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Mani e parole

Intervista a Viola Tortoli Bartoli

Per prima cosa, parlaci un po’ di te, del tuo lavoro d’artista, della tua ricerca…

Innanzitutto, vi dico che alle spalle ho un percorso di studi che apparentemente non c’entra nulla con quello che faccio: non ho studiato in ambito artistico, ma scientifico. All’università ho fatto medicina, quasi fino alla fine: mi sono laureata, ma mi sono fermata prima della specialistica. Tuttavia, non mi sono mai pentita delle mie scelte e anche ora, facendo arte, sento l’eco del mio passato: il mio approccio alle cose resta scientifico, sono una grande appassionata di scienze naturali e amo prendermi cura delle persone. Sono riuscita, diciamo così, a declinare in altro modo il mio istinto primordiale di lavorare con le persone, adulti, bambini, disabili e non.

Alla base delle relazioni che instauro con gli altri c’è il fare insieme: la materia o azioni come la scrittura sono mezzi per arrivare alle persone. Mi spiego meglio. 

Ho iniziato, da totale autodidatta, con una piccola attività artigianale di costruzione di giochi in legno per bambini. Facevo qualcosa del genere già da ragazzina, ma è con l’arrivo delle mie figlie, le prime destinatarie dei miei lavori, che è diventata una vera e propria attività. Poco dopo, i miei giochi sono diventati sempre più richiesti da altre mamme, dagli amici, nei circoli… E io ho cominciato a pensare che non volevo più costruire i giochi da sola: volevo farlo collettivamente, insieme ad altri adulti e insieme ai bambini. Così, sono nati i progetti che presento nelle scuole: progetti legati alla manualità, alla costruzione, ai materiali vegetali e, soprattutto, al legno.

Tutto questo mi ha portato alla cooperativa dove lavoro stabilmente in qualità di artista ed educatrice con ragazzi disabili. Qui sono la responsabile del laboratorio del legno, che si compone di una parte più artigianale, in cui si fa scultura in assemblaggio, e di una parte dedicata alla loro espressione di sé, delle loro caratteristiche.

Credo molto nell’uso delle mani, nel contatto con la materia: costruire, creare, riempire lo spazio nelle tre dimensioni è motivo di benessere per me e per i ragazzi e i bambini con cui lavoro. 

Il costruire è un atto che porta con sé molti valori. Oltre a essere un’abilità tecnica, è anche un’abilità che può essere interiorizzata. Costruire è trovare soluzioni pratiche e ciò si trasferisce all’interno della persona.      

Quando mi guardo intorno, io faccio molto caso alle mani delle persone. Osservando le mani dei ragazzi, noto che non hanno particolare personalità: sono mani che non manipolano, non usano, non rimaneggiano. Del resto, vivono in una società non manuale, in cui, al contrario, prevale la realtà virtuale e le mani si sviluppano in base a quello che si fa. Ecco, io credo che dovremmo tornare a usare le mani: toccare la materia ci riporta sulla terra ed è un perfetto antidoto alla volatilità che la tecnologia degli ultimi anni porta con sé. Intendo questo quando dico che il contatto con la materia è benefico.

Inoltre, l’esercizio della manualità ci fa scoprire parti di noi che molto probabilmente non conosciamo. Ai bambini con cui lavoro dico sempre che “creare è prima di tutto scoprirsi creatori e creativi”: quando si realizza un manufatto che fino a quel momento non esisteva o si mettono insieme delle forme che prima, da sole, non rappresentavano niente, si sta aggiungendo alla realtà un elemento unico e personale frutto della propria immaginazione e fantasia. 

Molti dei miei laboratori nascono dagli scarti del legno. Uno, in particolare, il laboratorio di piccola falegnameria, prevede che i bambini osservino forme diverse ricavate dal legno scartato come si fa giocando con le nuvole: che cosa potrebbero essere? Di per sé, preso per com’è, non è che un banale scarto di legno, ma non appena vi si intravede qualcosa, allora quello diventa un pezzo unico. Riconoscere una forma a partire da un solo pezzo, però, è solo un primo passo. Successivamente, si procede con l’assemblaggio, in cui si esercita la capacità di costruire e trovare soluzioni in vista di un oggetto che sia solido, resistente e non pericoloso, così da poterci giocare. In questo modo vengono fuori quelli che io chiamo i nati per caso, ovvero tutti quei personaggi e quelle composizioni che sono unici proprio perché irregolari, un po’ storti e derivati da un materiale destinato in origine a essere buttato.


Il tema di questo mese è Nido, un concetto che, inteso nel suo significato più ampio, porta con sé le idee di cura, pazienza, tempo, osservazione e attenzione verso l’altro, ma anche proiezione verso il futuro, perché quando un nido viene costruito, anche se il piccolo uccellino non è ancora nato, esiste già il desiderio di un rifugio, di uno spazio sicuro…
Vuoi parlarci del tuo lavoro legato proprio al nido?

Io sono una collezionista di nidi, ne ho molti. Per me il nido è una magia sotto tanti punti di vista. Innanzitutto il nido è un luogo che rappresenta un’origine. E poi, è letteralmente incredibile, se ci pensiamo, che a costruirli siano creature spesso piccolissime con i loro becchi. Che cos’è un becco rispetto alle potenzialità di una mano? Eppure, guardate che cosa può fare!

Il mio laboratorio sul nido, perciò, nasce proprio dal desiderio di riprodurne uno. Mi sono immaginata un lavoro collettivo, in cui un gruppo di bambini si unisce per fare quello che in realtà un uccello fa da solo. Per avvicinarsi a quell’abilità, ho pensato a tante piccole creature intente a tessere la struttura del nido, dentro la quale, alla fine, potessero anche entrare. La mia idea era di ricreare proprio la sensazione fisica di stare in un nido. Infine, in un momento più giocoso, abbiamo costruito delle uova enormi con i palloncini, la carta e il Vinavil.

Anche questo laboratorio, che ha visto diverse edizioni (le foto che vi propongo sono del primissimo laboratorio), è nato in qualche modo grazie a una delle mie figlie. È stata lei, che ha sempre avuto un’abilità manuale finissima e, tra le tante cose, cuce, a ispirarmi l’idea dell’intreccio. In un nido si può intrecciare tutto quello che può essere ridotto a struttura filiforme, che sia naturale o no. Mi è capitato, per esempio, lavorando in un maneggio, di trovare dei nidi di cinciallegra all’interno dei birilli fonici (quelli che servono per fare la serpentina col cavallo), fatti con i crini di cavallo.


Poco fa parlavi della materia in contrapposizione all’effimero. Ora insisti sullo stare, in contrapposizione, mi sembra, al transito. C’è un legame tra questi due concetti? Qual è lo spunto che i partecipanti all’attività – bambini o adulti che siano – possono ricavare dallo “stare”?

Credo che ciò che resta a chi partecipa sia una riflessione pratica sui punti di vista. Insomma, possiamo immaginare che esistano punti di vista diversi, ma un conto è pensarlo un conto è sperimentarlo: l’esperienza fisica dello “stare” ci porta a relazionarci in modo diverso e unico con le cose concrete, con gli ambienti, con le situazioni. Solo se ci muoviamo, solo se facciamo un’esperienza reale, corporea, il nostro punto di vista cambia davvero.

Inoltre, “stare” ci impone un ritmo lento, che ci permette di percepire il nostro essere: stando fermi, nella ripetitività dell’esperienza, nel silenzio, anche nella noia, se vuoi, si percepisce la pesantezza della materia che ci costituisce, del nostro corpo. Nello stare subentra necessariamente una connessione con la nostra corporeità, che si perde nelle esperienze transitorie e rapide.

Io, di mio, sono una persona molto lenta. In questo mondo che va sempre così di fretta faccio molta fatica, ma quando lavoro con i bambini mi ritrovo nel loro ritmo. Non porto loro un mio tempo, ma mi lascio trascinare dal loro. Credo che dovremmo incoraggiarci tutti ad andare alla loro velocità, piuttosto che imporre loro il ritmo che la quotidianità ci impone. Siamo sempre pieni di cose da fare, si passa da un’azione all’altra senza sosta. Invece dovremmo soffermarci su una cosa sola alla volta, dedicarle più tempo, starci con più attenzione, discuterne a fondo. Affidarci, in questo senso, alla lentezza.   


Le tue parole mi regalano un’altra suggestione. Hai parlato di “intreccio”, un’azione lenta e paziente che rimanda però anche all’idea di una trama, di una sovrapposizione. E queste parole ci portano alla possibilità di un racconto, di una relazione, al semplice gesto di mani che si incontrano.

Proprio così. E quello che dici mi riporta alla bellissima esperienza della costruzione di un altro nido, a Pisa, nel maggio 2021, grazie a un progetto Caritas. In questo caso abbiamo fatto un lavoro ispirato agli uccelli Giardinieri, che fanno un nido particolare, non secondo la classica forma concava, ma più simile a una capanna. Le loro costruzioni sono meravigliose: potremmo dire che gli uccelli Giardinieri sono i più grandi artisti della natura. Il loro nido non è pensato per accogliere le uova, ma per essere un teatro di seduzione: una specie di galleria d’arte in cui si esprime la loro grande abilità tanto di costruttori quanto di decoratori, capace di affascinare e attrarre la femmina. Il nido si riempie così di oggetti naturali come fiori, bacche, ghiande, funghi, e anche di materiali presi dalla spazzatura, come pezzi di vetro, cannucce, mollette… Li abbinano secondo i colori, li abbinano secondo le forme, secondo una capacità prospettica.
Ancora non si sa con chiarezza come riescano a creare gli abbinamenti, ma dal loro comportamento possiamo ricavare un grande insegnamento. Innanzitutto, perché prima di cominciare la loro costruzione fanno un lavoro enorme di pulizia. In secondo luogo perché, dopo aver realizzato la loro costruzione, inizia un lavoro di decorazione che ci mostra una grandissima attenzione ai dettagli: se, per esempio, decide di posizionare tutte le foglie sul dorso, qualora qualcuno dovesse girarle se ne accorgerebbe subito e le sistemerebbe. Infine, e questo ha dell’incredibile, c’è l’istinto al recupero di materiali di scarto utili a creare la loro composizione: se, per esempio, un uccello sceglie di raccogliere nel suo nido solo oggetti blu, ne rintraccerà anche nella spazzatura e le disporrà fino a crearne un’opera d’arte.

Quindi, insieme ai bambini partecipanti a questo laboratorio, siamo andati nel Parco delle Cascine e ci siamo trasformati in uccelli Giardinieri che perlustrano lo spazio, raccattano materiali e costruiscono la loro struttura a capanna. È stato importante – e lo faccio sempre, in ogni laboratorio – conversare con loro: è fondamentale, oltre all’atto pratico, che si crei la dimensione di uno scambio in cui si sentano liberi di esprimere se stessi e le loro idee. Ecco, allora, un altro tipo di intreccio preziosissimo: un dialogo lento, importante e bello. 

Il laboratorio sul nido offre due momenti, quello pratico e quello dialogico, che vanno di pari passo e che sono fatti di scambio e di lentezza. Ciò che fai con le mani si specchia in ciò che, per così dire, accade tra le anime: mentre esplori lo spazio e costruisci, inizi anche a prendere confidenza, a perlustrare l’altro. 

Tutti i lavori collettivi sono bellissimi, ma quello che si ispira al nido ancora di più, perché l’intrecciare con le mani si trasferisce, in senso più ampio, dentro e tra di noi.


All’interno dell’iniziativa Fondazione Cr Firenze ente promotore e sostenitore del progetto La Cultura Cura realizzato in collaborazione con Caritas Firenze è stato realizzato il laboratorio del Centro Nazionale di Produzione della Danza Virgilio Sieni “Dal gesto al paesaggio: costruire il corpo in relazione alla natura” a cura di Giulia Mureddu, Delfina Stella, Viola Tortoli Bartoli che ha visto ragazze e ragazzi prendere coscienza del corpo e costruire insieme il Nido lungo un calendario di appuntamenti nel Parco Monumentale delle Cascine (Firenze) nei pressi di Pia Palazzina Indiano Arte (uno degli spazi gestiti dal Centro).

Viola Tortoli Bartoli conduce studi di tipo scientifico e parallelamente si specializza nel lavoro del legno per dedicarsi poi alla creazione di giochi per bambini. Nel tempo il tema del gioco, il piacere della manualità, dell’uso di materiali e soprattutto il creare assieme si traducono nell’ideazione di progetti artistici collettivi che realizza assieme a bambini e a persone con disabilità. Lavora con le classi di Scuole primarie e dell’Infanzia del comune di Firenze e in un centro con ragazzi disabili dove è responsabile del laboratorio del legno.