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Contorni di neve

Intervista a Ninamasina

La neve trasforma il paesaggio. Senza cancellare ciò che copre, nasconde forme ed elementi, ispira ricordi, lascia spazio all’immaginazione. Anna Masini, nel suo libro Questa notte ha nevicato, edito da Topipittori, racconta con la fotografia e il disegno come una città rivestita di neve appaia d’un tratto magicamente diversa. Qual è lo sguardo capace di cogliere l’incanto di un nuovo paesaggio? Abbiamo incontrato Ninamasina perché ci svelasse questo segreto… e non solo.

Vorremmo partire da una citazione tratta dal libro La musica della neve di Davide Sapienza, dove l’attenzione è dedicata al rapporto tra il suono e la neve:

Quando la neve si adagia, è sorgente di conoscenza e si fa riconoscere in sostanza pura:  energia vitale. La neve ha cantato note infinite per eoni, affidandosi al viaggio delle epoche esattamente come la musica ha seguito la storia, rendendo eterne vicende e luoghi poiché, indomabile e libera, è sfuggita a ogni controllo. E come la musica, la neve ha cantato e si è espressa dove la Terra può godere di una solitudine raramente concessa alla nostra stupida cagnara quotidiana.

Sfogliando il tuo libro, si ha proprio la sensazione di poter prendere fiato e mettere a tacere, almeno per un po’, il frastuono della città. Quale ruolo ha avuto l’ascolto, se lo ha avuto, nel processo del disegno, più legato alla dimensione visiva?

L’ascolto, il suono e la sua assenza, o, per meglio dire, il suono trasformato, sono stati elementi fondamentali. Anzi, dovrei dire che è tutto iniziato proprio da una percezione uditiva. La mattina dopo la grande nevicata da cui è nato il libro, quando ero ancora a letto, sotto le coperte e con gli occhi chiusi, avevo già intuito che, una volta alzata, avrei trovato il paesaggio innevato: il silenzio delle prime ore del giorno era un silenzio diverso dal solito. Probabilmente ho sentito il rumore attutito del passaggio di una macchina, ma, qualunque cosa fosse, sapevo già a orecchio che ci sarebbe stata la neve. E, infatti, così è stato. 
Il passo che hai letto parla di una solitudine raramente concessa. Ed è vero perché, soprattutto per noi che viviamo in città, la neve è un elemento insolito e magico, che ci stupisce. Secondo me, però, la neve non provoca assenza di suono. Piuttosto, lo trasforma, perché anche il suo silenzio ha un suo peso. Esattamente come il suo bianco, che, nel coprire le cose, non le cancella. È dunque il pensiero e il ricordo di un suono modificato che mi ha accompagnato nel corso di tutto il processo.


La tua narrazione alterna fotografia e illustrazione. Da dove è nata l’idea di far dialogare due strumenti che, pur avendo dei tratti in comune, sono molto diversi?

Da una sperimentazione, semplicemente. All’inizio, il progetto era soltanto fotografico. Tuttavia, una volta individuate le immagini per ordine e quantità, avevo la sensazione che risultasse un libro freddo, una sorta di catalogo fotografico destinato a lettori adulti e in cui fosse estremamente difficile immergersi. Non ero sicura, insomma, che riuscisse a raccontare la semplice storia della passeggiata mattutina che avevo in mente. Così, ho provato ad aggiungere il disegno a matita. Del resto, anche riguardando le foto di quei giorni, la città ricoperta di bianco appariva come disegnata: rimanevano visibili i contorni, talvolta i volumi delle cose. Ho preso una matita, poi un carboncino, e, poiché mi sembrava che il tutto funzionasse, sono andata avanti. Il risultato, alla fine, è piaciuto anche all’editore, che all’inizio, quando per la prima volta ho proposto di introdurre anche il disegno, non era d’accordo: l’idea di partenza era un libro solo fotografico, ma l’esperimento è riuscito a convincere tutti.


A luglio abbiamo chiesto ad alcune illustratrici e illustratori di mostrarci come avessero disegnato o disegnerebbero un elemento invisibile come l’aria. Nel corso dei summer camp che abbiamo tenuto in Triennale la scorsa estate, abbiamo rivolto la stessa domanda, dal sapore quasi filosofico, anche ad alcuni dei bambini che abbiamo incontrato. Credo che valga la pena interrogarsi in modo simile anche nei confronti della neve, che pure ci pare in qualche modo più visibile. A che cosa ti sei ispirata per disegnarla? Forse, torna la corrispondenza a cui accennavi poco fa tra il mostrare e il nascondere, tra il rendere visibile attraverso i contorni, i volumi…

Sì. Nel rendere visibile la neve mostri quello che è nascosto. Disegni i contorni delle cose che rimangono, che non sono cancellate ma coperte da uno strato che, a sua volta, ha un volume, un’ombra, uno spessore. Si tratta soltanto di mostrare diversamente le cose, con la loro forma, ma non con la linea che la nostra memoria attribuirebbe loro.


Come ti sei confrontata con gli altri libri in cui la neve è protagonista? Penso a Cappuccetto Bianco di Bruno Munari o a On dirait qu’il neige di Remy Charlip o ancora Era inverno di Aoi Huber-Kono…

Tutti i libri che hai citato sono illustrati in una maniera più grafica, più concettuale, che lascia grandissimo spazio all’immaginazione: in una pagina bianca ti puoi tuffare e una pagina con delle orme ispira tantissime possibilità. Il mio punto di partenza, invece, erano delle fotografie, che, da un certo punto di vista, possono limitare molto l’immaginazione. D’altronde, quando guardi una foto, hai davanti a te una precisa fetta di realtà. Ecco perché ho voluto aggiungere il disegno, per provare a dare un tocco più etereo, onirico e fiabesco; insomma, per regalare al libro un tono più giocoso che potesse permettere a chi l’avesse sfogliato di fantasticare, di guardare da un insolito punto di vista elementi che sono tutti i giorni sotto i nostri occhi. Volevo suggerire che un marciapiede, un tombino, o qualunque altra cosa siamo abituati a incontrare per strada, quando all’improvviso sono ricoperti di neve, possono sembrare tutt’altro e, soprattutto, qualcosa di diverso a seconda di chi li guarda. Mi sembrava un bel gioco da proporre, che, però, aveva bisogno del segno e non soltanto della fotografia. Mi sono confrontata con diversi volumi, come Milano città imprevista di Mario De Biasi, che racconta dell’incredibile nevicata che ha colpito Milano negli anni Ottanta. Ed è stato importante anche vedere come la neve sia stata raccontata dai grandi pittori. Infine, ho cercato di trovare quello che volevo dire io e come volevo farlo: ho deciso che doveva essere molto semplice, ma, al tempo stesso, capace di prendere per mano chiunque avesse letto la mia storia e portarlo a immaginare le cose in modo diverso da come di solito gli appaiono.

Anna Masini (a.k.a. Ninamasina) vive e disegna a Milano, dove si occupa di illustrazione, libri e tessuti. Lavora principalmente con pennelli, inchiostri e tecniche di stampa manuali. Per l’editoria progetta e disegna albi illustrati, di cui è talvolta anche autrice, e dal 2014 porta avanti Red Boots, la sua personale etichetta di libri illustrati autoprodotti. Il suo lavoro esce spesso dai confini della carta stampata, con incursioni nel mondo dei tessuti e dell’artigianato. In maniera del tutto occasionale, ama stampare e cucire accessori e pupazzi di stoffa, e da diversi anni disegna le edizioni limitate per alcuni atelier di moda milanesi. Ninamasina è il suo nome d’arte, un gioco di lettere che mescola e fonde nome e cognome in una sola parola.