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Lasciamolo stare,
sta leggendo

Intervista a Loredana Farina a cura di Gaia Scarpari

Loredana Farina è stata l’editrice di una casa editrice curiosa, insolita, stravagante e di grande importanza per l’editoria per bambini degli anni Settanta. 
Sono abbastanza sicura che, guardando nelle librerie di casa vostra, nelle biblioteche delle vostre scuole o cercando nei vostri ricordi, riuscirete a trovare dei piccoli libri fatti di cartone, rilegati spesso con una spirale metallica, ricchi di coloratissimi buchi e fustelle in cui forse avete infilato un dito, una mano, il naso persino, curiosi di toccare con mano una storia non solo stampata, ma che abitava dentro di voi… nella vostra immaginazione.
Sono questi i libri de La Coccinella, una realtà che, insieme alla sua editrice, si è impegnata e adoperata per stampare libri adatti ai lettori più piccoli, coloro che ancora non sanno decifrare le parole sulle pagine, ma, non per questo, non sanno ancora leggere
Loredana ci ha accolto in casa sua per raccontarci come è nata l’idea di questa realtà editoriale e non solo, per condividere con noi quanto sia importante la materialità dell’oggetto libro e quale importanza abbia la lettura plurisensoriale.

Io, in prima persona, vorrei ringraziarla per il tempo che ci ha dedicato e per la passione, la voglia di ricerca e l’inarrestabile desiderio di domandare che mi ha trasmesso durante la nostra intervista.


Avevo letto un tuo libro dove dicevi che eri finita a fare l’editrice per un colpo di fortuna. Vorrei chiederti, come sono stati i primi anni nel mondo del libro?

Io faccio parte della generazione che è emigrata a Milano all’inizio degli anni sessanta. Vengo dalla bassa, dalla provincia di Rovigo. A vent’anni ho preso il treno e sono venuta a Milano, dove spesso si trovava lavoro rispondendo alle inserzioni dei giornali. Avevo smesso di studiare, mio padre era venuto a mancare e io non sapevo fare quasi niente, non sapevo nemmeno usare il telefono. 

In quegli anni ho fatto un po’ di lavori di segreteria negli studi professionali e di avvocati, ma mentre facevo questo, sapevo che mi sarebbe piaciuto lavorare nel mondo dei libri.

Un giorno ho trovato e risposto a un’inserzione del Corriere della Sera, in cui un editore cercava qualcuno per la sua casa editrice: e così ho mandato un testo, e mi hanno chiamata, e ho iniziato a lavorare in redazione. 

La casa editrice si chiamava AMZ, poi comprata dalla De Agostini, una casa editrice piccola ma che aveva fatto delle cose interessanti,  in cui io ho imparato il mestiere. 


E come è nata l’idea di fondare una casa editrice sua?

Dopo dieci anni in AMZ, mi sentivo abbastanza sicura di quello che avevo imparato, e avevo notato che il mondo stava prendendo una direzione diversa. Le risorse, soprattutto monetarie, in quel momento erano poche, ma io ho comunque cominciato a rompere le scatole a un mio collega, Domenico Caputo. 

In AMZ avevo già notato e guardato con curiosità ad alcuni progetti di Giorgio Vanetti: io lavoravo in redazione, e lui faceva delle cose che mi sembravano interessanti. 

Erano i primi progetti dei “libri con i buchi”, l’idea è sua e di questo è giusto dargli merito.  

Con Domenico Caputo abbiamo iniziato a pensare a un prodotto nuovo, diverso, da portare ai lettori, e così pian piano sono stati pensati alcuni libri, come ad esempio “Brucoverde”. 

Il nostro pensiero era un po’ un azzardo; per fare e sostenere la produzione dei libri con i buchi, abbiamo pensato di stampare anche alcuni albi da dipingere, che in quel momento storico stavano avendo molto successo e che pensavamo avrebbero venduto bene. Sono libri che, pensavamo, ci avrebbero permesso di guadagnare in maniera più forte, per fare così gli stessi libri con i buchi, che erano il nostro vero obiettivo. 

Beh, è stato l’esatto contrario! I nostri libri da dipingere sono stati messi nelle cartolerie e si sono dispersi nel mare magnum di quel mondo, che in quel periodo vedeva una grande concorrenza da parte di editori più grossi. Non sono andati un granché bene. 

La Coccinella, con la sua diversità di offerta rispetto ad altre realtà editoriali, è stata notata grazie a realtà come La Libreria dei Ragazzi di Milano e La Città del Sole. I libri con i buchi erano assolutamente fuori dal coro, li si notava immediatamente sui tavoli delle librerie: erano libri, nella loro forma, molto diversi dagli altri.

Quando i genitori più intelligenti hanno iniziato a frequentare le librerie insieme ai loro bambini, non c’è nemmeno stato bisogno di far capire ai lettori più piccoli come funzionassero questi libri: sono stati i bambini stessi a toccarli, prenderli in mano, usarli. E a loro va il grande merito di averci insegnato in prima persona come funzionassero, come si potessero usare i libri che noi stessi stavamo facendo. 


E qual è stata l’idea di partenza per la costruzione di questi libri gioco? C’era un progetto ben definito alla base?

Devo dire, e non mi vergogno affatto di dirlo, che quando abbiamo iniziato come casa editrice, eravamo proprio ignoranti. Nessuno aveva letto Montessori, Piaget, nessuno di noi aveva basi di psicologia infantile. Quello che facevamo era lavorare con l’intuizione. 


Beh, ma sotto questo punti di vista, può essere un bene “essere ignoranti”. In un certo senso ti libera da tutti i condizionamenti. 

Sì, è vero. Io sono sempre stata un’appassionata di libri. Conoscevo, ad esempio, quello che faceva Munari, ma non ero mai entrata nel suo discorso così approfonditamente.

Alcuni libri importantissimi per la ricerca sulla sensorialità del libro, come i Prelibri, non esistevano ancora. Soprattutto, in quel periodo, lui non aveva teorizzato molto, aveva fatto e messo in pratica. 

Io dico che la mia, e la nostra avventura, è stata un caso di serendipità: partire per andare da una parte e poi prendere un’altra strada.


I libri de La Coccinella si occupano di una fascia d’età che ancora non sa leggere, che si approccia al libro in maniera tattile, visiva. È stato un caso anche il volersi occupare di questa fascia di lettori? 

Con i piedi per terra, frequentando le librerie, ho capito che i bambini molto piccoli non erano ancora stati presi davvero in considerazione, e non ci è voluto molto per capire che volevo occuparmi di questi lettori. 

Questo ha di certo portato a un gran lavoro: occuparsi dei lettori più piccoli significa prendere in considerazione l’idea di percezione, l’esperienza tattile. La prima lettura del libro, anche nell’adulto, è una lettura sensoriale, di cui si parla spesso troppo poco.

All’inizio desideravo lavorare nel mondo del libro in senso generale. 

Ricordo che, da giovane, ero una di quelle che venivano definite dalle maestre con l’appellativo “è brava in italiano”. Con questo vanto mi ero adoperata ed ero diventata corrispondente del Gazzettino locale, quello di Rovigo. A diciotto anni avevo una targhetta sulla porta dell’ufficio con scritto il mio nome. Era stata una soddisfazione incredibile!


Quali erano i libri che lei cercava da giovane?

Io sono nata in campagna durante la guerra, quindi la mia storia è un po’ diversa. 

La mia iniziazione alla lettura è piuttosto tardiva; sono stata una lettrice del Vittorioso e del Corriere dei Piccoli. Ero e sono anche adesso, una grande lettrice di fumetti, questo anche quando era un po’ demodè leggerli, quando quasi li si leggeva di nascosto. [Dice ridendo]

A pensarci bene, ho il ricordo di un Pinocchio, un pinocchietto di cartone fustellato, che, se tiravi una linguetta, buttava fuori la lingua. Era forse una cosa legata al Corriere dei Piccoli. 


Una domanda che le avranno fatto un milione di volte. Quando lei ha iniziato a fare i libri de La Coccinella… si dice che il mercato dei libri di quegli anni fosse stantio. Le storie e come venivano rappresentate avevano un’influenza quasi ottocentesca per temi, contenuti e illustrazioni. In poche parole, il libro per bambini non era stato rinnovato e ripensato. Cosa avevano i libri che non andava secondo lei? 

È una domanda molto complicata perché ha a che fare con aspetti sociologici. È cambiata la società, e la fruizione stessa del libro si è modificata con il passare degli anni. 

Prova a mettere sul tavolo un libro della Emme Edizioni e un libro de La Sorgente, ti rendi conto che c’è una diversità che salta subito agli occhi. Sconfinando oltre l’editoria per bambini e ragazzi, è una differenza chiara anche per quanto concerne la narrativa: tra un libro Rizzoli ed Einaudi degli anni Settanta, c’è un abisso a livello grafico.

I bambini degli anni Settanta avevano a che fare con letture poco connesse con il loro tempo. Venivano spesso stampati libri inadeguati per il momento storico in cui stavano vivendo e rispetto alle cose che stavano succedendo in Italia in quel momento. 

Non mi riferisco solo ai contenuti, ma anche alla forma dell’oggetto libro in sé: io, ad esempio, adoro i libri con il capitello, ma un libro con il capitello è un libro vecchio. Un libro che può mettere in soggezione un bambino, perché non è adatto al suo linguaggio. Se vuoi, si può parlare di un’ora di questa cosa. [risponde ridendo]


L’altra cosa che volevo chiederti è: ho l’impressione che tu abbia fatto libri apparentemente elementari, ma è proprio da questi che si evince come tu abbia preso molto sul serio il lettore bambino.
A volte l’adulto, che spesso sceglie i libri per il bambino, si fa affascinare da quelli che piacciono a lui in primis, ma che poi, spesso, ai lettori più piccoli non piacciono così tanto…
Nel momento in cui si fanno questi libri, ci si sente addosso una responsabilità? 
Credo che sia più difficile fare dei libri giusti, più che dei libri belli. 

Guarda… la risposta è che non lo so. So solo che, a un certo punto, a me, a noi, si è accesa una lampadina. È stato forse un colpo di fortuna quello di aver individuato un linguaggio nuovo. 

Abbiamo capito che si trattava di un linguaggio che non poteva essere lasciato perdere o lasciato al caso, andava governato! Questo sia per il pubblico a cui ci rivolgevamo, sia per noi come realtà. 

Ci abbiamo messo un sacco di tempo a capire cosa stavamo davvero facendo. I libri de La Coccinella hanno avuto subito (e molto velocemente) un successo di tipo planetario: Brasile, Australia, Francia, Spagna, Germania. Tutto il mondo si è interessato a queste storie e a come erano fatte. 

I miei soci guardavano, come si fa anche giustamente, “l’ultima cifra in basso a destra”: la parte economica. È fondamentale per andare avanti, ma altrettanto fondamentale per procedere con un progetto è il chiedersi cosa si stia facendo davvero, il sapere cosa si sta facendo realmente.

La ricerca di questo tipo di coerenza, che ho perseguito per dodici anni, è stata per me di grande interesse, ma ha anche portato a un’inevitabile frattura con i miei soci. Loro erano più per il facile fatturato, mentre io mi ponevo troppe domande sul nostro lavoro.

Questo è forse l’aspetto più pratico e meno bello, ma la scoperta di questo linguaggio e questo modo di comunicazione con i bambini è stato per me un grande motivo di arricchimento personale. Sentivo di aver trovato una relazione con qualcosa di cui non si era mai parlato. 

Il discorso dell’importanza della lettura sensoriale è qualcosa che mi è sempre interessato molto, un campo a cui mi sono dedicata intensamente.

Durante uno degli ultimi incontri con la nostra associazione, ha partecipato una neuroscienziata, la quale tutt’ora non sa rispondere alla domanda “Che cosa vedono, quando leggono, i bambini?”.

Non è molto facile rispondere, mi rendo conto. Quello che posso dire per mia esperienza è che una cosa che mi è servita molto è stata stare lì a guardarli, vedere come reagiscono davanti alle cose e ai libri.


Questo ha influenzato tanto di quello che si è fatto dopo immagino…

Sì, assolutamente.

L’esperienza personale conta: io non ho figli, però questi bambini mi hanno insegnato di tutto! Se ci pensi anche Munari si è messo a fare i libri per bambini perché guardava cosa faceva sui figlio. I libri del 1945 sono nati così. 

Facciamo un esempio per far capire meglio quanto conti l’osservazione e sia importante la lettura sensoriale dei libri. Prendiamo un bambino molto piccolo che prende un libro e magari lo mette in bocca: una mamma potrebbe istintivamente pensare di toglierglielo. 

Ma la verità è che in quel momento, il bambino sta leggendo! Lasciamolo stare, lui così sta leggendo a suo modo, è impegnato e chissà cosa sta succedendo dentro di lui, nella sua testa. La prima lettura, quando sono molto piccoli, passa anche dalla bocca, dai sensi. 

Dunque io dico, sul concetto di lettura e sul suo significato, mettiamoci d’accordo.


Leggere dunque cos’è, cosa significa?

Leggere non è decodificare le lettere a stampa. Non è questo. Leggere è un gesto molto più complesso che mette insieme tutti i sensi. 

Anche tu, quando vai in libreria, non vai subito in cerca di un contenuto. Diciamo che vai in cerca del contenuto quando entri e sai che vuoi comprare “Delitto e Castigo”, ma anche in quel caso, ti soffermi sull’edizione, sulla forma dell’oggetto che hai in mano. 

È la forma che colpisce, è la riconoscibilità. 

La collana degli Oscar Mondadori, la Bur, perché hanno avuto così tanto successo? Perché erano riconoscibili. E riconoscere, conoscere una cosa nella sua forma, ti dà sicurezza. 


Ricordo che gli Oscar Mondadori, al loro lancio, erano stati pensati per essere venduti nelle edicole. È qualcosa di molto importante se si pensa all’operazione di voler far avvicinare qualcuno all’oggetto libro e farlo diventare un potenziale lettore. 

Certo, perché il fatto di vederli in un luogo così quotidiano, ti liberava dalla soggezione di entrare in libreria.

Io dico sempre che l’editore deve essere anche un po’ sociologo, deve capire il mondo che gli sta intorno, altrimenti produce solo carta stampata. 

Collegandomi a questa idea della sensorialità. Io sono una persona che difficilmente compra  un libro se la copertina non le piace. Piuttosto aspetto un’altra edizione. La stessa cosa vale per i cartonati: non acquisto quasi mai edizioni cartonate perché preferisco le brossure, le edizioni tascabili. Rendono la mia lettura più soddisfacente.


La materialità di un libro per me è estremamente importante, non solo per la narrativa ma anche per i libri per bambini. La carta, il carattere scelto, le fustelle, le pieghe che si trovano sfogliando un volume… Tutte queste scelte hanno una loro potenza e importanza. 

Quanto peso ha avuto la materialità nella casa editrice La coccinella?

Ti faccio vedere un po’ di libri della Coccinella.

Io ho portato avanti un discorso che ha a che fare con i materiali, un discorso che poi ha dovuto in qualche modo essere interrotto perché fare libri con materiali diversi ha costi notevoli. Io mi sono divertita tantissimo in questo senso. 

Sono libri con lavagne, libri con adesivi da staccare a attaccare,  libri da disegnare, dove c’è da fare nel vero senso della parole. Il bambino gira le pagine e trova sempre una sorpresa, ed è chiamato ad agire dentro al libro.


Era difficile stamparli?

Mah, sai, con il passare del tempo avevamo imparato un mestiere e avevamo capito cosa le macchine potevano fare. I libri gioco si fanno con le macchine, e saper ottenere dalle macchine queste cose è stato frutto di una lunga ricerca. Quello che io a volte rimprovero agli editori italiani è che, se oggi fai fare loro un libro che esce dalla piega in sedicesimo o sconfina dalla singola fustella, vanno in crisi e mandano tutta la produzione in Cina. 

Le macchine che stampano la carta, ad esempio, sono diverse da quelle che stampano il cartone: la ventosa che tira su un foglio di 300 grammi e quella che tira su un foglio di cartone, sono diverse. In quegli anni siamo andati alla ricerca di stampatori che potessero stampare sul cartone. Gli stampatori e le macchine che sapevano stampare il cartone erano di due tipi: quelli che facevano le scatole per usi comuni e quelli che si occupavano dei contenitori dei detersivi. Poi, c’erano anche quelli che stampavano i contenitori di profumi in cui c’era una cura e attenzione diversa.

Eravamo alla ricerca di persone che potessero stampare e trattare il cartone, e in questa ricerca spesso ci hanno scambiati per dei matti. Questo finché, un giorno, abbiamo trovato un signore di Montebello, a Vicenza. Un genio che ci ha aiutato. 

Si è ingegnato per capire come far ottenere dalle macchine i nostri libri, e siamo diventati soci. 


Quindi c’è stato un grande sforzo, una grande ricerca, per capire come poterli realizzare. 

La produzione dei libri gioco è una produzione industriale, che non comporta il manuale. 

Questo comporta una differenza tra quelli che sono i libri gioco e i pop up, ad esempio.

Nel pop up sei più uno spettatore, sono libri fatti per meravigliare l’occhio, ma non ti impossessi mai in maniera vera e propria del libro. 

I libri gioco sono fatti per sviluppare una certa autonomia: sono libri in cui il lettore viene considerato, dalla primissima pagina, un lettore attivo, in cui i materiali, le fustelle, i tagli, sono gli elementi che contribuiscono a rendere più ricca la storia. 

La carta e il cartone sono loro stessi dei grandi comunicatori in questo senso, come tutti gli altri materiali. 

Quando dico che il lettore dei libri gioco è attivo e ha una certa autonomia, non dico di essere contraria al triangolo mamma-libro-bambino, piuttosto credo che il libro gioco, attraverso le sue caratteristiche e possibilità  plurisensoriali renda il bambino più consapevole, più pronto a gestire anche quello che gli sta intorno.



Se dovesse lei dare un consiglio a un insegnante oggi per avvicinare i bambini alla lettura, quale sarebbe?
Credo di far parte di una generazione di studenti a cui le maestre e maestri (bene o male che sia stato) hanno sempre consigliato molti libri a scuola. Sono stati spesso libri che non ho capito, a volte difficili o poco soddisfacenti per la mia età.
Libri, insomma, che se avessi letto all’università avrei compreso e capito di più. 
Credo che sia giusto offrire degli strumenti per far capire a bambini e ragazzi che i libri esistono, che hanno diverse forme, contenuti. Insomma, che possono leggere, e che possono leggere ciò che vogliono senza paura. 

Io sono invecchiata, forse dovrei aggiornarmi: la metodologia per me è quella di dargli delle cose in mano. Anche se sono molto piccoli, il racconto se lo fanno loro, da soli.

Se sono più grandi puoi dargli, ad esempio, la storia di Pinocchio in cinque versioni diverse (illustrata, semplificata, integrale) e lasciarlo scegliere liberamente.


Visto che abbiamo parlato a lungo di come si fanno i libri e dell’importanza delle scelte materiali… Cosa vorrebbe consigliare di fare a qualcuno che nella vita vuole farli, i libri?

Beh, se proprio si ostina [dice ridendo], di continuare a non smettere di chiedersi “come si fa?”.