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Per aria il cielo

Intervista a Riccardo Vittorietti e Stefania Ferroni (LOfficina)

Non risulta forse spontaneo a ciascuno di noi immaginare un forte legame – a tratti quasi d’identità – tra l’aria e il cielo? Se sapessimo volare, potremmo esplorare entrambi; tanto la prima quanto il secondo sono lo spazio in cui si scatenano i fenomeni atmosferici.
Il cielo, però, al contrario dell’aria, si può vedere, osservare; addirittura ammirare. Qual è allora il rapporto tra la volta celeste e l’elemento per eccellenza invisibile? L’abbiamo domandato a chi, per lavoro e passione, ha lo sguardo spesso rivolto all’insù.

Voi fate un lavoro tanto bellissimo quanto particolare: partendo dal cielo, raccontate storie e leggende, ricordando alle persone di alzare lo sguardo oltre la linea dell’orizzonte e di guardare in su. Come ci siete arrivati?

Anzitutto siamo partiti dalla passione, che ci ha permesso di guardare la realtà circostante animati, sempre, da una grande curiosità. Poi, per una serie fortunata di eventi, abbiamo cominciato a lavorare presso il planetario di Milano, dove il cielo è, ovviamente, il protagonista. Successivamente la collaborazione si è d’un tratto interrotta (è ripresa poi nel 2016), ma il cielo ormai faceva parte della nostra vita e così abbiamo deciso di costruirci un nostro planetario portatile. Il tutto è nato come una sfida e come un gioco, ma pian piano abbiamo capito che si poteva fare davvero. Nei ritagli di tempo abbiamo progettato innanzitutto la macchina a controllo numerico che avrebbe forato la sfera del Planetario, l’abbiamo realizzata e abbiamo messo a punto un programma per gestirla. È stata poi la volta della costruzione della sfera: abbiamo dovuto trovare un ottico che producesse lenti e farcene fare alcune apposite, adatte alla proiezione delle stelle sulla cupola. Infine, abbiamo costruito la cupola gonfiabile che, grazie a 5 metri di diametro, contiene fino a 25 ragazzi e, così, abbiamo cominciato a lavorare. Per tanto tempo si può dire che abbiamo portato il cielo in una stanza – o meglio, in tante stanze: le aule delle scuole in cui abbiamo portato i nostri spettacoli.


Qual è, per voi, il rapporto tra l’aria e il cielo? A me danno l’idea di due fratelli: indispensabili l’uno all’altra, ma sempre pronti a punzecchiarsi a vicenda.

Noi guardiamo il cielo attraverso l’aria e questa, a dirla tutta, rappresenta una vera e propria scocciatura per gli appassionati di cielo. Per noi è impossibile osservare direttamente il cielo: lo vediamo sempre attraverso uno strato di atmosfera, che, scossa dalle turbolenze, crea delle vere e proprie interferenze. Insomma, l’aria crea un disturbo, tanto fastidioso che c’è addirittura un numero nato con lo scopo di misurarlo: il Singh.

Chi voglia osservare il cielo deve poi anche fare i conti con l’inquinamento luminoso, causato dalle luci artificiali, ma anche da elementi naturali come la luna, che diffonde luce nell’atmosfera e, quindi, nell’aria. A causa della luce, il pulviscolo atmosferico crea una luminosità diffusa che ci impedisce di vedere gli oggetti che appartengono al cielo, più lontani e quindi decisamente meno luminosi. 
Una volta superato l’ostacolo dell’aria, ecco che si apre un mondo fatto delle stelle che abitano la nostra galassia e che potremmo definire le nostre vicine di casa. Un piccolo binocolo, però, è sufficiente per scorgere quegli oggetti che normalmente ci sfuggono, perché appartengono al cielo profondo. Spingendo fin qui il nostro sguardo possiamo scoprire nebulose, zone dove stanno nascendo stelle appartenenti alla Via Lattea, o nebulose planetarie, stelle ormai morte che hanno soffiato via i loro gas e le loro polveri. Possiamo anche vedere oggetti ancora più lontani, che stanno al di fuori della nostra galassia. 

Anche a occhio nudo riusciamo a distinguere la Galassia di Andromeda, a due milioni di anni luce da noi: quando la guardiamo, stiamo osservando qualcosa che è lontano sia nello spazio sia nel tempo, poiché è una luce iniziata due milioni di anni fa. Se nella Galassia di Andromeda ci fosse qualcuno, puntando gli occhi verso la Terra, non vedrebbe l’umanità, perché due milioni di anni fa sulla Terra era apparso solo l’Australopiteco. Ecco il fascino dell’astronomia: guardare lontano nello spazio significa anche viaggiare indietro nel tempo.


“Avere la testa per aria” è un modo di dirci sbadati. Voi però avete trasformato questo detto in un vero e proprio palcoscenico. Come avete fatto?

L’uomo guarda il cielo da sempre e, nel cielo, ha trasferito tutte le sue passioni, le sue emozioni e le sue paure. Di fatto, le costellazioni sono stelle su cui l’uomo ha proiettato la propria storia, immaginando sirene e regine, eroi, mostri e draghi. Nel cielo avviene di tutto – battaglie, conquiste, seduzioni – e ciò fa di esso un vero e proprio palcoscenico che si trasforma continuamente, poiché noi, con la nostra fantasia e immaginazione, possiamo sempre rileggere e interpretare quelle stelle alla luce di nuovi racconti e nuove storie. 

Dal canto suo, il cielo, negli ultimi centomila anni, non è cambiato poi così tanto: le cosiddette stelle fisse sono sempre lì, perché il loro movimento avviene con tempi impercettibili per noi. Questa caratteristica fa del cielo un elemento che unisce tutte le popolazioni, di tutte le latitudini e di tutti i tempi. 
Le stelle non raccontano storie solo quando sono parte di una costellazione. Contrariamente a ciò che sembra, ogni stella è diversa dalle altre: il colore che la caratterizza, per esempio, ne rivela l’età e la grandezza e in qualche modo racconta la sua evoluzione. Non c’è stella che non porti con sé la propria storia.
Guardare il cielo è un po’ come entrare in un bosco. Immaginate di non sapere che cosa sia un bosco: ci entrate per rimanervi dieci minuti e poi, sulla base delle osservazioni fatte, dovete trarre le vostre conclusioni. Piante, arbusti, semi, piante morte e legna marcia dovrebbero portarvi a supporre che si tratti sempre dell’evoluzione di uno stesso oggetto, ovvero di un seme che cresce, si sviluppa e, infine, muore e marcisce. Dedurre tutto questo a partire da un’osservazione molto rapida di qualcosa che non si è mai visto non è semplice. Eppure, è proprio questo che dobbiamo fare con le stelle, che sono ferme e non apparentemente non cambiano: siamo noi, attraverso il ragionamento, che dobbiamo capire che, se è arancione, una stella è vecchia, mentre una stella azzurra è giovane e calda. Inoltre, abbiamo dovuto capire tutto questo senza poterci avvicinare, perché l’astronomia, al contrario di altre scienze, non ci permette di fare esperimenti “sul campo”: dobbiamo ricostruire la storia delle stelle da lontano. 
C’è stato un momento, però, in cui a trasformarsi in un grande palcoscenico è stata la stessa Terra nella sua interezza. Era il 12 aprile 1961 quando il giovanissimo Yuri Gagarin decollava dal nostro pianeta per diventare il primo uomo a osservare qualcosa che fino a quel momento non aveva potuto ammirare nessuno: l’immagine della Terra vista dallo spazio, da una prospettiva diversa.

Gagarin ha avuto il privilegio di uno spettatore che, durante uno spettacolo, riceva il permesso di alzarsi per osservare la scena da un punto di vista totalmente differente, che lascia scoprire nuovi elementi. La frase con cui pare abbia descritto ciò che si ritrovò davanti agli occhi è di una potenza pazzesca per un’epoca come la sua, segnata dalla Guerra Fredda, ma ancora oggi attualissima: «La Terra è bellissima. Non ha barriere, non ha confini». Questo episodio, anche se ormai pare scontato raccontarlo, è di un’importanza fondamentale, perché ha aperto a un cambio di prospettiva prima inimmaginabile: basti pensare che nessuno, fino ad allora, si era reso davvero conto della percentuale di acqua presente sulla Terra, a cui, non a caso, Gagarin diede in quell’occasione il soprannome di Pianeta Blu. 
In quel momento, osservando la Terra e il cielo dallo spazio e viaggiando oltre i 100 chilometri di quota, Yuri Gagarin si era spogliato dei panni delll’aeronauta per indossare quelli del cosmonauta: si era liberato dell’aria, ovvero di quegli occhiali appannati che impediscono di vedere ciò che c’è davvero

LOfficina foto

Dal 1 luglio 2016 Associazione LOfficina ha in concessione la gestione del Civico Planetario di Milano. Il suo staff cura quindi la programmazione degli appuntamenti rivolti al pubblico, la progettazione di nuove attività, la conduzione di tutte le proposte scolastiche e la conduzione di alcuni degli appuntamenti pubblici. Inoltre lo staff di LOfficina gestisce anche i servizi accessori quali: back e front office, assistenza tecnica per la manutenzione dello strumento planetario (Zeiss IV). LOfficina nasce a Milano nel 2005, è composta da un gruppo eterogeneo di operatori, con formazione tecnico-scientifica e umanistica, con esperienza pluriennale nel campo della divulgazione scientifica e didattica museale.

Riccardo Vittorietti è laureato in Ingegneria delle Telecomunicazioni al Politecnico di Milano. Fin dai tempi dell’Università si dedica a una delle sue grandi passioni: la divulgazione scientifica, che procede di pari passo con la progettazione e la realizzazione di exhibit per la didattica della scienza. Collabora con il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano per diversi anni, con il Politecnico di Milano – Dipartimento Geologia applicata per la progettazione/realizzazione di strumentazione e modelli per la didattica. Progetta e realizza un planetario optomeccanico con cupola gonfiabile e nel 2013 vince il premio Planit – Associazione dei Planetari Italiani. Nel 2005 fonda LOfficina, associazione culturale che si occupa di divulgazione scientifica, didattica e comunicazione della scienza di cui oggi è presidente e direttore scientifico.

Stefania Ferroni è laureata in Lettere Moderne e nutre una profonda passione per la scienza. Appena laureata segue presso l’Istituto di Fisica Generale applicata, Sezione Storia della Fisica, il “Corso di formazione per la conservazione, valorizzazione e promozione del patrimonio storico scientifico” e contestualmente inizia una collaborazione che durerà molti anni con il Museo della Scienza e della Tecnologia di Milano. Segue progetti di didattica della scienza, formazione insegnanti e teatro scientifico. È socia fondatrice di Associazione LOfficina e attualmente si occupa della Direzione Didattica, della comunicazione e dei rapporti istituzionali.