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Natura imprevista

Intervista a Monica Guerra

Quando abbiamo chiesto a Monica Guerra di concederci questa intervista, la nostra intenzione era parlare con lei di natura. Come potrete intuire da ciò che leggerete, abbiamo deciso di farlo in un modo un po’ particolare: esplorando insieme quattro concetti che, a nostro avviso, potessero gettare nuova luce sulle nostre idee di natura, che non vogliamo più intendere come rigida etichetta, ma come un punto di partenza pieno di risvolti anche inaspettati.


Indeterminato

Questo concetto mi permette subito di confessare che, ultimamente, faccio un po’ fatica a parlare di natura. Mi risulta più facile parlare di mondo e la ragione sta proprio nel fatto che quest’ultimo è un concetto un po’ più indeterminato. La parola “mondo” ha tanti significati: c’è chi la usa per identificare il pianeta, chi per parlare della totalità delle cose esistenti, e così via. È come se “mondo” fosse un concetto un po’ più largo, che può contenere tutto. Al contrario, siamo portati a immaginare la “natura” attraverso dicotomie (la classica contrapposizione natura/cultura o anche naturale/urbano, etc.).
So benissimo che mondo e natura non sono la stessa cosa: l’uno non sostituisce l’altra. E tengo anche a dire che il concetto di natura continua a piacermi tantissimo. Il punto, forse, è che per me natura non è mai stata solo il bosco, la montagna o il mare, ma tutto ciò che è vivo e quindi in un certo modo anche ciò che definiamo artificiale, ma che è nato dalla vivacità di mani umane: ho sempre faticato a tenere separate le diverse componenti, perciò il passaggio al concetto di mondo mi risulta facile. 
In particolare, però, c’è un punto che accomuna il mondo e la natura: tanto il primo quanto la seconda indicano ciò che è fuori dalle scatole dentro cui noi siamo chiusi. Il concetto di mondo può allora contenere quello di natura, pur sciogliendolo un poco. E credo soprattutto che abbia la forza di annunciare la necessità di rompere definitivamente le dicotomie.


Fuori

Nel dire che, come la natura, il mondo riguarda ciò che è fuori dalle scatole in cui viviamo, si presenta subito una contraddizione: il mondo è fuori, ma è anche dentro di noi. Il concetto di mondo, allora, rende più evidenti gli intrecci tra dentro e fuori ed elimina le rigide separazioni. Al contrario, parlare di natura, soprattutto in educazione, rischia di dare adito a molti alibi, come quando ci si oppone a fare esperienza di ciò che è fuori sostenendo che nel proprio contesto di riferimento la natura sia scarsa o, abitando in città, si ritenga che non valga la pena uscirne. 
Sono invece sempre più convinta che sia fondamentale fare dei passi oltre rispetto alla propria situazione: c’è sempre qualcosa di interessante da andare a vedere tanto con i bambini e i ragazzi quanto come adulti. L’ultimo periodo, che ci ha portato ad apprezzare quello che c’è anche solo appena fuori dalle nostre porte, ha reso evidente il valore di questa possibilità.


Incontro

Incontro è un concetto fondamentale se vogliamo ragionare di natura nell’ottica di una relazione ecologica con il mondo (non intendo qui l’ecologia nella sua accezione di scienza della vita, ma come pensiero complesso, così come ne parlano Timothy Morton e Edgar Morin). 
L’incontro è determinante perché possa esserci una relazione con il mondo, o, se preferiamo, con la natura. Senza incontro può esserci solo una relazione indiretta, che non ha delle ricadute effettive sui nostri comportamenti. E infatti ormai è evidente che non importa quante informazioni abbiamo o quante preoccupazioni nutriamo nei confronti del nostro pianeta: non è questo a determinare un cambiamento effettivo nel nostro modo di agire. A essere davvero importante è la possibilità di avere degli incontri – incontri che siano continuativi, esperienziali, che portino alla scoperta dei contesti che si abitano, in tal modo connotati progressivamente da una relazione di interesse che tenga insieme la dimensione cognitiva e affettiva. 
Succede la stessa cosa con le persone: se non si ha la possibilità di “incontrare” davvero qualcuno, è più difficile sviluppare una relazione che porti a occuparsene o anche a innamorarsene. Pensando soprattutto ai bambini e ai ragazzi, è fondamentale che ci siano adulti che abbiano voglia di far vivere loro questo incontro spesso e a prescindere, per esempio, da condizioni atmosferiche avverse o dal luogo in cui si trova. Ancora prima, è importante che questi adulti coltivino l’incontro in prima persona, il che non significa diventare esperti naturalisti, ma provare a conoscere per primi i luoghi prossimi al proprio contesto e, appassionandosi di ciò che si va scoprendo, impegnarsi per farli conoscere a coloro con cui si lavora.


Imprevisto

Ogni volta che si esce dalle condizioni a cui si è più abituati, ci si deve mostrare disponibili nei confronti dell’imprevisto, che senz’altro ci sarà. L’educazione all’aperto è per sua natura un po’ imprevista, o imprevedibile. Lo è nella misura in cui ridefinisce la stessa relazione educativa: una volta fuori, l’educatore non ha più i suoi riferimenti stabili e deve chiedersi che cosa è essenziale, a che cosa non può rinunciare. 
Il fuori è, per riprendere un concetto che abbiamo esplorato poco fa, indeterminato e, del resto, è questa la sua forza dal punto di vista educativo: la sua indeterminatezza è una moltiplicazione di possibilità. In questo caso, diversamente da ciò che siamo abituati a pensare, il carattere indeterminato non implica confusione, ma complessità e ricchezza: basta pensare a tutte le relazioni che contraddistinguono il fuori, a tutte le variabili che vi compaiono, a tutta la vita che lo attraversa per capire che si tratta di un contesto più complesso e più ricco di quasi ogni situazione che possiamo ricostruire all’interno. 
Oggi nell’educazione all’aperto ci si riferisce spesso a un concetto molto interessante, che affonda le radici nelle teorie dello psicologo Gibson: quello di affordances, che si riferisce alle opportunità di azioni che esistono in virtù della relazione tra le proprietà del soggetto e dell’ambiente. Il fuori, grazie alla sua complessità, regala un numero maggiore di affordances rispetto al dentro. Per questo possiamo provare a declinare l’indeterminato come moltiplicatore di possibilità. 
Dell’imprevisto l’indeterminato è la principale caratteristica, che, proprio se lo si intende come moltiplicatore di possibilità, invita a uscire dalla comfort-zone e chiede all’adulto di mettere in discussione la sua postura abituale, di cui a volte non ci si rende nemmeno più conto. Quando si va fuori e il contesto cambia, infatti, ci si scontra con l’imprevedibilità dell’indeterminatezza e della complessità, che, se pur complicano, d’altro canto aprono anche alla possibilità di assumere un atteggiamento di ricerca insieme ai bambini e ai ragazzi. Proprio il non poter prevedere ogni cosa porta a mettersi in posizione di osservazione, documentazione e ricostruzione insieme a loro. 
L’imprevisto è un nodo estremamente fertile in ambito educativo. Lo è come tutti i concetti che abbiamo esplorato insieme e che, come abbiamo visto, si intrecciano l’uno con l’altro.

Monica Guerra fotografia

Monica Guerra, pedagogista, è professoressa associata di Pedagogia generale e sociale e docente presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione “Riccardo Massa” dell’università di Milano-Bicocca. Interessata al ruolo dell’educazione come veicolo di cambiamento, si occupa in particolare di modelli di innovazione scolastica e di contesti di apprendimento in e outdoor. È direttrice scientifica della rivista Bambini e presidentessa fondatrice dell’associazione culturale Bambini e Natura.