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La vendetta del testo

Laboratorio a cura di Flavio Pintarelli

Come titolo per questo laboratorio ho scelto il titolo del primo capitolo di un libro bellissimo. Si chiama CTRL+C, CTRL+V – Scrittura non creativa. Ti consiglio di leggerlo. Lo ha scritto Kenneth Goldsmith che è poeta, scrittore, artista e fondatore di UbuWeb, “il più importante archivio di poesia visiva e sonora liberamente consultabile online”. 

Ispirandosi alle tecniche e alle pratiche che caratterizzano il mondo digitale, Goldsmith – cito dalla seconda di copertina del libro – “tenta di ripensare la figura dello scrittore (ma anche del lettore) contemporaneo. Non più un genio romantico e isolato, ma un programmatore di linguaggio, un pensatore interconnesso che predispone e si prende cura di una complessa macchina da scrittura”.

L’attività che voglio proporti è tratta proprio dal primo capitolo di questo libro ed è pensata per farti ragionare su una cosa di cui spesso ci dimentichiamo quando navighiamo in rete tra social network e meravigliosi siti web che assomigliano a opere d’arte o a edifici progettati dalla più brillante delle archistar. 
Ovvero che “quelli che sul nostro schermo appaiono come elementi grafici, suoni o animazioni, sono solo un sottile strato sotto il quale si nascondono chilometri e chilometri di linguaggio”

Si tratta del codice, il codice informatico, quell’entità un po’ misteriosa che il vocabolario Treccani definisce “insieme di simboli o di caratteri usati in determinati sistemi di comunicazione, di registrazione o di elaborazione dell’informazione per rappresentare, in base a regole assegnate, i simboli o i caratteri di un altro sistema di comunicazione”

I codici usati per creare spazi e oggetti digitali vengono chiamati appunto “linguaggi” e hanno nomi astrusi come HTML e C++, o evocativi come Python. Se vuoi scoprire di più sul codice posso consigliarti di leggere il memoir Geek Sublime, di Vikram Chandra oppure What is Code?, un meraviglioso articolo interattivo progettato, scritto e programmato nel 2015 da Paul Ford per la rivista Bloomberg.

Ora riprendiamo l’attività.

La prima cosa che devi fare è andare a cercare un’immagine su Google. Digita www.google.it, premi sulla scritta “Immagini” in alto a destra e digita la parola chiave per l’immagine che vuoi cercare. Mentre fai tutto questo chiediti quante righe di codice (sì, il codice si misura in righe) sono necessarie per rendere possibile ognuna delle azioni che stai compiendo. Non so la risposta esatta, ma so che sono parecchie.

Nella barra di ricerca comunque io ho digitato il nome di Kenneth Goldsmith, che ci farà da nume tutelare durante il laboratorio.

La prima foto che ho trovato è una foto molto bella, pubblicata per illustrare una sua intervista rilasciata alla rivista Berfrois, che a sua volta è una rivista molto bella. Ritrae Goldsmith con gli occhi chiusi, in piano americano, su un tenue sfondo che dai bordi color verde acqua vira verso il bianco luminoso del centro. 

Dopo aver selezionato l’immagine ho cliccato con il tasto destro sopra di essa e selezionato la voce “salva immagine con nome” per scaricare la foto sul mio computer. A seconda del browser che usi, io uso Brave, potrebbe essere leggermente diversa ma non dovresti fare fatica a trovarla.

Una volta che hai scaricato la foto trovala sul tuo desktop o nella cartella in cui l’hai salvata. Cliccaci sopra con il tasto destro e scegli l’opzione “apri con”. Sul mio iMac si chiama così, se usi un altro sistema operativo potrebbe essere scritta in modo leggermente diverso, ma anche in questo caso non dovresti fare fatica a riconoscere questa opzione. Dopo averla selezionata si aprirà una lista di programmi o applicazioni, come vengono chiamati sempre più di frequente: quella che ti serve è un semplice editor di testo. Se hai un Mac puoi usare TextEdit, se hai un PC Windows puoi scegliere Blocco Note

Scegli l’app e apri il file. Quella che hai scaricato come immagine adesso ti apparirà sotto forma di codice: una lunga sequenza di simboli e caratteri incomprensibili per te, ma perfettamente chiari per il tuo computer. La mia, mentre scrivevo il laboratorio, aveva all’incirca questo aspetto.

Giunto così al cospetto di sua maestà il codice ho scrollato la finestra verso il basso per un po’ fino a trovare un punto che mi piaceva. L’ho scelto così, a caso, senza una ragione particolare, affidandomi all’istinto. A questo punto sono tornato su Google a cercare una poesia di Goldsmith e ne ho trovata una, Poem for Larry Craig, che mi è piaciuta. Ho selezionato l’intero testo e l’ho incollato dentro la finestra con il codice, nel punto che avevo scelto a caso. Naturalmente tu puoi scegliere qualsiasi altro testo desideri, o scriverne uno tu, o digitare parole o caratteri a casaccio.

A quel punto ho salvato il file e chiuso la finestra del mio editor di testo. L’alterazione che avevo operato nel codice aveva alterato anche l’immagine da cui ero partito. La parte bassa della bella foto di Kenneth Goldsmith che avevo scelto è ora occupata da un rettangolo blu scuro, frutto della mia manipolazione del codice, sotto al quale s’intravede il resto della foto leggermente spostato. Questa cosa si chiama glitch, sorta di sfavillio digitale, di tremolio, di instabilità che ha origine in un’alterazione o problema tecnico.
Il passo successivo, che è anche l’ultimo, consiste nel pubblicare la nuova immagine in rete. Io l’ho fatto qui sotto, tu puoi farlo sul tuo blog, nella tua newsletter, mandandola su WhatsApp o pubblicandola sui social. Come il messaggio di un naufrago, chiuso in una bottiglia e affidato al mare, il testo con cui hai alterato il codice prenderà a girare in rete e, chissà, forse un giorno qualcuno o qualcosa lo troverà, lo leggerà e si chiederà perché mai qualcuno ha inserito il frammento di una poesia all’interno del codice dell’immagine di uno strano tipo con un buffo cappello in testa.

Cosa ci mostra questo piccolo esperimento che puoi riproporre facilmente a casa o in classe? Ci mostra che, come dice Goldsmith, “con i media digitali ci ritroviamo in un mondo fatto di manipolazioni testuali” e “quello che sta accadendo è che per la prima volta il linguaggio è in grado di alterare tutti i media che conosciamo, che siano immagini, video, musica o testi”. Facendolo hai imparato che tutti i media digitali, a prescindere dal loro formato, sono fatti in realtà di codice, che il codice è linguaggio e che puoi manipolare questo linguaggio usando tutte le tecniche sviluppate da scrittori e artisti nel corso della storia umana o quasi. Se ti interessa sapere come queste tecniche sono state usate nel modo digitale, oltre al libro di Goldsmith, puoi leggere Memestetica di Valentina Tanni.

Bene, siamo arrivati alla fine del laboratorio. Prima di salutarti però ti lascio con una riflessione. Oggi, che passiamo gran parte del nostro tempo davanti a uno schermo, lo stiamo in realtà passando a contatto con una serie di linguaggi che determinano molti aspetti della nostra vita ma che ci sono incomprensibili e opachi. C’è chi ha dato un nome a questa opacità e l’ha chiamata “Black Box”, scatola nera. Forse sarebbe il caso di capire come aprirlo, capire il codice e la sua logica è solo il primo passo per farlo. Buon cammino.

Flavio Pintarelli è uno scrittore e marketing strategist. Si occupa di cultura critica, digitale e visiva. Ha scritto reportage, saggi e racconti per Internazionale, Domus, Not, Il Tascabile, Ultimo Uomo, Prismo, The Towner, Domani, Ludica, Singola, Manarot, La Foresta e altre riviste. Ha pubblicato due saggi: Su Facebook (:duepunti, 2013) e Stupidi giocattoli di legno (Agenzia X, 2014); una raccolta di racconti: Cronache della Metropoli (Ledizioni, 2019); ha partecipato a diverse antologie e raccolte di saggi.