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Letture quotidiane

Intervista ad Alex Corlazzoli

Non si può pensare alla scuola come una bolla insonorizzata nella quale i bambini e i ragazzi siano isolati dal resto del mondo. Scuola e realtà, materie e attualità devono intrecciarsi, perché, una volta lasciate libere, lo fanno naturalmente. Con questo incontro inevitabile si deve poi senza dubbio fare i conti, trovando il modo giusto di filtrare, raccontare e far capire la complessità cui si sono aperte le porte. Come? Imparando a leggere un quotidiano, abituandosi a metterne a confronto diversi, avendo il coraggio di discutere a partire da ciò che vi apprende, persino provando a immaginare un proprio giornale e facendolo: Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, suggerisce che tanto i bambini quanto gli adulti, tanto gli studenti quanto gli insegnanti adottino questa strategia e facciano del giornale una loro necessità.

In classe dedichi molto tempo alla lettura del giornale insieme ai tuoi alunni. Perché credi che farlo sia fondamentale?

Il giornale è sempre stata una mia passione. A casa mia non c’erano né libri né una libreria, ma sin da piccolo mi hanno sempre comprato il Corriere dei Piccoli. A scuola non portavo con me libri ma quotidiani e, quando avevo quindici anni, il giornale mi arrivava direttamente a casa grazie all’edicolante, che me lo consegnava. La voglia di leggere il giornale mi assaliva appena sveglio. Ho attraversato diversi periodi, da quello rivoluzionario in cui leggevo il Manifesto a quello in cui preferivo la lettura di Repubblica a quello che prevedeva la consultazione di più giornali. E alla fine, pur rimanendo molto vicino alla Stampa, ho scelto il mio giornale, ovvero Il Fatto Quotidiano. Insomma, ho avuto tutta una vita per familiarizzare ed entrare in confidenza con il tema, e l’oggetto, del quotidiano e del giornale: ne sono rimasto affascinato, me ne sono in qualche modo innamorato.
Ecco perché per me leggere il giornale con i bambini è un gesto semplicemente naturale: è il condividere con loro uno dei miei atti quotidiani e necessari, come respirare l’aria. Credo che non dovrebbe essere un’opzione, ma che sia fondamentale far entrare il giornale a scuola. L’Osservatorio per i Quotidiani aveva ben interpretato questa necessità, mandando ogni giorno, fino a qualche anno fa, il quotidiano cartaceo nelle classi. Purtroppo, però, oggi siamo semplicemente invitati a scaricarlo online e le difficoltà che si hanno a scuola con la rete rende spesso e volentieri l’operazione molto difficile. 
Portare il giornale in classe significa lasciare aperte le porte e le finestre, affinché ciò che accade fuori dall’aula scolastica – l’attualità – possa entrarvi. La scuola non è un luogo chiuso: non deve esserlo. È impensabile che, quando a pochi chilometri di distanza c’è un’azienda in cui gli operai ormai disoccupati organizzano un picchetto o quando un barcone di migranti attraversa il Mar Mediterraneo che magari si è appena studiato in geografia, la scuola copra gli occhi, faccia finta di niente e non si impegni a guardare cosa sta succedendo al di là dalle sue porte e finestre. Leggere il quotidiano in classe garantisce uno sguardo sul mondo. E poi, vi si trova storia, geografia, scienze, educazione civica, arte, a volte persino educazione fisica: ci sono davvero tutte le materie. Tante volte mi capita di intrecciare i racconti del quotidiano alle diverse discipline e viceversa. Potrei citare tanti esempi, ma il primo che mi viene in mente è l’articolo che parlava della recente scoperta di un’antica osteria nel sito archeologico di Pompei ed Ercolano: è un racconto che ha a che fare con la storia, ma anche con la geografia, come per noi, che avevamo appena studiato la Campania.
Il lavoro che un giornale ti porta a fare a scuola è straordinario. Con i bambini io leggo il quotidiano, certo, ma ciò a cui tengo di più è la discussione che ogni volta si apre a partire da quello che leggiamo insieme. Finiamo con il parlare di politica o di economia, di temi che si credono distanti e che altrimenti, proprio per questo, a scuola non si affronterebbero: se le indagini internazionali riconoscono la nostra totale ignoranza per quanto riguarda l’economia finanziaria, perché non utilizzare il giornale per provare a comprenderla, magari leggendo un articolo sulla disoccupazione, che, purtroppo, riguarda da vicino non poche famiglie dei nostri bambini? Perché, per tornare invece all’intreccio con le discipline più tipicamente scolastiche, non affrontare il tema della nascita, già trattato in scienze, anche attraverso la lettura di un articolo dedicato al tema dell’aborto, sulla scia dei recenti eventi in Polonia? I contenuti che a scuola proponiamo ai bambini devono diventare vita, devono calarsi nelle loro esistenze. I bambini devono poter toccare, devono poter vedere quello che studiano: il quotidiano ci aiuta a farlo.

La sensazione però è che tanto i genitori quanto, spesso, gli insegnanti abbiano paura che i bambini siano troppo piccoli per i contenuti proposti dai quotidiani. Eppure i bambini sono sempre esposti a ciò che accade al di là delle pareti scolastiche. Non sarebbe più ragionevole fornire loro gli strumenti per affrontare il mondo, piuttosto che provare, se così si può dire, a proteggerli tenendoli lontano dalla stessa realtà in cui sono immersi?

Io credo che alla base di queste paure ci sia il fatto che in Italia, purtroppo, non si leggono i quotidiani. Me ne rendo conto ogni volta che vado nelle due edicole del piccolo paese in cui abito: la domanda è talmente scarsa, che l’offerta, di riflesso, non propone tutti i quotidiani, tanto che dove vivo io non si può comprare il Manifesto né il Sole 24Ore. Eppure proprio l’inserto domenicale di quest’ultimo fornisce di per sé un aggiornamento culturale straordinario, che spesso sarebbe più valido e più utile dei corsi di formazione proposti dalla scuola. Si potrebbe dire lo stesso dell’ottimo inserto dedicato ai libri che la Stampa fa uscire il sabato.
Il quotidiano spaventa, appare lontano, perché non viene letto e quindi non è conosciuto. Inoltre, c’è un enorme pregiudizio intorno alla figura dei giornalisti, che sono spesso considerati come coloro che stravolgono la realtà dei fatti, che non dicono la verità. Anche questa idea è figlia di una mancata conoscenza del nostro mestiere: chi svolge seriamente il lavoro del giornalista va ogni giorno alla ricerca della verità.
Infine, molti adulti sono convinti che i bambini non possano capire le cose “dei grandi”. Io, però, mi sono sempre chiesto chi siano questi grandi. Nella mia riflessione a questo proposito ho sempre trovato di grande ispirazione il pensiero di Janusz Korczak, pedagogista e uomo straordinario, che ripeteva che per diventare grandi è necessario abbassarsi al livello dei bambini. 
Dobbiamo impegnarci nella bella fatica di far sì che i bambini non siano esclusi dai grandi. I miei alunni, per esempio, sanno tutto della Cronaca Nera e se il maestro non fa da filtro, non spiega o non traduce, c’è davvero il rischio che sorgano degli equivoci, delle incomprensioni e dei fraintendimenti. O ancora, giocando o durante la cena i bambini intercettano le notizie che raccontano ciò che sta accadendo nel mondo: in quest’ultimo periodo i miei alunni avevano sentito parlare della crisi di governo, quindi perché non avrei dovuto spiegare loro che cos’è? Qualche giorno fa un bambino mi ha chiesto che cosa fossero la Destra e la Sinistra e io non ho ignorato o sviato la sua domanda: gli ho fatto un lungo discorso, cercando di essere il più oggettivo possibile, e ho concluso facendogli ascoltare la canzone di Giorgio Gaber
I bambini possono affrontare il contenuto dei giornali, perché lo vivono. Purtroppo, però, sono in molti a non pensarla così: sono voci che, per quanto autorevoli, solitamente non conoscono i bambini, non stanno con loro. Qualche giorno fa ho letto su Avvenire un articolo di Fernando Camon, che sosteneva che per i bambini non è possibile affrontare il tema della morte. Non è affatto così: i bambini della scuola primaria hanno già una chiara percezione di che cos’è la morte ed è utile, oltre che importante, parlarne in classe, riflettere insieme, tirare fuori le emozioni e le sensazioni che suscitano i pensieri che si hanno in proposito; è così normalmente e, forse, oggi lo è ancora di più, visto ciò che sta accadendo nel nostro paese e nel mondo. 
Alcuni temi sono considerati inaffrontabili. C’è, per esempio, una grande confusione per quanto riguarda le questioni politiche, di cui sembra non si possa parlare affatto, anche se sarebbe doveroso fare delle differenze: c’è la politica faziosa dei partiti, ma anche la Politica vera e propria. Se racconto dei migranti bloccati nei Balcani e spiego, dopo aver illustrato che cos’è l’Europarlamento, che alcuni europarlamentari si stanno recando direttamente sul posto per conoscere il problema, sto facendo la stessa Politica che faceva Don Milani, ovvero la politica che si occupa degli altri. È fondamentale che i bambini, gli alunni si occupino di Politica, perché non possono crescere senza occuparsi degli altri, altrimenti diventeranno egoisti, cinici, persone che quando vedranno un clochard si volteranno dall’altra parte, anziché andare a parlare con lui. Mi capita spesso di leggere articoli su senzatetto morti di freddo: solo a Roma, quest’anno, ne sono morti 12. È una vergogna e io non posso non parlarne ai bambini.  
Anche la sessualità, e in particolare l’omosessualità, è un tema che qui in Italia si fa ancora molta fatica ad affrontare. Quando mi capita di leggere insieme ai bambini di 9 o 10 anni articoli che raccontano episodi di omofobia, il giorno dopo arriva sempre qualche genitore a lamentarsi o protestare, sostenendo che i bambini di quell’età siano troppo piccoli per affrontare certe questioni: che sia troppo presto per parlare loro di omosessualità. A quel punto mi trovo evidentemente in difficoltà, anche se mi piace pensare che possa trasformarsi in un’ottima occasione per invitare i genitori a leggere un certo libro su un dato tema e poi a ritrovarsi per rifletterci e discuterne insieme. Sono convinto, infatti, che a sfogliare il quotidiano, a non avere paura delle notizie sia necessario e-ducare non solo i bambini ma anche i genitori e gli insegnanti. È su questo che mi piacerebbe vertessero alcuni corsi di formazione: sull’imparare a come leggere e far leggere un giornale ai nostri bambini.

Quando si racconta una notizia, ci si scontra con una questione interessante: la verità. A questo proposito mi domando, e chiedo anche a te, se la lettura di più quotidiani possa abituare i bambini all’idea che esistano più verità o più modi di interpretare uno stesso fatto; se possa rendere loro familiare la necessità di un confronto. Non potrebbe proprio essere questo un buon modo di impiegare le ore di Educazione Civica, di cui nell’ultimo periodo si parla così tanto?

Visto che l’hai menzionata tu, ti rispondo innanzitutto dicendoti che io sono molto contento che l’Educazione Civica sia stata introdotta in modo, per così dire, tanto ufficiale, poiché prima era una disciplina che facevano tutti, ma che, a dir la verità, solo i veri appassionati di cittadinanza, ovvero del significato e del valore dell’essere cittadini e parte di una comunità, prendevano sul serio. Dall’altra parte, però, se la recente normativa restituisce dignità all’Educazione Civica, al contempo l’ha resa un cappello sotto cui rientra di tutto, dall’educazione alimentare a quella ambientale a quella alla legalità, dalla Costituzione alle istituzioni europee, etc: Tutto questo dovrebbe essere trattato e compreso nelle 33 ore previste e mi sembra evidente sia impossibile. Confesso senza alcun timore che da settembre a oggi io ho approfondito con i bambini “solo” i primi tre articoli della Costituzione: quanto tempo c’è da investire – e non perdere! –, per esempio, per comprendere l’articolo 3?
Quanto alla tua suggestione, raccolgo con piacere la tua bella considerazione, per cui alla verità si lega l’idea e l’atto del confronto. Io credo che, prima di tutto, sia importante domandarsi che cos’è la verità. A me l’ha insegnato il mio caporedattore quando mi chiedeva, a me che ero allora giornalista alle prime armi, di portargli quattro “faccine”, ovvero di andare a sentire, se per esempio parlavamo di politica, tutte e quattro i rappresentanti dell’amministrazione locale (le “faccine” erano appunto le loro fotografie); in generale, per qualunque argomento affrontassi mi si chiedeva sempre di ascoltare più voci. Ecco, allora, che la verità non può separarsi dal confronto e noi dobbiamo mettere a disposizione dei bambini tutti gli strumenti necessari affinché possano sapere per scegliere. 
È stato il mio amico e per me maestro (ogni maestro ha i suoi maestri: lo dico sempre!) Gherardo Colombo a insegnarmi quanto sia importante sapere per poi compiere una scelta. Se non c’è conoscenza, non siamo liberi di scegliere ed è per questo che noi insegnanti dobbiamo, per riprendere le parole di un altro grande maestro, padre Bianchi, fondatore della comunità di Bose, segnare le diverse strade tra cui, da grandi, i bambini sceglieranno sulla base di ciò che si confà loro di più, cambiando strada quando e se lo riterranno opportuno. È questo, secondo me, l’abituarsi e l’abituare i bambini a cercare la verità. 
La ricerca della verità è un esercizio che può compiersi anche a partire dalle piccole cose quotidiane. Qualche volta mi capita che i bambini mi chiedano se sia vietato l’utilizzo della pallina di gomma in classe e io rispondo invitandoli a consultare insieme a me il regolamento della scuola, che, in effetti, non lo vieta: risolviamo il dubbio facendo direttamente riferimento alle fonti. 
Abituarsi a ricercare la verità significa abituarsi al confronto. Io credo che nel nostro paese siano gli adulti i primi a non essere abituati al confronto e al conflitto da un punto di vista pedagogico. Ce ne accorgiamo anche a scuola, dove nei rapporti tra gli insegnanti e tra gli insegnanti e il/la dirigente emerge chiaramente l’incapacità di gestire i conflitti. La nostra è una società altamente conflittuale, che non sa però far fronte a questa sua caratteristica. Per questo credo sia necessario che a scuola, sin da piccoli, si impari a confrontarsi, a mettere le proprie opinioni accanto a quelle degli altri, dai temi più piccoli a quelli più grandi. Ho accennato all’esempio della pallina di gomma, ma, dall’altra parte, potrei raccontare anche della discussione estremamente interessante che pochi giorni fa è emersa in una classe in merito all’adozione da parte di genitori omosessuali: si sono incrociate, scambiate e scontrate diverse posizioni e io ho fatto l’arbitro, cercando di gestire il conflitto che si è sviluppato in modo che fosse fertile e sano. La scuola è un luogo in cui i bambini possono imparare a confrontarsi e a stare insieme pur avendo idee diverse, che sono ricchezza nel momento in cui sappiamo ascoltarci.

L’abitudine al confronto e alla ricerca della verità diventa, immagino, imprescindibile e fortemente incarnata quando si realizza un giornale. So che hai condotto esperienze simili più di una volta, a scuola, in classe, ma non solo. 

Più di una volta mi è capitato di fare un giornale in classe, anche se non tante volte quante avrei voluto a causa di problemi tecnici: abbiamo dei pessimi computer.
Proprio ieri, durante la trasmissione Fuoriclasse, raccontavo che avevo quindici anni quando realizzai il mio primo giornale: si chiamava Otto e un Quarto e lo misi in piedi alla scuola magistrale Albergoni, quando ormai, sulla scia di ciò che dicevo all’inizio, era già esplosa in me la passione per il giornalismo.
Un’altra straordinaria esperienza, che mi è stata maestra anche per il mio essere insegnante, è stata quella che per cinque anni abbiamo portato avanti nel carcere di Lodi con il giornale Uomini Liberi. Con l’allora direttore del quotidiano locale di Lodi, compimmo la scelta fortunata di collocare il giornale all’interno della foliazione del Cittadino, affinché tutti coloro che l’avessero sfogliato si sarebbero imbattuti per forza di cose anche in Uomini Liberi; se fosse stato un elemento esterno, quasi senz’altro sarebbe stato gettato e in pochissimi l’avrebbero letto. A proposito di quanto dicevamo prima, quest’esperienza fu un’incredibile lezione di confronto: riuscimmo a unire le due sezioni del carcere, quella dei sexual offender e quella dei cosiddetti “comuni” e a farle incontrare e lavorare insieme nel condividere il medesimo obiettivo. In quest’occasione ho imparato l’importanza della fiducia: lavorando al giornale con i detenuti ho imparato ad andare al di là del reato commesso dall’uomo che avevo di fronte per provare a concretizzare l’articolo 27 della nostra Costituzione, che prevede la pena ma anche la rieducazione.
La fiducia è un elemento fondamentale anche con i bambini: con tutti, e soprattutto con gli alunni che fanno più fatica, che, più che di voti, hanno bisogno di incoraggiamenti, di qualcuno che noti il loro impegno.
A proposito del fare un giornale insieme ai bambini, la cosa più simpatica che mi è capitata è che, dopo aver provato a realizzarne uno con me, ne facciano uno di loro iniziativa: arrivano a scuola con dei fogli su cui si sono inventati il loro quotidiano, che, come ho insegnato loro, ha testata, occhiello e catenaccio, e in cui scrivono gli articoli facendo attenzione a svolgere l’attacco con le 5W. Del resto, l’insegnamento dell’Italiano prevede che i bambini imparino a scrivere un articolo di giornale e io mi auguro che siano tanti i maestri e le maestre che dedicano a questo argomento e, più in generale, alla scoperta del quotidiano ben più di una lezione. Sono tanti i modi in cui può essere divertente e interessante occuparsi di un giornale in classe: dall’andare a vedere, quando sarà possibile, che cosa succede in una vera redazione all’invitare un giornalista, in classe o online, perché racconti ai bambini la sua esperienza; dal leggere Popotus di Avvenire, che è un giornale per bambini ben fatto, al confrontare, come dicevano prima, tanti e differenti quotidiani. 
Io stesso moltissime volte ho portato in classe diversi giornali, da Libero al Manifesto. A questo proposito mi viene sempre in mente Alla Luce del Sole, un film straordinario, di cui un passaggio è rimasto impresso nella mia memoria: il momento in cui Pino Puglisi entra nella classe in cui insegnava con un pacco di giornali. 
Io sono convinto che, in quanto insegnanti, il nostro compito non sia tanto quello di completare un programma, di rincorrere trafelati le lezioni: piuttosto che fare tutto e in modo superficiale, facciamo meno, ma bene e in modo approfondito. Quanto al giornalismo, dedichiamoci davvero del tempo e facciamolo bene anche a scuola, perché così, un domani, avremo cittadini consapevoli. Io non dimentico che tra otto anni – praticamente un soffio! – i miei bambini andranno a votare e, quando accadrà, devono avere gli strumenti per poterlo fare: chi legge i quotidiani, chi si informa, chi sa che cos’è il parlamento, il senato e la camera sa votare e può farlo davvero in modo libero. Io credo che il giornale ci aiuti veramente, piccoli e grandi, a essere cittadini che sanno appassionarsi alla Politica, quella vera.