Il Labirinto di Pomodoro
Articolo a cura di Paola Boccaletti della Fondazione Arnaldo Pomodoro
Il libro Il Labirinto di Arnaldo Pomodoro si rivolge ai più piccoli e nasce con l’intento di rendere loro accessibile, attraverso un linguaggio semplice ma non banale, il mondo dell’arte contemporanea con particolare riferimento all’opera di Arnaldo Pomodoro e, soprattutto, al suo Labirinto. Per essere sicuri che sapesse davvero incontrare il suo pubblico, il libro è stato scritto a seguito di un’esperienza svolta proprio con alcune classi della scuola primaria dell’Istituto Comprensivo Rinnovata Pizzigoni di Milano. I bambini e le bambine coinvolti sono stati invitati, in una prima fase, a esplorare il labirinto in autonomia, senza ricevere in anticipo alcuna indicazione, così che le loro restituzioni potessero essere poi del tutto spontanee, libere e personali. Successivamente, gli stessi bambini sono stati protagonisti assoluti di una seconda fase che li ha visti proporre visite guidate ai loro genitori e ad altri giovanissimi visitatori. Il libro, presentato nel Novembre 2019, è il risultato di questo percorso e, possiamo dire, è stato composto insieme ai piccoli partecipanti. Così, per esempio, a una prima parte che racconta che cos’è il labirinto per il suo autore si lega un’autobiografia di Arnaldo Pomodoro scritta con parole fresche e simpatiche che prende spunto dalle voci dei bambini che abbiamo avuto modo di ascoltare e che suona più o meno così: “il mio nome può sembrare buffo e io stesso ho sempre pensato di chiamarmi come un ortaggio, fino a quando, a pensarci bene, ho scoperto che nel mio cognome si celava un ‘pomo d’oro’: è incredibile, perché a me piacciono moltissimo le cose luccicanti e geometriche!”.
Il libro e l’esperienza che l’ha preceduto sono figli di un periodo pre-Covid19, che, come in molti altri casi, ha rappresentato uno spartiacque nella fruizione di un’opera d’arte. Dopo il primo lockdown ci siamo chiesti come fare, ora che non si poteva più proporre alle classi di venire in gita ed entrare fisicamente nel Labirinto, a portare il Labirinto nelle scuole.
Tempo prima, in occasione della mostra realizzata a Palazzo Reale per i novant’anni di Pomodoro, era stato creato un virtual tour, poi messo online, ad opera di due artisti, Milija Pavicevic e Steve Piccolo. Anche in quel momento, per ragioni ovviamente diverse, non era possibile accedere fisicamente al Labirinto. E visto che anche adesso che la situazione lo permetterebbe non è sempre possibile entrarci perché si trova nello spazio privato di uno showroom di cui dobbiamo rispettare orari ed eventi, recuperare quel virtual tour si è rivelata una scelta vincente.
Dunque, che cosa abbiamo fatto?
Abbiamo recuperato il virtual tour di Pavicevic e Piccolo e abbiamo aggiunto tutta una serie di premesse che permettessero di raccontare, anche ai più piccoli, l’esperienza di Arnaldo e il suo legame con lo spazio fisico in cui ha ubicato il Labirinto. Abbiamo rivelato che quel luogo, in passato, era parte dei sotterranei dell’edificio che ospitava le ex Officine Riva Calzoni, in cui venivano costruite le turbine per le centrali idroelettriche (è qui che, secondo una storia incredibile già di per sé, sono state costruite le turbine per le Cascate del Niagara). In seguito, nella fase di riqualificazione di tutto il quartiere che oggi è riconosciuto come zona Tortona, il grande edificio delle ex Officine Riva Calzoni è stato parzializzato. In quell’occasione, Arnaldo Pomodoro scelse uno dei capannoni delle ex-Officine perché gli sembrava il luogo perfetto in cui assemblare le opere di grandi dimensioni (in particolare, in quel momento stava lavorando a Novecento, una scultura di una ventina di metri d’altezza che oggi si trova a Roma, in piazzale Nervi). Pomodoro, però, si innamora così tanto di questo grande capannone da decidere di realizzarvi al suo interno il suo Museo: siamo tra il 2000 e il 2005, quando, proprio lì, nasce il Museo della Fondazione Arnaldo Pomodoro.
A questo punto, Arnaldo Pomodoro comincia a spostare nei sotterranei dell’allora Museo i pezzi del suo concetto di labirinto, che sta diventando un progetto sempre più concreto. L’idea di un Labirinto lo frequentava già da molti anni, almeno dal 1995, anno in cui realizza in giro per il mondo una serie di mostre legate al tema del Viaggio in Mesopotamia, che lo porta a riflettere sul segno, sul suo legame con la popolazione Sumera e con la scrittura cuneiforme. I sotterranei delle ex-Officine si rivelano essere il luogo perfetto per realizzare, finalmente, questa sua antica idea.
Lo spazio non è enorme. Si tratta di tre stanze, per un totale di 170 metri, in cui, piano piano, Arnaldo comincia a posizionare oggetti, pezzi di scultura, frammenti della sua storia di artista. Con i più piccoli risulta efficace paragonare quest’operazione alla storia di Pollicino, che dissemina un percorso di tutta una serie di segnali che lasciano intuire il suo passaggio. Ecco, quindi, che è come se il Labirinto, contenendo elementi che raccontano episodi fondanti del suo percorso ma anche nuove sculture e nuovi pensieri scaturiti dalla sua realizzazione, fosse la summa poetica del lavoro di Arnaldo Pomodoro.
Il Labirinto somiglia a un mausoleo: quando vi si discende, si ha l’impressione di addentrarsi in una tomba, anche perché si tratta di un luogo che si fa via via sempre più scuro e suggestivo. Tuttavia, a scapito di ciò che sembra, il Labirinto non è mai stato inteso da Arnaldo Pomodoro come la sua ultima opera: al contrario, con esso l’artista vuole raccontare lo svolgersi della vita.
Il simbolo della porta posto sulla parete, per esempio, è proprio lì a suggerire che in futuro sarà possibile proseguire, aprendo un altro spazio. E a tenere in vita il Labirinto è proprio il suo essere un percorso che attraversi entrando e uscendo dalla stessa soglia, è un’occasione di transito e dialogo in cui chi vi entra si relaziona ai simboli, ai segni e alle sculture lì presenti per reinterpretarli o rivestirli di significati sempre nuovi. Il Labirinto non è un’opera finita, chiusa in se stessa, ma aperta, in continuo divenire.
A suggerirci la metafora della vita per comprendere il Labirinto e, soprattutto, per raccontarlo ai bambini, è stato lo stesso Arnaldo Pomodoro. Un’altra immagine molto efficace e, per lui, legata alla precedente è quella di una casa, in cui inizialmente vai a vivere da solo, con tutte le tue comodità e lo spazio tutto per te; successivamente, arriva una seconda persona: la camera, da singola, diventa matrimoniale e inizi a dover condividere stanze e quotidianità; dopo ancora, magari con l’arrivo dei figli, il perimetro della casa cambia ancora, una stanza deve essere “sacrificata” e lo spazio va diviso con un numero sempre maggiore di persone. In questo senso, la casa è il luogo in cui la vita si sviluppa secondo un continuo stravolgimento.
Ecco perché, tanto nel libro quanto sul sito, abbiamo proposto ai più piccoli delle attività laboratoriali che sviluppassero proprio quest’idea della casa in sintonia con il concetto di labirinto. Sulla stessa scia abbiamo suggerito una serie di azioni che portano a ripercorrere il labirinto della propria vita, passando dal perimetro della propria casa al percorso che si compie per andare a scuola, fino ad arrivare alla mappa della propria città: quanti altri percorsi potrebbero svilupparsi a partire da un itinerario che si conosce?
C’è un altro elemento, tipico del Labirinto, che è importante sottolineare, soprattutto in relazione alle altre opere di Arnaldo Pomodoro. Nel Labirinto, infatti, non c’è alcun elemento specchiante.
Le parti riflettenti rappresentano la volontà di interagire con ciò che sta al di fuori dell’opera: se siamo all’esterno, notiamo un immediato cambiamento conseguente, per esempio, alla condizione atmosferica, ma la nostra stessa persona, ovvero il presente, può riflettersi e modificare l’opera in quell’istante.
Il Labirinto è fatto tutto di quella componente brunita, ruvida, opaca – comunque sempre presente nelle altre opere di Pomodoro -, che rappresenta l’interiorità. L’effetto, per il visitatore, è dunque quello di immergersi nell’intimità dell’artista e, per conseguenza, nella propria. Come si diceva anche prima, i segni da cui si è circondati sono consegnati all’immaginazione di ciascuno di noi, che non può far altro che rileggerli secondo il proprio sguardo e la propria storia.
Il proprio vissuto diventa così protagonista dell’esplorazione che è capitato, nel corso di una visita fatta con i bambini, che uno di loro percepisse chiaramente profumo di muffin. Entrando nel Labirinto, la propria fantasia, i propri ricordi e desideri, elaborano pensieri, immagini e anche sensazioni forti ed estremamente intime e personali.
La dimensione sonora, in particolare, è meritevole di attenzione.
Trattandosi di un luogo separato dall’ambiente esterno, i suoni che vi si sentono sono quelli provocati dallo spazio stesso del Labirinto e, soprattutto, dalle persone che lo attraversano. Entrando, il cigolio della porta accompagna una visibilità limitata, a cui gli occhi impiegano qualche istante ad abituarsi. Procedendo, nella penombra, i suoni si fanno sempre più ovattati e l’effetto è quello di sonorità intima, quasi fosse il rimbombo della propria interiorità. Seguendo una suggestione di Steve Piccolo, che in occasione del virtual tour aveva fatto suonare il Labirinto, abbiamo invitato i bambini a prestare attenzione ai suoni che percepivano. Il Labirinto, così, è diventato il luogo in cui ritrovare la propria quotidianità sotto forma di suono, facendosi guidare dall’udito piuttosto che, come il più delle volte si fa, dalla vista o dal tatto.