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Non darti troppe arie!

Articolo a cura di Danilo Faravelli

Nell’arte vocale, specie in quella praticata con finalità teatrali entro i confini di genere del melodramma, l’aria, in quanto depositaria delle più raffinate e pregevoli poetiche del dilatarsi della parola in canto, costituisce il luogo per eccellenza dell’ostentazione del talento musicale d’ugola.

È l’aria a fornire al belcantista il terreno e l’occasione del perseguimento del successo di palcoscenico. Nessuna primadonna, nessun Orfeo, nessuna Didone, nessun don Ottavio, nessun Tancredi cercherebbe l’applauso di conferma della propria bravura in un pur mirabile terzetto, quartetto, finale d’atto o altro “numero chiuso” d’assieme; né tantomeno, rimanendo alla tipologia delle esibizioni a solo, si aspetterebbe ovazioni calorose dopo aver concluso un recitativo secco o un recitativo istromentato o un arioso.
È l’aria il banco di prova della voce operistica smaniante gloria immortale, o meglio intossicata di vanagloria.