continuazione e, in alcuni casi, l’evoluzione di Dada, e a come si oppongono al cuore della società borghese e al suo assetto funzionale.

Tre anni dopo il tour dadaista del 1921, Luis Aragon, André Breton, Morise e Roger Vitrac organizzano una deambulazione nella campagna francese, un luogo fuori dal tempo che rappresenta l’idea di una società primitiva, o quantomeno una società preindustriale e preurbana. Questo è il luogo in cui i futuri surrealisti si danno appuntamento per superare il reale banale e giungere passo dopo passo all’inconscio, all’onirico e al desiderio, attraverso un vagabondare senza meta di diversi giorni. Un viaggio iniziatico che segnerà l’inizio del surrealismo, tanto nella pratica quanto nella teoria: proprio dopo essere tornato da questo viaggio, Breton scriverà l’introduzione al Primo Manifesto del Surrealismo del 1924.

Dopo questa preliminare esperienza la ricerca dell’inconscio dev’essere ricondotta lì dov’è andata perduta, dov’è mascherata e sostituita dalla frenetica vita di cittadino. Così Aragon scriverà Le Paysan de Paris, testo in cui Parigi viene raccontata con l’intento di costruire una nuova mitologia intorno ai luoghi banali e periferici, spesso sfuggiti alla modernizzazione. Per acquisire un nuovo sguardo sulla metropoli Aragon scomoda un campagnolo che nella sua ingenua inesperienza rimane affascinato e destabilizzato da quei luoghi che sono in grado di condurlo su di un piano altro della realtà. Le passeggiate notturne svolte da un folto gruppo di surrealisti per il parco di Buttes-Chaumont diventano uno dei passaggi centrali del libro di Aragon. La notte, il parco diviene luogo di transito del subconscio, in cui è possibile che avvengano rivelazioni straordinarie, incontri inconsueti, avvenimenti inattesi, giochi collettivi e la scoperta di object trouvé3. Forti delle teorie psicoanalitiche, lo spazio urbano viene vissuto come lo spazio della mente: le zone e i momenti che sfuggono alla progettazione e regolazione diventano quelli in cui è possibile rivelare una realtà non visibile.

Se per Dada la città è del ridicolo, del nichilismo rivolto nei confronti della cultura borghese, per i surrealisti il territorio dell’inconscio si sovrappone a quello del banale come spazio del possibile, uno spazio potenziale fino ad ora non visibile. L’inconscio non è solo il grimaldello della negazione dell’esistente, ma è anche lo strumento in grado di destare la coscienza di coloro che hanno abdicato alla libertà in nome di credenze e costrutti sociali (onestà, patriottismo…4).

UNA RICERCA EMPIRICA
IN BALIA DELLE CORRENTI

[…]Abbiamo già segnato il bisogno di costruire delle situazioni come uno dei desideri base su cui verrà fondata la prossima civiltà. Questo bisogno di creazione assoluta è stato sempre strettamente legato al bisogno di giocare con l’architettura, il tempo e lo spazio.

“Formulario per un nuovo urbanismo”, in Internazionale situazionista, n.1, 1958, Parigi.

A compiere un passo in avanti nelle passeggiate in città degli artisti di avanguardia saranno i membri dell’Internazionale lettrista prima e dell’Internazionale Situazionista dopo. Questi due movimenti nascono dall’interazione e contatto tra artisti uniti da un pensiero radicale di critica alla società. La loro prassi mira alla rivoluzione attuabile con la costruzione di situazioni che permettano all’individuo e alla collettività di indagare e realizzare i desideri più autentici. Fondata a Parigi, l’Internazionale lettrista confluirà nell’Internazionale Situazionista (1957) divenendo un’organizzazione internazionale. Le tratteremo qui come un’unica entità poiché il loro pensiero e le loro azioni all’interno della città migrano con continuità da un gruppo a quello successivo.

A differenza dei surrealisti, criticati aspramente dal nuovo gruppo, la ricerca dell’Internazionale lettrista e dell’Internazionale Situazionista non riconosce l’esclusività del potenziale rivoluzionario nell’inconscio.

La città diventa quindi un grande campo di gioco, affascinante e destabilizzante, in cui sperimentare un nuovo vivere. I membri dell’Internazionale Situazionista, come novelli portolani, intraprendono le derive, attraversate per le vie e quartieri in balia degli eventi, dei flussi, delle contingenze. Le derive potevano durare anche giorni e venivano effettuate collettivamente a Parigi, ma anche in altre città, soprattutto quelle con particolari connotati funzionali al disorientamento, come Amsterdam e Venezia.

Modo di comportamento sperimentale legato alle condizioni della società urbana: tecnica di passaggio frettolosa attraverso veri ambienti. Si dice anche, più particolarmente, per designare la durata di un esercizio continuo di questa esperienza.

“Definizioni”, Internazionale situazionista, n.1, 1958, Parigi.

Questa navigazione tra i flutti metropolitani possedeva una valenza empirica di enorme importanza: l’obiettivo era quello di tracciare delle mappe psicogeografiche, cioè rilevare zone omogenee di influenza fisica e psichica, che travalicassero qualsiasi tipo di connotazione e definizione preliminare (toponomastica, economica, funzionale…).

Il bighellonare situazionista possiede quindi una doppia finalità: la prima è quella più immediata e liberatoria agita e vissuta dai protagonisti della deriva, mentre la seconda è la funzione, di carattere speculativo, utilizzata dallo studio psicogeografico. Proprio la necessità di una metodologia scientifica, con regole e indicazioni, impone alla deriva di accettare e praticare il caso e l’inconscio, senza poterli considerare come elementi fondanti della pratica. 

La città borghese con le nuove regole di gioco dettate dall’Internazionale Situazionista prende le forma della città ludica in cui il tempo vissuto non è più quello utile, ma quello costruttivo del gioco.  Quello che si cerca è un tempo libero, che diventa tempo liberato dalla ricerca di soddisfazione dei bisogni indotti dal capitalismo. 

Perdersi per la città diviene un mezzo estetico e sovversivo dell’arte, che travalica i suoi originari confini per sfociare nella vita reale, permettendo di riappropriarsi del proprio territorio. 


NOTE

1 • F. Careri, Walkscapes. Camminare come pratica estetica, Einuadi, Torino, 2006, pag 51.
 2 • «[…]una rivolta che esigeva un’adesione completa dell’individuo alle necessità della sua natura, senza riguardi per la storia, la logica, la morale comune, l’onore, la Patria, la Famiglia, l’Arte, la Religione, la Libertà e delle necessità umane di cui però  non sussistevano che delle scheletriche convenzioni, perché erano state svuotate da loro contenuto iniziale.» afferma Tristan Tzara in u’intervista radiofonica del 1950 che fa riferimento alla nascita di Dada.
M. De Micheli, Le avanguardie artistiche del novecento, Feltrinelli, Milano, 1986, pag 153
3 • Termine che che in arte viene utilizzato per la prima volta da Duchamp in riferimento allo Scola bottiglie.
4 • “Aprite le prigioni! Congedate l’esercito!”. La Révolution Surréaliste, n.2, 15/01/1925.

Giorgio Cellini (Torino, 1990)

Sin dai primi anni di vita pratica l’arte a lui contemporanea. Si sposta a Milano per intraprendere la pragmatica dell’effimero e dove continua a sperimentare la quotidianità dell’arte fin quando ne avrà voglia.