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Decise Utopie

Laboratorio a cura dei Ludosofici

Una città rappresenta lo spazio condiviso da una società.

Che cosa sia una società, più o meno tutti saprebbero dirlo. Ma «che cos’è una buona società?» è una domanda più complessa, perché implica altri concetti decisamente impegnativi. Non si può, per esempio, stabilire che cosa sia una buona società senza indagare l’idea di giustizia, che nel corso dei secoli è cambiata molto, assumendo forme e sfumature diverse a seconda dei contesti e delle sensibilità dell’epoca. 

Così, se è difficile stabilire in che cosa consista una buona società, non sarà immediato nemmeno decidere quali caratteristiche debba avere una città adeguata a rappresentarla: una città ideale. Eppure, anche se rispondere definitivamente sembra impossibile, gli esseri umani si sono da sempre interrogati su simili questioni con curiosità, passione e impegno.

Il filosofo Platone, vissuto a cavallo tra V e IV secolo a.C., ha dedicato un intero libro, intitolato La Repubblica, alla descrizione di quella che per lui sarebbe stata la società ideale. 

In questa società i cittadini sono divisi in tre classi. Nella prima si trovano gli artigiani, i contadini, i pastori, i sarti, i muratori: tutti quelli cui spetta procurare i beni materiali. Nella seconda ci sono i soldati, che hanno il compito di proteggere la città dai nemici. Infine, la terza e ultima classe è quella dei filosofi, che devono governare la città.

Perché la società sia giusta ed equilibrata – sostiene Platone – è sufficiente che ognuno svolga il proprio ruolo nel modo migliore possibile. Per noi, però, la società auspicata da Platone non potrebbe mai considerarsi giusta, e per più di un motivo: da un lato nessun cittadino può scegliere autonomamente il proprio mestiere, ma deve attenersi per tutta la vita alla decisione che fa per lui chi lo governa; dall’altro, le donne sono completamente escluse dalla vita della società, essendo loro impedito di lavorare, di combattere e di governare.

Molti anni dopo, nel 1516, il filosofo inglese Thomas More pubblica la sua opera più famosa, intitolata Utopia. Thomas More sceglie proprio questa parola per dare un nome alla città ideale che progetta: Utopia è una società dove regna l’armonia, perché ogni cosa è di tutti, si lavora sei ore al giorno per dedicare il resto del tempo al riposo, c’è libertà di parola e ciascuno può praticare la religione che preferisce. Insomma, tutto fa pensare che Utopia sia davvero la città ideale. Eppure, a ben guardare, anche alcune delle regole previste da More sono per noi del tutto ingiuste: potremmo mai accettare, per esempio, che i colpevoli di reati siano ridotti in schiavitù? O che sia il governo, e non la singola famiglia, a decidere quanti figli mettere al mondo? O, ancora, che ci sia un solo modo di costruire le case? Queste regole oggi ci fanno storcere il naso, ma era proprio quello che More auspicava per Utopia. 

Capite bene, allora, che immaginare una società che sia giusta per tutti è davvero complesso. Non solo, infatti, nel corso del tempo il concetto di giustizia si modifica, così che ciò che era ritenuto giusto un tempo non è detto che oggi lo sia ancora (e viceversa: pensate al ruolo delle donne nella società!), ma può anche capitare che nella stessa epoca non tutti siano d’accordo su ciò che è giusto e ciò che non lo è (come sarebbe la città ideale per un vegetariano? Probabilmente vieterebbe a tutti di mangiare carne…).

Proprio quest’ultima osservazione ci convince del fatto che l’errore commesso tanto da Platone quanto da More nel progettare le loro città ideali sia stato sostanzialmente uno: immaginare tutto da soli, senza consultarsi con nessun altro. Proprio perché sono lo spazio condiviso da una società, che per definizione è composta da più persone, le città ideali, e dunque giuste, possono nascere e svilupparsi solo attraverso il confronto e la mediazione tra le idee di più individui.

Bene, dopo questa lunga, ma molto importante premessa siamo pronti per giocare!

Vi proponiamo due alternative. Siete pronti?

Se siete stati attenti, avrete già capito che in ogni caso sarà necessario essere in tanti (ricordate? Solo dal confronto tra le idee di più persone può nascere una buona città…)

Condividere Utopie per realizzarle

Vi servirà…

  • Cartoncini bianchi e colorati A5 gr 200
  • pennarelli
  • fogli bianchi
  • penne

Prendete 5 cartoncini ciascuno. 

Piegate le due estremità di ogni cartoncino come se fossero due alette: il foglio dovrà stare in piedi se appoggiato sul tavolo o per terra.

Disegnate su ogni cartoncino un edificio che vorreste ci fosse nella vostra città: un museo, un parco, una scuola, un centro sportivo, una casa… Date spazio alla fantasia, però, perché non è detto che le cose che già esistono ora siano anche le migliori possibili! 

Provate adesso a immaginare le regole, ovvero le leggi, che vorreste valessero nella vostra città ideale, un po’ come hanno fatto Platone e More, ma…
… Subito dopo confrontatevi gli uni con gli altri!

Per prima cosa descrivete i vostri edifici, spiegando dove li collochereste all’interno della città, così che sia possibile costruire una grande città che ospiti tutti gli edifici immaginati da ciascuno di voi.

Poi, illustrate le regole e le leggi che riterreste giusto applicare e provate a scrivere tutti insieme la Costituzione della vostra città ideale (mi raccomando, non ci devono essere contraddizioni tra le leggi!).

Immaginare Distopie per prevenirle

Il nome scelto da More per la sua città ideale è, come abbiamo visto, Utopia. Questa parola deriva dal greco e significa letteralmente “non-luogo, luogo che non esiste”. È solo grazie all’opera di Thomas More che la parola utopia ha acquisito un’accezione prettamente positiva, finendo con l’indicare un luogo, o un futuro, auspicabile.

Il contrario di utopia diventa allora distopia, un termine con cui si indica un futuro dai contorni fortemente negativi. Le distopie spesso prefigurano le conseguenze estreme di comportamenti o tendenze già riscontrabili nel tempo presente, ma ancora, per così dire, acerbe.

Concentrarsi sulle distopie, anziché immaginare un’utopia, potrebbe allora rivelarsi un buon esercizio per provare a progettare secondo un’ottica lungimirante. Per farlo, è necessario affrontare la questione molto seriamente, ancora una volta ricorrendo al confronto tra più persone: solo così si eviteranno atteggiamenti indifferenti o catastrofisti.

Ci sono cose che non vi convincono del tempo presente?

L’utilizzo non sostenibile delle risorse…
L’utilizzo esagerato o poco adeguato dei social network…
Il crescente rischio di disinformazione…

Provate a discuterne insieme, motivando le vostre opinioni.

Ora provate, tutti insieme, a immaginare le conseguenze estreme dei problemi che avete individuato. Fatelo concretamente, scrivendo o disegnando ciò che avete in mente, per poi condividerlo con gli altri così da verificare la plausibilità dei vostri timori.

È possibile che a questo punto vi venga da domandarvi: e adesso che abbiamo chiaro il problema, che cosa ce ne facciamo? Chi conta, chi governa, non ci ascolterà mai…

Questo non potete saperlo, però, e i recenti avvenimenti lo dimostrano. Inoltre, il primo passo per cambiare qualcosa che non va è sapere, in modo approfondito, che cosa e perché non sembra funzionare.

Infine, non dimenticate che, per fortuna, non viviamo nella città che avrebbe voluto Platone: la classe dei governanti è aperta a tutti, anche – e soprattutto – a voi.