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Puntare in alto

a cura di Maddalena Fragnito

Maddalena Fragnito è ideatrice e fondatrice di Soprasotto, un asilo “pirata” situato nel cuore del quartiere Isola, a Milano, e sorto per rispondere a un serio bisogno della cittadinanza, dunque figlio di una forte motivazione politica. L’abbiamo incontrata e le abbiamo chiesto di raccontarci come una simile idea è riuscita a prendere corpo, ovvero come, per citare le sue stesse parole, il tempo ha saputo diventare “lo spazio dell’immaginazione e della trasformazione collettiva”. 

A Milano sono tra i 3 e i 4 mila i bambini che rimangono esclusi dai nidi comunali. Parliamo di numeri altissimi, sintomo di un problema enorme che nel nostro paese non riguarda di certo solo la città di Milano e che affligge tantissime famiglie. 

Io stessa ne sono stata toccata in prima persona e, a quel punto, un po’ perché avevo tanta voglia di tornare ad avere del tempo personale, un po’ perché stentavo a credere che fosse possibile, ho iniziato a cercare di capire le ragioni di un simile problema. 

La risposta è di per sé tristemente semplice: nel pubblico non ci sono abbastanza posti. È sempre stato così, ma prima erano i redditi alti, e quindi la presunta disponibilità ad arrangiarsi altrimenti, a escludere dalla possibilità di ottenere un posto nel nido pubblico. Da una ventina d’anni, invece, a essere decisivo è il tipo di contratto che si ha: se non sei in possesso di un contratto a tempo indeterminato o determinato, finisci per essere considerata senza lavoro. E questo complica tutto per chi, come me, lavora nell’ambito culturale o in altri settori altrettanto complessi perché poco tutelati: chi, insomma, è caratterizzato da una certa precarietà lavorativa cade in questa mancanza di welfare. 

Ero sconcertata e arrabbiata. Così, una sera, mi sono decisa e ho chiamato una mia cara amica, Emanuela Leva, per farle la proposta “indecente” di aprire un nido “pirata” e lei ha accettato. Ci siamo lanciate in quest’avventura e abbiamo costruito da zero quello che, a vedersi, potrebbe sembrare in effetti un asilo nido (anche se, certo, un po’ più piccolo), ma che in qualche modo si distacca moltissimo dai nidi pubblici. In effetti, sin dall’inizio la nostra intenzione era quella di tenere insieme due aspetti. La nostra proposta voleva essere da un lato una denuncia o, quantomeno, un’esplicitazione dell’inaccessibilità dei nidi pubblici, dall’altro il tentativo di dare vita a un’alternativa non privata, ma autogestita da una comunità di genitori, educatori, bambine e bambini. Sì, perché anche loro entrano nell’assemblea: ammetto che all’inizio ciò avveniva non tanto per scelta quanto per necessità, visto che eravamo costrette a portare i bambini con noi, non sapendo dove altro lasciarli; poi, però, abbiamo volutamente deciso di mantenere questa caratteristica particolare: la presenza dei bambini e delle bambine nel momento in cui si prendono decisioni che riguardano anche, e soprattutto, loro è una qualità che va indagata e che genera un senso, dei significati diversi. 

Ma andiamo con ordine. Soprasotto nasce nel 2013 nel quartiere Isola, dove ha il suo spazio, che è il medesimo da allora. Eppure, nonostante alcune cose non siano cambiate rispetto a quando abbiamo cominciato, la sensazione è sempre quella di essere in un processo che continua a svilupparsi e trasformarsi. Sicuramente, una ragione di questo risiede nel fatto che la comunità, ovvero il corpo del nostro asilo, cambia ogni due anni. 

Le comunità che vanno a formarsi sono composte da dieci bambini e quaranta adulti che, per tutta la durata del biennio, condivideranno quello che noi definiamo un laboratorio permanente e che ha una serie di abitudini. Prima tra tutte, l’assemblea mensile, che, come dicevamo, coinvolge tutti i componenti della comunità. Ci sono due educatori, che attualmente sono Dario Firenze e Samantha Sprocatti, responsabili delle attività, ma attenti a garantire una sorta di porosità tanto con i genitori quanto, più in generale, con l’esterno. Non è strano, infatti, che ci siano proposte didattiche da parte dei parenti dei bambini o degli abitanti e dei lavoratori del quartiere: il nonno di un bambino è venuto a cantare in tedesco, la madre di un altro bambino, essendo un’insegnante di yoga, ha proposto un assaggio di questa disciplina anche nella nostra comunità; il ferramenta del quartiere è venuto spesso a mostrare ai bambini gli attrezzi con cui lavora, e via discorrendo. Soprasotto è diventato così anche l’occasione per un esercizio di immaginazione degli adulti: chiunque sia entrato in contatto con il progetto e con le comunità che di volta in volta lo costituiscono ha dovuto cambiare il proprio punto di vista, assumendo quello, per esempio, di un bambino tra gli zero e i tre anni. 

Un’altra caratteristica fondamentale è il nostro tentativo di proporre una didattica che, al di là del clima e della temperatura, sfrutti molto l’ambiente esterno. Uno dei primissimi crowdfunding che avevamo fatto (ne abbiamo lanciato uno nuovo!) era proprio destinato all’acquisto di due carretti – le nostre “navi pirata” – capaci di trasportare esattamente dieci bambini, che passano così metà della loro giornata in esplorazione. Il quartiere Isola, molto minuto, fatto di stradine, puntellato di botteghe, chiaramente facilita le nostre intenzioni: l’ambiente ha di per sé promosso le varie relazioni che si sono intrecciate tra il nostro progetto e il territorio. In pochi casi si può dire che l’idea di un incontro virtuoso tra l’urbanistica e la comunità, tra la scuola e il suo quartiere abbia funzionato così bene. Penso anche al giardino comunitario cui gli abitanti di Isola hanno dato vita – il progetto di Isola Pepe Verde – in cui, all’interno di quest’angolo verde di quartiere, si trova un piccolo fazzolettino di terra dedicato ai bambini di Soprasotto, che lì hanno i loro giochi e il loro piccolo orto. 

Ecco, sono queste le caratteristiche principali del nostro progetto: una forte partecipazione da parte di tutti; l’assenza di muri e, al contrario, la garanzia di una porosità che consente di sperimentare relazioni con chi non viene dal mondo della pedagogia, anche se il cuore del progetto è in mano a due educatori; il valore attribuito allo spazio aperto, al quartiere, considerato fondamentale nell’elaborazione della proposta didattica. 

Qual è il nostro modello pedagogico di riferimento? Mi sono fatta spesso questa domanda, perché, intendiamoci, tra coloro che hanno dato vita a questo progetto non c’era nessun esperto di pedagogia, né, tantomeno, di pedagogia radicale: sia io sia la mia amica avevamo sempre lavorato in ambito educativo, ma mai in una forma così strutturata, mai nella dimensione di un nido. Perciò eravamo preoccupate di domandarci quale pedagogia, quale didattica stessimo proponendo, e abbiamo finito per ragionarci insieme ai genitori e agli educatori e, come se fosse qualcosa di evidente, che andava semplicemente pronunciata ad alta voce, ci siamo trovati d’accordo sul fatto che fosse la forma stessa del progetto a generare delle pedagogie di riferimento, un modello relazionale ed educativo totalmente differente; così, la scrittrice bell hooks e l’educatore Paulo Freire sono diventati i nostri riferimenti principali. Ricordo benissimo che era stata la frase di un genitore a darmi questa nuova consapevolezza: «Soprasotto – aveva detto – è questo spazio dove decidiamo tutto insieme, da dove mettere il rubinetto a che tipo di pappa preparare per tutti, visto che mangiamo insieme. Bambini e bambine stanno imparando questo tipo di partecipazione e collaborazione. Ecco perché è un progetto che produce un tipo di educazione che effettivamente è diverso». 

In più occasioni, riferendomi a questo progetto, ho detto che il tempo genera lo spazio dell’immaginazione e della trasformazione collettiva. Ed è vero, perché il tempo in cui si sviluppa Soprasotto è un tempo di qualità, in cui la comunità sta costruendo un progetto che non ha mai avuto una governance statica: le persone sono cicliche, il corpo dell’assemblea si trasforma continuamente e anche il quartiere, nel frattempo, cambia. È un processo che usa il tempo per costruire e non per generare contrasti: non c’è separazione tra istituzione e famiglie, perché siamo tutti complici e responsabili di quello che succede. E il tempo speso insieme per decidere ha liberato e libera ancora oggi spazio per immaginare che cosa poteva e può diventare questo progetto, che cosa vuol dire un nido autogestito, che cosa è necessario rivendicare rispetto al rafforzamento di un’istituzione pubblica e anche, infine, che cosa quest’ultima può imparare da un’esperienza collettiva come la nostra. 

C’è però un elemento fondamentale, senza il quale questo progetto non potrebbe esistere: la fiducia. Senza una governance definita o una burocrazia cui fare riferimento ogni volta che succede qualcosa, è imprescindibile imparare a fidarsi dell’altro, anche di uno sconosciuto che hai incontrato “solo” perché, come te, partecipa al laboratorio permanente che è Soprasotto. Nel nostro asilo “pirata” raramente arrivano famiglie che si conoscono ed è fondamentale allenare la propria fiducia nei confronti degli altri. La fiducia nasce dal tempo speso insieme e svolgendo precise attività, come il corso di disostruzione a cui partecipiamo insieme ogni anno o, quando, per esempio, una mamma vuole allattare il proprio bambino qualche mese in più e può farlo entrando nello spazio, che tutti imparano a gestire nella nuova relazione che lo caratterizza – tra la mamma e il suo bambino e gli altri bambini -, così che pian piano si crea un ponte di fiducia trasversale e transgenerazionale; o il fatto stesso che tutte le persone coinvolte si prendono cura dello spazio e del suo mantenimento: abbiamo delle divertentissime tabelle che indicano che cosa deve essere cucinato, così che chi deve farlo lo sappia, o quando e cosa deve essere lavato in lavatrice. Tutta questa collaborazione, necessaria e desiderata, contribuisce a generare fiducia reciproca.

Più di una volta mi hanno chiesto di allargare il progetto e coprire anche la fascia 3-6 anni, ma mi sono sempre rifiutata di farlo. E la ragione è di tipo politico. Soprasotto nasce come risposta al problema gravissimo dell’assenza dei nidi pubblici. La scuola dell’infanzia, invece, è davvero uno spazio accessibile. Il nostro nido ha chiaramente dei costi: noi siamo riusciti a tenere la retta, ovvero il contributo associativo, nella media del pubblico, ma andare avanti coprendo anche la fascia della materna vorrebbe dire richiedere una retta superiore a quella richiesta dalle scuole dell’infanzia pubbliche e finirebbe per diventare accessibile solo a pochi eletti.

Il nostro progetto, dunque, nasce proprio da una motivazione politica. D’altro canto, costruendo Soprasotto abbiamo scoperto tante cose su cui sarebbe bello potersi confrontare, aprire un dialogo, con il pubblico. Per questo abbiamo più volte chiesto di poter raccontare la nostra esperienza che, siamo convinti, può dare molto in termini sia pedagogici sia formali, contribuendo a rinnovare un’istituzione che, di fatto, è stata creata un secolo fa e che di certo andrebbe un po’ ripensata.

Intanto, credo di poter concludere che prendersi del tempo per fare delle proposte alternative, che provano a rispondere a bisogni concreti, urgenti – politici -, sia sempre una mossa vincente, perché quel tempo finirà per trasformarsi in uno spazio potenziale: fisico, ma non solo, fatto di corpi in relazione e di tentativi un po’ fuori dalle righe, che non si accontentano di lamentarsi delle cose che non funzionano e che, al contrario, contando sulla collettività, mettono in evidenza che si potrebbero fare in tanti modi diversi. Certo, sarebbe poi importante potersi confrontare su scale differenti: la nostra esperienza coinvolge dieci bambini, che è un numero ridicolo se si considera il bisogno dell’intero paese. Tuttavia, per quanto difficile, siamo sicuri che siano esperienze come la nostra a poter dare nuovo vigore all’istituzione pubblica. Se questa, nei momenti di difficoltà, anziché farsi mangiare dai privati, imparasse a dare spazio e ascolto alle comunità, alle pratiche collettive, saprebbe finalmente rinnovarsi. Dare spazio e ascolto all’auto-organizzazione dal basso significa sostenere, anche economicamente, quelle che sono le indicazioni e le pratiche messe in campo; significa allargare il welfare e le sue istituzioni affinché ci siano più spazi di confronto con cittadine e cittadini.


Maddalena Fragnito è un’attivista culturale: esplora l’interazione tra arte, trans-femminismo e tecnologie, con un’attenzione particolare alle pratiche legate alla cura. Al momento è dottoranda presso l’università di Coventry (UK) presso il Centro di Culture Postdigitali. È co-fondatrice di MACAO (2012), un autonomo centro culturale a Milano, e SopraSotto (2013), un nido autogestito dai genitori. È parte di gruppi di ricerca Rebelling with Care (2019), Pirate Care (2019) e Biofriction (2020).