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Libera necessità

Intervista a Matteo Meschiari a cura di Ilaria Rodella

L’immaginazione è una facoltà che accomuna tutti gli esseri umani, ma che troppo spesso dimentichiamo di allenare. Questo perché non la prendiamo abbastanza sul serio: la consideriamo utile per giocare, divertirsi, distogliere l’attenzione dalla realtà… cose “da bambini”, inutili, se non addirittura rischiose, una volta raggiunta l’età adulta. 

Il punto, però, è proprio questo. L’immaginazione non è inutile, ma necessaria alla stessa sopravvivenza, e la spontaneità con cui si manifesta nei bambini va sostenuta e alimentata perché non si disperda.

Le parole di Matteo Meschiari, che potete leggere nell’intervista che segue, raccontano il potere e la necessità di una facoltà come l’immaginazione, manifestazione della nostra libertà. 

Anzitutto che collegamento c’è, se c’è, tra Bambini. Un manifesto politico e l’ultima frase de La grande Estinzione, in cui scrivi: “Se insomma non potremo salvare tutti, dobbiamo da subito, adesso, senza ulteriori ritardi, provare a salvare un’ipotesi antropologica, un’idea di donna e di uomo che forse sarà storicamente perdente ma che potrà contrastare il crollo dell’umano, la ferocia sociale, l’estinzione dell’empatia. Cominciando dai bambini. E nell’unico modo possibile. Immaginando.”? 

La politica e la cultura sembrano il mondo degli adulti che attende solo che i bambini diventino cittadini votanti e consumatori compulsivi. Quando penso a una vera rivoluzione immagino che cosa potrebbe significare mettere al centro delle riflessioni sociali, dei progetti, delle visioni future chi effettivamente si troverà a dover manipolare un futuro che somiglia sempre di più a una bomba a orologeria. Invece oggi fare politica e fare cultura è come progettare una casa per soddisfare l’ego dell’architetto invece dei bisogni reali di chi ci andrà ad abitare. Ma con un’aggravante: qui l’architetto non progetta solo la casa a propria immagine e somiglianza, ma il racconto stesso della casa, in modo tale che chi la abiterà sarà convinto di avere gli stessi bisogni dell’architetto. È una guerra dell’immaginario a tutti gli effetti. Di chi lo altera, lo reindirizza, lo usa, e di chi deve provare a resistere a quello che chiamerei volentieri colonialismo immaginifico. Come insegnante in un corso di formazione primaria, la prima cosa su cui provo a sollecitare future maestre e futuri maestri è una specie di educazione alla sopravvivenza. Che cosa ci servirà davvero nei prossimi anni? Che cosa servirà davvero a chi avrà trent’anni tra vent’anni? Tecnologia? No. Immaginazione. Senza immaginazione il futuro non solo resterà opaco ma sarà programmato da altri. 


In Bambini hai anticipato IL tema, ossia quello della scuola che, in questi ultimi mesi, ha dimostrato tutta la sua fragilità. Ora, però, il richiamo alla Wilderness, alla libertà e all’uscire dai limiti sembra essere diventato una chimera ancora più irraggiungibile. Eppure nei tuoi testi non ti limiti a una descrizione pessimistica del reale, ma invochi parole cariche di grande tensione politica, invitando quindi all’azione. Quali di queste parole/concetti sarebbe essenziale condividere con i nostr* bambin*? O magari sarebbe meglio farci condurre da loro?

I bambini devono fare da soli, giocare da soli, imparare da soli, stare tra di loro senza adulti-drone. Non dico che la scuola sia inutile, al contrario. Dico che dovrebbe includere momenti di autodidattica, di vuoto gestionale, una pedagogia della lacuna e della noia, qualcosa di inconcepibile per una società ossessionata dall’horror vacui e dalle politiche dell’intrattenimento. Perché abbiamo bisogno di lacune? Perché sono il vero grande humus dell’immaginario. Ovviamente nei due sensi, anche in quello oscuro, populista, ignorante. È nelle lacune che si innestano le idee altrui, perché non siamo più abituati all’autogestione del vuoto. Così apriamo la porta al primo venditore ambulante e paghiamo tra speranza e desiderio per avere un elisir fatto di acqua sporca. Quindi non ho parole/concetti da dare a bambine e bambini. Vorrei darli, e un po’ provo a farlo, a chi avrà a che fare con le loro teste nei momenti più delicati e formativi della loro vita: genitori, educatori, insegnanti. E queste parole sono “resistere”, “lottare”, “immaginare”. Resistere all’appiattimento cognitivo, lottare per sopravvivere in un pianeta autodistrutto, immaginare un futuro alternativo.


In Bambini, nel capitolo “Tra i banchi, ci racconti che a Samoa la trasmissione del sapere avviene in base a una spazialità laterale, ossia il bambino siede di fianco a chi insegna ed entrambi guardano l’oggetto di apprendimento dalla medesima prospettiva, sottolineando l’importanza di uscire da una visione dicotomica e di trasmissione univoca del sapere. E ancora fai l’esempio dei parchi giochi di Lady Marjory Allen of Hurtwood, abbracciando l’importanza dell’autonomia nella crescita dei bambin*. Ora che addirittura rimpiangiamo la retorica frontale, come rifondare nuovi spazi che tengano conto di queste necessità, ancor di più adesso, dopo tanti mesi in cui a bambini e ragazzi sono state negate autonomia e libertà?

Non credo che la DAD sia negazione di autonomia e libertà. Negazione di autonomia e libertà sono le miniere di diamanti in Africa, sono le piccole prostitute tailandesi, sono bambine e bambini incanalati in topografie reali e mentali in cui tutto deve funzionare in base alla progettualità neoliberista, ovviamente entrata dalla porta principale nelle scuole. La DAD, al contrario, è stata un grande e spesso generoso sforzo da entrambe le parti, alunni e insegnanti, per poter resistere a una situazione eccezionale come una pandemia. Una pandemia, voglio ricordarlo, regolata dai capricci di un virus, non da un misterioso burattinaio biopolitico. La DAD ha fatto il possibile, ha tenuto duro nel collasso, e sì, la mancanza di spazio e di corpo certamente avrà costi molto alti, e sarà solo una delle molte sfaccettature del trauma collettivo che questi tempi eccezionali stanno distillando per noi. Ma se per un po’ ti trovi bloccato in un cul-de-sac non significa che sei in prigione, non sei necessariamente la vittima di un disegno o di un destino concentrazionario. Durante la DAD molti insegnanti hanno invece continuato a lottare proprio per insegnare autonomia e libertà ai propri studenti. Ricordiamolo: dove l’umanità migrante trovava barriere geografiche insuperabili, dove il corpo doveva fermarsi, la mente proseguiva il viaggio immaginando. Per questo in molti luoghi alla fine del mondo troviamo arte rupestre: immagini con cui l’uomo ha superato i limiti reali spingendosi oltre, con i piedi della mente. 


Alla fine di La Grande distinzione ci regali una lunga lista di libri proprio per costruire una mappa condivisa nella re-immaginazione dell’Antropocene. Ma se ne dovessi consigliare dieci agli insegnanti di tuo figlio, quali sceglieresti?

In realtà consiglierei la lettura di scrittori come Cormac McCarthy, Antoine Volodine e Jeff Van Der Meer… Se parliamo di saggi, invece, comincerei con questi:

  • Danowski D., Viveiros de Castro E., Esiste un mondo a venire? Saggio sulle paure della fine, Nottetempo 2017 
  • Diamond J., Collasso, Einaudi 2014 
  • Ghosh A., La grande cecità, Neri Pozza 2017 
  • Harari Y.N., Homo Deus, Bompiani 2017 
  • Kopenawa D.,Albert P., La caduta del cielo. Parole di uno sciamano yanomami, Nottetempo 2018
  • Meschiari M., Neogeografia. Per un nuovo immaginario terrestre, Milieu 2019
  • Morton T., Iperoggetti, Nero editions 2018
  • Pievani T., Homo sapiens e altre catastrofi, Meltemi 2018 
  • Staid A., Contro la gerarchia e il dominio, Meltemi 2018
  • Taleb N.N., Il Cigno nero. Come l’improbabile governa la nostra vita, Il Saggiatore 2008. 

Matteo Meschiari (Modena 1968). Già ricercatore in Scienze Demoetnoantropologiche, è professore associato in Geografia all’Università di Palermo. Da anni studia il paesaggio in letteratura (in particolare Campana, Biamonti e la Linea ligustica) e svolge ricerche sullo spazio percepito e vissuto in ambito europeo ed extraeuropeo. Ha formulato la Landscape Mind Theory, con cui sostiene che la mente dell’uomo è geneticamente e culturalmente paesaggistica, e ha proposto nuovi modelli interpretativi per l’arte paleolitica franco-cantabrica. Oltre a numerosi articoli, ha scritto libri di carattere saggistico e letterario. Con Antonio Vena ha ideato il progetto TINA-LA GRANDE ESTINZIONE sull’immaginario collettivo nell’Antropocene.

www.lagrandestinzione.wordpress.com  
www.ilproblemadigrendel.net