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È “solo” l’inizio

Intervista a Walter Kohan

Il tuo modo di proporre e fare filosofia con i bambini è cambiato negli anni?

Sì, direi che è il mio modo di fare filosofia, di pensarla, di praticarla, di sentirla con i ragazzi e le ragazze è cambiato molto nel corso degli anni. Sono stato introdotto alla filosofia per bambini attraverso Matthew Lipman, che ha avuto una grande influenza su come ho iniziato a praticarla. A poco a poco, però, ho trovato un modo che fosse più mio, più personale: senza un metodo predefinito, senza risorse.

Cercare di essere più attenti, di privilegiare cose come l’ascolto e l’attenzione. In un certo senso, i concetti sia di filosofia sia di infanzia sono molto cambiati: la filosofia non mi sembra più, almeno non nel modo in cui la pratico, una disciplina con una storia dai contenuti così chiari.
Piuttosto, la filosofia è un modo di abitare il pensiero. Quello che provo a fare è invitare gli altri a evitare di pensare in modo predeterminato e provare, invece, a pensare insieme a ciò che ci preoccupa.


Qual è la motivazione politica che ti spinge a fare questo tipo di ricerca?

La motivazione politica è importante, molto importante. La filosofia è un’opera politica, così come l’istruzione. E la motivazione principale è che il mondo è politicamente molto ingiusto, molto disuguale, molto esclusivo. Fare filosofia diventa una sorta di esercizio che mostra come il potere possa essere esercitato in modo più egualitario, più equo. Il potere di pensare, il potere di chiedere, il potere di sognare: sono poteri che ognuno può praticare ed esercitare nel modo che ritiene più appropriato.
C’è un forte senso politico nel creare le condizioni affinché le persone siano ciò che sono nel momento e nella misura in cui pensano a ciò che vogliono essere: trovare le domande che li riguardano, essere ascoltati, pensare con gli altri e soprattutto non smettere mai di sognare l’infanzia


Nel libro Infanzia e Filosofia scrivi che il pensiero infantile designerebbe non solo il pensiero dei bambini, ma ogni pensiero che segna una nascita, un inizio, una creazione, un’imprevedibilità, un’interruzione, un situarsi nel mondo come se fosse sempre la prima volta. Puoi spiegare meglio cosa intendi?

Cerco di non concepire il pensiero infantile solo cronologicamente come un’età, ma nel tempo, come un tempo. Ed è proprio un momento di inizio, un tempo di sorpresa, un tempo di attenzione. Essere nel tempo dell’inizio è ciò che ha a che fare anche con il valore politico del lavoro e della filosofia, che è anche una forma di inizio. Perché quando facciamo filosofia è come se iniziassimo sempre qualcosa, sono proprio le domande che suggeriscono l’inizio. Quindi filosofia e infanzia sono le forze degli inizi. Sono forze che possono far nascere un altro pensiero, un’altra domanda, un’altra idea, un altro sogno che possa politicamente avviare un altro mondo. È questa la forza politica dell’infanzia, la dispensatrice di inizi, di nuovi inizi. Non c’è nessun altro riferimento oltre la domanda che può permetterti di meravigliarti, di pensare, di sognare. È come se il mondo fosse tutto da ricreare, da inventare, da ricominciare.


Puoi proporci una breve azione da provare anche con le nostre classi?

Come ho detto, le domande sono forme di inizio. Dunque, partiamo proprio da qui.
Paulo Freire dice che gli insegnanti, in generale, non si preoccupano di una pedagogia della domanda, ma di una pedagogia della risposta, in cui si punta sulle risposte che si pensa di dover conoscere per colmare il non sapere dei nostri studenti.
L’esercizio che proporrei, allora, è proprio questo: cosa succede se un giorno noi insegnanti ci proponiamo di non dare nessuna risposta, di non rispondere a niente? E se suggeriamo che anche i nostri studenti non rispondano? E se poi ci proponessimo di dialogare con le domande? Una domanda a cui rispondiamo con un’altra domanda e con un’altra e poi con un’altra ancora? Per quanto tempo siamo in grado di tenere una conversazione? Siamo disposti a non rispondere, se non con domande? Per quanto tempo siamo disposti a lasciare che le domande ci facciano pensare e proporre nuovi inizi? Vogliamo?
Un’intera giornata in cui giochiamo a chiedere. Sentiamo il potere della domanda e osiamo lasciare aperte le domande e i mondi che ne possono nascere…


Walter Omar Kohan ha conseguito il dottorato presso l’Università Iberoamericana a Città del Messico nel 1996. Ha svolto studi post-dottorato in Filosofia all’Università di Parigi. È stato ricercatore presso l’EPCD, presso l’Università della British Columbia, 2017-8, visiting professor in diverse università in Italia, Francia, Argentina, Messico e Cile. Dal 2002 è Professore Ordinario di Filosofia dell’Educazione presso l’Università Statale di Rio de Janeiro (Brasile). Dal 2000 è membro Senior Research del Consiglio Nazionale dello Sviluppo Scientifico e Tecnologico (CNPQ, Brasile) e della Fondazione di Sostegno alla Ricerca dello Stato di Rio de Janeiro (FAPERJ, Brasile). Dal 2003 è Direttore del Centro di Studi in Filosofia e Infanzia (Università Statale di Rio de Janeiro).
Kohan è stato presidente (1999-2001) e membro dell’Advisory Board dell’International Council for Philosophical Inquiry with Children (ICPIC) e, dal 2002, è co-editore di Infanzia e Filosofia, la rivista ICPIC.