A cura di Tiziano Fratus
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Quanto riusciamo a restare in silenzio con noi stessi? E quanto riusciamo a stare seduti, a gambe incrociate, in silenzio, senza pensare a niente? Riusciamo a non pensare a niente? O dobbiamo sempre pensare a chi siamo, a cosa vogliamo, a cosa ci è capitato?
Oziare vuol dire non fare nulla. Perdere tempo. Restare lì a cincischiare, senza motivo. Eppure ci sono persone che impegnano parte della vita a non fare nulla.
Meditare vuol dire fare silenzio, ma non è soltanto restare zitti, o fermi. È aprire la porta di un altro mondo. E non esiste mondo migliore di un bosco per poterlo fare.
Si può meditare per consentire all’ozio di trasformare il nostro far niente, addirittura il nostro non pensare a niente, in qualcosa di molto prezioso. Qualcosa che ci può aiutare a rilassarci, a non prenderci troppo sul serio, a considerare che tutto quel che siamo, tutto quel che pensiamo di noi e tutto quel che gli altri pensano di noi è un’invenzione, una finzione.
Eppure il semplice gesto di sedersi in un bosco e di fare silenzio in se stessi è tutt’altro che facile e scontato; il meditare è rumoroso e popolato, spesso occasione per litigare con i nostri stessi pensieri, con le nostre paure, le insofferenze, i ricordi.
Seduti nel cuore di un bosco sentiamo il fringuello che modula il proprio canto: vediamo i raggi del sole che passano attraverso le foglie delle piante. Riconosciamo le geometrie delle cortecce, i muschi che ricoprono la terra. Magari addirittura intravediamo l’agile figura di una volpe o di un cerbiatto che si allontana. Smettiamo di pensare e ripensare a noi stessi. Osservare la natura, ascoltarla, ci fa dimenticare di capire chi siamo.
Perché cuore dell’antica arte della meditazione è proprio dimenticare se stessi. Noi non siamo il colore che ci piace, non siamo i vestiti che indossiamo, non siamo le pretese che crediamo di avere: questi sono tutti prestiti, cose che ci hanno prestato, o obbligato altri a fare nostri. Noi, invero, per vivere, per essere, non abbiamo bisogno quasi di nulla.
Contare le foglie e disegnarle.
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Meditare e fare silenzio dentro di noi.
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Scrivere le parole che abbiamo visto nella meditazione sulle foglie.
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Abbandonare le parole pensate nel bosco.
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C’è un uomo che abita in una piccola casa ai margini del bosco; ascolta la natura e coltiva una pratica quotidiana di meditazione zen. In precedenza, nel corso degli ultimi due decenni,
ha pellegrinato in foreste maestose per cucire i capitoli di una storia umana, arborea e spirituale, compresa fra “la carta e la corteccia”, coniando concetti quali Homo Radix, Dendrosofia e Silva itinerans. In California ha perlustrato i più vasti, alti e annosi alberi del pianeta, in Giappone ha visitato templi, canfori millenari e isole-foresta, in Italia ha incontrato i patriarchi vegetali presenti in città, boschi, riserve, montagne e giardini storici. Ha scritto reportage e articoli per quotidiani, silvari, collezioni di alberografie, quaderni di meditazione, raccolte di poesie, romanzi forestali e fiabelve gotiche. Fra le sue opere Giona delle sequoie (Bompiani), Ogni albero è un poeta (Mondadori), Waldo Basilius (Pelledoca), Sogni di un disegnatore di fiori di ciliegio (Aboca). Sito: Studiohomoradix.com