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Prossima scuola!

Intervista ad Antonella Meiani

In riferimento alla scuola e all’esperienza di chi la abita e ci lavora da sempre, “prossimo” è una parola che mostra diverse sfaccettature. Può farlo, perché nasconde in sé una notevole varietà di significati. Tuttavia, ciò accade anche in virtù della natura composita di un luogo come la scuola, che, in quanto comunità di persone – e non di individui –, è il teatro perfetto perché la prossimità possa declinarsi in ogni sua sfumatura.


Antonella, se ti dico “prossimo”, che cosa ti viene in mente?

“Prossimo” mi suggerisce più di una cosa, ma la prima che mi viene in mente è la promessa che rimanda a un “prossimo incontro”, a una “prossima volta”: basta una parola perché un evento che sembra lontano diventi vicino e questo, soprattutto per i bambini, è tutt’altro che banale. “Prossimo” è una parola che sento amica, perché mi fa pensare alle cose che si possono fare.

In un momento come questo, poi, la parola “prossimo” acquista un significato ancora più particolare: ci rende consapevoli di ciò che ci è mancato, di ciò che stiamo riconquistando e di quanto siamo riusciti a tenere fermo. Per fare un esempio, noi della scuola primaria, fortunatamente, abbiamo potuto mantenere la prossimità con i bambini. Certo, non sempre le cose sono andate nello stesso modo: ci sono stati casi in cui l’anno scolastico è stato dominato dalle regole del distanziamento, la cui rigida osservazione ha sacrificato necessariamente il contatto tra i bambini e con gli insegnanti; altre scuole, invece, hanno messo al primo posto le relazioni e le emozioni, salvando la felicità. Chi ha compiuto questa decisione, forse, ha voluto rischiare, ma non l’ha fatto secondo incoscienza: sulla base di ciò che ho potuto vedere le scuole che hanno assecondato il bisogno di prossimità non hanno comportato l’aumento dei contagi e la conseguente chiusura delle classi.
La parola “prossimo”, però, fa risuonare anche vecchi retaggi culturali, che invitano ad “amare il prossimo tuo come te stesso”. E nella mia esperienza io ho imparato a occuparmi non solo dell’umano che mi è vicino, ma anche di colui che è più lontano, secondo un’accezione di “prossimo” più ampia. Mi piace anche pensare di essere io stessa il prossimo di qualcuno altro, perché mi fa sentire davvero nella mente degli altri.
Tutto il lavoro che stiamo facendo come scuola e come movimento, in realtà, può avere nella parola “prossimo” il suo filo conduttore. In effetti, quando ti occupi di educazione, di solidarietà, di politica della città, di razzismo e di integrazione – che è ciò a cui mi sto dedicando adesso professionalmente – il prossimo e la prossimità non possono che essere al centro.


Quale significato ha la prossimità nella relazione con i bambini, anche al di là di questo momento difficile?

Ripensandoci adesso, posso dire che la prossimità è sempre stata il centro della mia ricerca tanto con i bambini quanto con i genitori. Un atto educativo, senza la prossimità, non è efficace, perciò non se ne può fare a meno: io l’ho sempre perseguita, evitando di chiudermi in casa o in classe, dando sempre ai genitori il mio numero di telefono e seguendo i bambini, poi ragazzi, anche dopo la fine della quinta. Per me “prossimità” è andare ogni anno in pizzeria con la mia collega ormai ottantenne e i miei studenti, che oggi, sparsi in giro per il mondo a fare tante cose diverse, hanno quasi 30 anni e frequenterebbero la 23^B. Quando li guardi, ti rendi conto che l’investimento che hai fatto sulla prossimità, ovvero sulle emozioni e sulle relazioni, sul non risparmiarsi nell’umiltà dell’errore e sul farsi sentire sempre vicina anche nei tuoi momenti di difficoltà, crea dei legami che non spariscono e che continuano nel tempo: rimane un rapporto profondissimo, fondato sul ricordo meraviglioso che i ragazzi hanno della loro prima comunità.
Accade qualcosa di simile con i genitori. Le mamme e i papà dei bambini che ho lasciato l’anno scorso, se hanno qualche problema, mi chiamano. Credo che questo sia l’esempio più eclatante di bisogno di prossimità, che tra le sue declinazioni ha anche la disponibilità a lasciarsi a disposizione delle persone. La mia indole mi porta a provare a risolvere i problemi, perciò ogni telefonata che ricevo si trasforma in una sfida che accolgo: se, per esempio, un genitore mi chiede consiglio per la sua bambina, che ha delle difficoltà a scuola e che lui o lei non può aiutare perché lavora tutto il giorno, io mi metto alla ricerca di tutti i doposcuola possibili finché non trovo una soluzione.
“Prossimità” è anche ricordarsi che non tutte le persone hanno gli stessi strumenti per affrontare la vita. E io, che mi sento un po’ una privilegiata, desidero mettere a disposizione le mie risorse. Non mi distanzio mai.


È molto bello il discorso che fai guardando alla comunità che coinvolge i bambini a 360°: dalla scuola alla famiglia, c’è un intreccio tra i nuclei di cui il bambino fa parte ed è importante che sappiano comunicare.

La scuola è il primo esempio di comunità che i bambini vivono. Mostrare di procedere insieme a tutti gli adulti che si occupano di loro, dai genitori al dirigente scolastico, dal commesso alla babysitter, dà ai bambini molta sicurezza e, per di più, può rivelarsi un fattore di stimolo. Io e i miei colleghi abbiamo sempre investito moltissimo sull’“extra-scuola”, ovvero su tutti quei momenti di incontro, come le feste o le gite, che potevano prevedere la presenza dei genitori. Il posto in cui lavoro è meraviglioso per creare aggregazione. La nostra scuola fa parte della rete delle “Scuole all’aperto” e ha una lunga storia di attenzione ai bambini. All’inizio era il luogo che accoglieva tutti i bambini gracili di Milano, che così potevano fare una scuola all’aperto, attiva, molto laboratoriale visto che lo spazio lo consentiva. Oggi organizziamo feste, marce a favore dei diritti e manifestazioni in occasione del 25 aprile. È un contesto all’aperto ma protetto, fortemente connesso al territorio e al contempo capace di dare ai bambini la possibilità di uscire e di creare incontri generazionali.
Questa che ti ho raccontato è una situazione particolare. Nel corso della mia carriera da insegnante, però, non ho insegnato solo qui e anche quando lavoravo in altre scuole ho investito tantissimo sull’apertura al territorio. Per esempio, tenevo molto affinché si facessero le feste di fine anno per salutare le quinte in uscita e dare il benvenuto ai bambini di prima che sarebbero arrivati a settembre; insistevo perché si organizzassero i laboratori di informatica e ci fossero biblioteche aperte gestite dai genitori.
I genitori sono un’enorme risorsa: non sono il nostro nemico, così come noi non dobbiamo essere il loro. Al contrario, se li coinvolgiamo sulla base delle loro competenze, si genera una fertile alleanza, che annulla il desiderio di polemica, sul quale vince l’impegno per un progetto comune. Il risultato coincide con la felicità dei bambini e con un patrimonio meraviglioso per i più piccoli e per gli adulti.
La comunità classe, perciò, richiede che sentiamo il genitore come il nostro prossimo, che ci sentiamo noi stessi loro prossimi.


Vuoi raccontarci qualcosa in merito al progetto di Scuola Sconfinata?

L’esperienza di Scuola Sconfinata è iniziata lo scorso 10 maggio nel corso di un evento che, volendo parlare di scuola, aveva raccolto una molteplicità estesa di linguaggi e competenze: intorno al tavolo “educazione” si sono seduti urbanisti, architetti, medici, etc. A discutere in merito alla questione della riapertura si è trovato un vero e proprio mondo, che ha elaborato un documento meraviglioso. Abbiamo sperato che le amministrazioni comunali avessero il coraggio di farsene carico, ma così non è stato: probabilmente la proposta era troppo oltre la capacità progettuale tanto del ministero quanto degli enti locali.
Nello stesso periodo sono usciti tantissimi documenti sulla scuola, molti di essi accomunati da alcune parole chiave. Ecco perché ci siamo impegnati per connettere, mediante una rete, tutte le realtà autrici dei diversi documenti. L’abbiamo fatto anche con l’aiuto di Fondazione Feltrinelli, che ha portato Scuola Sconfinata e i suoi ricercatori nelle cinque più grandi città d’Italia, raccogliendo molte conferme sulla validità del progetto e mettendo in contatto tante persone geograficamente lontane, ma prossime idealmente.
Da quando è nato a oggi, il progetto Scuola Sconfinata ci ha impegnato soprattutto nella sua diffusione. Abbiamo partecipato, per esempio, all’iniziativa “Tu da che parte stai?”, ma è stato con Fondazione Feltrinelli che abbiamo veramente trovato il coraggio di credere nella bontà del progetto, talvolta citato anche dal ministro Bianchi nel suo libro.
Proprio all’attuale ministro dell’istruzione abbiamo scritto una lettera molto accorata in merito alla riapertura delle scuole e perché il mese di giugno venisse dedicato alla riflessione sulla Scuola Sconfinata. Questa lettera, purtroppo, non ha avuto esito, ma, come dicevo, grazie alla Fondazione Feltrinelli siamo riusciti a ricostituire un tavolo virtuale di quarantatré voci e a trasformarle in un libro. Il volume, che si apre con l’intervento dei ragazzi e delle ragazze, elementi fondamentali da cui ripartire, contiene in modo più approfondito tutto ciò che nel progetto Scuola Sconfinata era solo accennato. È stato pubblicato gratuitamente, con l’idea che le copie stampate potessero arrivare anche tra le mani di coloro cui spettano le decisioni finali sulla scuola.
In questo libro la Scuola Sconfinata ha davvero preso corpo. In un capitolo, attraverso la testimonianza di dirigenti scolastici, ispettori e addetti ai lavori del terzo settore, si spiega che il progetto è concretamente realizzabile. Certo, devono cambiare la mentalità, l’organico, la capacità progettuale e la formazione degli insegnanti, ma, anche se rendere la Scuola Sconfinata la nuova scuola italiana potrebbe richiedere del tempo, non è impossibile che accada.
Ci saranno senz’altro altri modelli di scuola possibile. Tuttavia, questo progetto ha analizzato la scuola a 360°, considerando ogni suo elemento, dal territorio ai ruoli istituzionali e del personale scolastico e ciò lo rende, a mio parere, un ottimo punto di partenza.
Ci auguriamo che, durante l’estate, questo libro diventi oggetto di riflessione e sia da stimolo, anche per il ministero, nel prendere alcune decisioni: velocizzare l’assegnazione delle cattedre, ripristinare le competenze, ridurre il numero di bambini e ragazzi nelle classi. Tutto questo può essere permesso dalla volontà politica, soprattutto se sostenuta dai soldi che arriveranno. In questo momento il segnale che va in questa direzione è solo uno e coincide con i patti di comunità. Oggi, rispetto a qualche tempo fa, si parla molto di “patto educativo di territorio”, a dimostrazione che siamo finalmente entrati nell’ottica di mettere in relazione scuola e territorio e siamo pronti a sistematizzare tante cose che accadevano già prima.
Ecco, nel realizzare il libro abbiamo deciso di compiere un gesto concreto che mettesse a disposizione di tutti le tantissime competenze riguardanti la questione educativa: la scuola non può cambiare senza l’intenzionalità e l’impegno di un’intera comunità educante.


Mi pare di capire che una caratteristica fondamentale di tutto il processo sia stata proprio il tirare “fili di prossimità” per creare una complessa rete di sguardi, coinvolgendo anche personalità che di primo acchito potevano sembrare lontanissime dal mondo della scuola: una composizione di punti di vista parziali che sbocciassero in una visione globale, d’insieme.

A questo proposito ti racconto un aneddoto. Durante uno degli incontri di Scuola Sconfinata ha preso parola un architetto che ha voluto richiamare l’attenzione della Fondazione Feltrinelli sull’importanza di porre l’educazione al centro di ogni progetto – urbanistico, sociale, cittadino o editoriale. L’educazione, diceva, è un filo conduttore che riguarda tanto il presente quanto il futuro e dovremmo occuparcene tutti.
Nella proposta politica che mi vede impegnata nelle prossime amministrative ho sottolineato il bisogno che la questione educativa sia trasversale a tutti gli assessorati. Se io, con i miei bambini, devo sconfinare, devo poter usare il territorio e ciò significa che non devono esserci barriere architettoniche, mezzi pubblici pieni, strade prive di vigili o zone senza traffico limitato: devo avere una struttura cittadina che metta al centro la scuola.
Aderendo a Scuola Sconfinata si porta a casa un cambio di prospettiva. Viviamo in un paese che è abituato a mettere la scuola all’ultimo posto. Eppure, una scuola che davvero sia a misura di bambino impone un punto di vista che incide su tutta la società, che pone attenzione alle disabilità, alle povertà e ai bisogni di tutti i cittadini.

Fotografia Antonella Meiani

Antonella Meiani, maestra elementare dal 1978, si occupa da sempre di integrazione, inclusione, adozioni, bisogni educativi speciali (argomenti su cui è in costante formazione), anche con incarichi di responsabilità all’interno delle scuole, mettendo al centro i rapporti tra scuola e territorio. È autrice di testi scolastici e di divulgazione scientifica per ragazzi. Nel 2015 ha pubblicato “Tutti i bambini devono essere felici”, storia di un maestro e della sua scuola, con Terre di Mezzo Editore. È co-fondatrice del movimento “E tu da che parte stai?”.