Interconnessioni
Intervista a Danilo Selvaggi, presidente Lipu
A cura di Pietro Corraini
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Un importante filosofo americano, Timothy Morton, nel saggio “Come un’ombra dal futuro”, indaga la natura del pensiero ecologico, sostenendo che nessun essere vivente, nella sua singola sostanza, può esistere come indipendente e isolato. Tutti siamo interconnessi e la comprensione di questa interconnessione è proprio ciò che definisce “pensiero ecologico”. E noi come possiamo dare corpo a questo pensiero?
La connessione è un tema centrale nel lavoro di Morton e ha una doppia valenza. Negativa, quando Morton parla di iperoggetti, cioè del fatto che la nostra condizione attuale è quella di chi vive in un mondo in cui le cose non sono più comprensibili. Tutto è mescolato, “invischiato”, tutto è tutto, e questo rischia di farci perdere il senso della realtà e della nostra stessa vita. È il lato oscuro della globalizzazione e, appunto, dell’interconnessione. C’è però un lato positivo: la scoperta che non siamo isolati, che non esiste uno stacco netto tra noi e gli altri, cioè le altre persone, gli animali, la natura, il resto dell’esistente. Che siamo in costante relazione. Di questa relazione dobbiamo essere felici, perché arricchisce le nostre vite, le rinnova continuamente. Il pensiero ecologico è il pensiero di questa relazione. È un pensiero rivoluzionario perché non siamo abituati a ragionare in tal modo. Di solito pensiamo con lo schema soggetto-oggetto, io-tu, noi-altri, il che è abbastanza incoerente con la realtà e per certi versi anche pericoloso. Coltivare il pensiero ecologico significa passare dal chiuso all’aperto, dall’essere all’abitare. In fondo la sfida della cultura ecologica è questa: stemperare l’essere e promuovere l’abitare.
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Cosa si intende quando si parla di ecologia degli oggetti?
Anche qui c’è una doppia possibile definizione. Ecologia degli oggetti è continuare a pensare al mondo come ad un insieme di oggetti esistenti di per sé, staccati da noi, con il rischio di riproporre un pensiero del soggettivismo e del dominio. Questa non è una buona ecologia e anzi non è affatto un’ecologia. Oppure, ecologia degli oggetti vuol dire comprendere che gli oggetti sono i nodi della grande rete di connessioni che è il mondo, che è la natura. Cioè, che siamo un’ecologia, un ecosistema, in cui le differenze non si annullano ma diventano, come diceva Gregory Bateson, complementarità, compimento reciproco. Tra le conseguenze di questa visione ecologica c’è il fatto che dobbiamo avere cura degli oggetti anche perché sono realmente parte di noi.
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Visto che noi umani non solo abitiamo la natura, ma siamo noi stessi natura, quale può essere il nostro gesto quotidiano per omaggiare questa consapevolezza? Del resto, da ciò consegue che dobbiamo trattare il resto del vivente come trattiamo noi stessi…
C’è un punto importante che vorrei sottolineare e che rischia, solo in apparenza, di mettere in discussione quanto appena detto. Sì, noi siamo natura: siamo corpo, acqua, aria, chimica, elettroni, flora batterica. Siamo l’opera di miliardi di anni di processi naturali. In questo senso siamo del tutto simili a qualunque altra cosa esista. E tuttavia l’essere umano è anche una faccenda singolare: è capace di bene e male, cioè di dare un valore morale ai propri gesti e alla realtà. È uno dei volti di ciò che chiamiamo cultura. Per qualcuno ciò dipende da ragioni metafisiche (da un Dio, dalla presenza di un’anima, da qualcosa di soprannaturale). Per altri (e io sono tra questi) dipende da una singolarità nell’evoluzione. Comunque sia, questa situazione ci porta a concludere che mentre nulla di ciò che fa un’ape, o un giglio di mare, o la luna di un pianeta lontanissimo può essere considerato di per se stesso male, e dunque bene, quello che facciamo noi sì: può essere bene e può essere male. Quindi bisogna fare attenzione alle nostre azioni, tanto più se agiamo sotto la spinta di una cultura tendenzialmente egoista e munita di potentissimi strumenti tecnologici. Rischiamo di distruggere tutto, di annientare l’intero pianeta. La natura non umana ci dà una lezione importante: la sostenibilità. È una lezione che dobbiamo apprendere e che, unita ai nostri sentimenti migliori, di etica, giustizia, altruismo, bellezza, può portare ad un mondo migliore.
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È possibile osservare la natura anche in città? Se sì, ci puoi indicare in che modo? Hai da suggerirci dei piccoli esercizi di esplorazione urbana?
Le città sono una tra le maggiori sfide ecologiche che ci attendono. Necessitano di un progetto globale per fermarne la deriva folle, di crescita, consumi, distruzione. Dobbiamo un po’ spopolarle e renderle più naturali. Dobbiamo farne dei laboratori di futuro sostenibile, di buona tecnologia, di relazioni, alberi e biodiversità. Uno straordinario esercizio di esplorazione urbana è il birdwatching: basta pochissimo, una guida al riconoscimento, un binocolo, un taccuino, un piccolo parco, per ricevere in cambio la bellezza del mondo degli uccelli.
Un altro esercizio è quello che possiamo svolgere intorno al cosiddetto “terzo paesaggio” di Giles Clement, cioè la piccola biodiversità che troviamo nei posti più impensabili: la siepe di fianco a una strada, il giardinetto semiabbandonato del quartiere, lo spazio verde di un cortile condominiale. Si scopre, si osserva e si impara un numero incredibile di cose.
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Uno storico e politico italiano, Luigi Firpo, scrive nell’introduzione a “Utopia” di T. More, che i filosofi definiti utopisti sono, in realtà, gli unici davvero realisti perché fanno l’unica cosa che a essi è data: come naufraghi sulle sponde di remote isole inospitali gettano ai posteri un messaggio nella bottiglia. Se dovessi allora immaginare la tua Utopia, come sarebbe?
La mia utopia la immagino concreta. Cioè, penso che se vogliamo dare occasioni al grande cambiamento dobbiamo portare degli esempi, mostrare dei prototipi. Se avessimo la bacchetta magica e potessimo, anche per una sola settimana, far vivere alla gente il mondo ecologico che abbiamo in mente, be’, io penso che la gente non vorrebbe più tornare indietro. Il problema è che quella bacchetta magica non ce l’abbiamo e dunque dobbiamo capire come fare. Come persuadere le persone? Io dico: con gli esempi, individuali, collettivi, progettuali, architettonici, sociali. Con opere di virtù e ingegno. Mostrare, far vedere. Dare realtà all’utopia, dimostrare che è possibile. In questo senso, allora, il punto non è il messaggio nella bottiglia per un domani che sarà, ma il messaggio fuori dalla bottiglia per il presente che è qui ed ora.
Quanto a me stesso, a un’utopia più privata, personale, direi: vivere in un posto naturale e silenzioso, magari vicino al mare, con la persona che amo. È un’utopia un po’ egoista ma sincera. Il paradiso, la mia isola che non c’è (o che forse c’è), la immagino così.
Danilo Selvaggi nato a Matera nel 1968, vive a Roma. E’ direttore generale della Lipu – BirdLife Italia, di cui è già stato responsabile dei Rapporti istituzionali e delle politiche ambientali. Dal 2006 al 2008 è stato consigliere del Ministro dell’Ambiente per le normative naturalistiche, curando, tra le altre cose, la redazione e l’emanazione del decreto per le misure di conservazione della rete Natura 2000. Laureato in filosofia, ha approfondito gli studi sui risvolti sociali e culturali delle discipline filosofiche, in particolare quelli relativi all’ambiente. Docente in vari master post universitari su temi relativi alla comunicazione e alla cultura ambientale. Ha scritto e scrive, anche in tema di ambiente, per riviste scientifiche e quotidiani nazionali. È autore di testi musicali e per teatro.
La Lipu è tra le più importanti associazioni d’Europa per la protezione degli uccelli selvatici, la conservazione della natura e la promozione della cultura ecologica. Fondata nel 1965, in oltre cinquant’anni ha contribuito alla creazione di oasi, parchi, riserve naturali, alla creazione e protezione della rete Natura 2000 in Italia, alla salvezza di specie di uccelli minacciate quali la cicogna bianca, il falco della Regina, il grillaio. Oggi conta su oltre 30 mila sostenitori, 1200 volontari, quasi 100 delegazioni e gruppi locali. Gestisce 25 oasi e riserve naturali e 10 centri per il recupero della fauna selvatica.
È il partner italiano di BirdLife International, la federazione di tutte le Lipu del mondo, con cui ha appena lanciato la campagna per l’inserimento dell’articolo 31 nella Dichiarazione universale dei diritti umani: l’ambiente sano e protetto sia un diritto universale, di tutti gli esseri umani.