I luoghi del cambiamento
Laboratorio a cura di Wanda Cronio

Quando ero bambina, nel paese in cui sono nata, la soglia tra la casa e la strada era piuttosto elastica. Si cresceva all’aperto, tra i vicoli e tra le famiglie del vicinato, interagendo con un mondo vivo che ogni giorno era nuovo e discontinuo.
I luoghi in cui i bambini di oggi sperimentano le esperienze della loro crescita sono, al contrario, spazi dai confini rigidamente controllati dagli adulti, edulcorati e pacificati, contrapposti all’imprevedibilità di ciò che è vivo, che tocca, urta e commuove.
Venuta meno la ricchezza e l’ambiguità dei luoghi informali e semipubblici di un tempo, ciò che ancora resiste come possibile ambito di esplorazione e scoperta autonoma per i bambini sono gli spazi terzi, residuali, borderline, guardati con sospetto dagli adulti perché non sempre corrispondono all’estetica del belvedere. Spazi invisibili, pur trovandosi spesso a pochi passi da casa.
Mi riferisco agli incolti e inselvatichiti: un giardino abbandonato, il ramo morto di una ferrovia, una scarpata, una spiaggia d’inverno… Luoghi dove la natura non “organizzata” risorge a dispetto di ogni barriera o di ogni costrizione, tessendo e ritessendo nuove versioni di mondo.
I bambini, che si accostano alla diversità con stupore, li riconoscono come luoghi della trasformazione, della differenza e dell’alterità, dove la forza della vita non cessa di inventare nuova vita.
L’attenzione a questi spazi terzi come luoghi di esperienze significative implica non solo la scelta di uscire fuori dalla “secure zone” dello spazio organizzato con una gita “fuori porta”, ma soprattutto l’essere disposti, come educatori, a muoversi fuori dalle cornici del proprio sapere e saper fare. Significa cioè scegliere di procedere secondo la natura mobile e imprevedibile di un progetto non lineare e non definito in partenza per andare incontro al cambiamento (nei termini di tensione e superamento): andare fuori, oltre la soglia.
Durante una gita “fuori porta” il contesto può essere al contempo strumento di trasformazione. Sabbia, ghiaia, acqua, alghe, erba, muschio, foglie, bacche, sassi, giunchi, canne, conchiglie… Tutto ciò che si trova disponibile in situ, trasportato dal vento o dall’acqua, nasconde opportunità feconde in attesa di essere risvegliate.
Un leggero bagaglio con pochi strumenti basici (forbici, spago, pinze) e pochi materiali (stecchi da spiedo, carta velina, plastiche trasparenti, reticelle e qualche materiale occasionale) trasportati in zaino basta per disporre di una cassetta degli attrezzi sempre pronta per avventure progettuali estemporanee.
Il fare e il disfare dei bambini si crea spontaneamente come espressione di un rapporto vivo di interazione con l’ambiente, con azioni che non si configurano mai come opere concluse o durevoli, perché ciò che nasce viene distrutto poco dopo o, se il materiale impiegato è esclusivamente organico, abbandonato all’azione della natura e al mutamento del tempo.
Estemporaneo ed effimero è il segno di un dialogo con il luogo che la ospita, che i bambini imprimono con una marcatura lieve e transitoria, segno del loro passaggio e frutto di un cammino che amplifica l’immaginazione e genera una trasformazione, cioè una nuova visione del mondo.
Parco giochi per uccellini
Se ci troviamo a camminare nei pressi di un laghetto e l’aria è calda e ricca di pollini, tante creature ci volano intorno. Alcune, piccolissime, ci ronzano nelle orecchie o ci sfarfallano sul naso; altre, più timide e riservate, girano al largo, in alto sulle nostre teste.
Sono passeri, scriccioli, cardellini, pettirossi, merli, fringuelli, ballerine, storni o altri piccoli uccellini. I loro occhi ben sviluppati possono vederci da molto lontano, scorgendo e spiando, una per una, le briciole della nostra merenda. Molti di loro prediligono frutti, semi, grani di cereali, teneri germogli. Altri invece si nutrono di proteine, come insetti, larve, bruchi e vermicelli, o di sostanze zuccherine come nettare e miele. Ma anche senza i vermicelli, la nostra merenda è un cibo g…