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Largo agli errori!

Intervista a Keri Smith

Keri Smith è un’artista e autrice, che, al concetto di perfezione, preferisce di gran lunga quello di “errore”. Quest’ultimo, per lei, è un elemento estremamente affascinante, che non solo non va temuto, ma va addirittura incoraggiato. In quest’intervista ci racconta perché.


Perché hai dedicato un intero libro agli errori? Cosa c’è di così affascinante negli errori?

Ormai da molti anni creo diari interattivi. All’inizio avevo paura di commettere errori, ma poi provare a incoraggiarli di proposito è diventato parte del mio processo creativo. Mi sono resa conto che il lavoro più interessante nasceva correndo dei rischi, nella fase di sperimentazione: quando cominciavo qualcosa solo per vedere cosa sarebbe successo e senza cercare di controllare il risultato. Fare un lavoro controllato non porta a risultati interessanti, ma crea una ripetizione di ciò che ha funzionato in passato. La radice della parola “esperimento” significa “provare”. Considerando il nostro lavoro come una prova, un esperimento, saremmo più liberi nell’affrontarlo, perché lo svincoleremmo dal pensiero del risultato finale.
Ecco da dove è nata l’idea di creare un diario che fosse basato esclusivamente sulla sperimentazione. E se lo scopo non fosse quello di fare qualcosa di bello, ma di fare il contrario?


Perché è così diffusa la paura di sbagliare, anche in ambito creativo?

Penso che sia dovuto alla cultura in cui siamo immersi: senza rendercene conto, viviamo nella convinzione che le cose debbano essere piacevoli e belle da guardare. I social media ne sono l’esempio perfetto, invitando al principio della “somiglianza”, per cui tutti ripetono ciò che hanno fatto gli altri così da garantirsi i “mi piace”. Provare qualcosa di nuovo ci fa paura, perché temiamo che le persone lo trovino strano. Non c’è nulla di più dannoso per la nostra creatività.
Diventa allora necessario ribellarsi alla cultura, rifiutarla. Sbarazzarsi delle regole e delle aspettative della nostra cultura potrebbe rivelarsi scomodo, ma anche molto eccitante: è il via libera per sperimentare!


In italiano la parola “errore” deriva da “errare” che in inglese si traduce “wander”, una parola il cui suono ricorda molto “wonder”, la meraviglia, che è un concetto a cui sei molto legata. Ti piace questa connessione?

Sì, lo adoro. Se ci pensi, sperimentare la meraviglia implica sperimentare qualcosa di nuovo o qualcosa di inaspettato (sorprendente). Ma questo non è possibile quando ripeti, ancora e ancora, ciò che sai già. Devi fare un salto.


Secondo te, può esistere un’arte senza errori? E se dovessi segnalare gli errori più rivoluzionari della storia dell’arte, quali sarebbero secondo te?

Per prima cosa consiglierei di guardare alle opere d’arte che hanno utilizzato il caso e l’indeterminatezza come parte del processo di creazione artistica. Queste sono tecniche che favoriscono la rimozione dell’ego, ovvero del controllo. Ecco alcuni esempi pratici: lasciare che la vernice o l’inchiostro sgocciolino sulla pagina, osservare come il vento ne influenza la distribuzione, che cosa accade se aggiungiamo del calore… Per capire cosa intendo, pensate a ciò che il musicista John Cage fece con l’I Ching.


Hai dei suggerimenti per gli insegnanti per permettere ai bambini di guardare agli errori come a un’eventualità tutt’altro che spaventosa?

Trovo che i bambini più piccoli siano degli sperimentatori naturali: fino a quando non subiscono l’influenza della cultura non si preoccupano di rendere le cose “buone”. Crescendo, però, perdono questa capacità di sperimentazione naturale e, per riportarveli, dobbiamo come ingannarli. Credo che sia questo, in parte, lo scopo del mio lavoro: ingannare le persone. Parte del motivo per cui Distruggi questo diario funziona è il fatto che le persone si emozionano nel fare cose che, solitamente, non sarebbero autorizzate a fare con un libro (romperlo, farlo a pezzetti, spezzare la costa, bucare le pagine). Quello che propongo non ha a che vedere con l’essere creativi o il fare arte, ma, più semplicemente, con una pura e giocosa sperimentazione (che, in questo caso, dà luogo a una vera e propria distruzione). Finché le persone resteranno ferme al linguaggio implicito del “fare arte” rimarranno ancorate alle vecchie abitudine e avranno paura di lasciare anche il minimo segno. Cosa accade, invece, se anziché fare “arte” venisse richiesto di eseguire “un laboratorio che metta alla prova il materiale”? Il risultato sarà, con molta probabilità, decisamente più libero e sperimentale.

Keri Smith è un’artista concettuale canadese, autrice di libri creativi e interattivi di grande successo, tra cui Distruggi questo diario, Questo non è un libro, Come diventare un esploratore del mondo, Piccolo manuale dei grandi sbagli, Finisci questo libro, Il mondo immaginario di…, The Wander Society, La linea, The non-planner datebook e Distruggi questo libro illustrato, pubblicati in Italia da Corraini. Il suo lavoro e la sua ricerca si concentrano sulla creazione di quelle che Umberto Eco ha chiamato “opere aperte”, che si prestano cioè a essere completate dal lettore o dal fruitore. Oltre a progettare app dedicate alla creatività, Keri tiene conferenze e workshop ispirati ai suoi libri, ha insegnato Illustrazione concettuale alla Emily Carr University of Art and Design, a Vancouver in Canada, ed è consulente del Center for Artistic Activism di New York. Come illustratrice freelance ha collaborato con molti clienti in tutto il mondo, tra cui di recente Random House, “The Washington Post”, “The New York Times” e “The Boston Globe”.