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Punti di incontro

Intervista a Gustavo Puerta Leisse

Da dove nasce la necessità di scrivere un libro illustrato di filosofia per bambini?

Poiché le mie passioni sono l’infanzia, la letteratura per bambini, il gioco e la filosofia, per me è normale che, giorno dopo giorno, nella mia pratica quotidiana, questi mondi si intreccino l’uno con l’altro. Quando leggo un albo illustrato, per esempio, trovo immagini che mi aiutano a capire meglio un concetto; se parlo al telefono con la figlia di un’amica, le chiedo: “Come fai a sapere che la voce che senti è proprio la mia? E come posso io essere sicuro, sentendo la tua voce attraverso le auricolari, che sei proprio tu quella che mi parla dall’altra parte del telefono?” (e vi assicuro che la sua risposta è più ingegnosa e sconvolgente di quella che avrebbe potuto dare Cartesio); e allo stesso modo, nel leggere I Personaggi di Teofrasto, non solo penso che se ne potrebbe fare un grande libro per bambini, ma mi spingo anche a immaginare quale illustratore potrebbe lavorarci e come potrebbe farlo.

In qualità di interlocutore e destinatario dei miei libri mi interessa molto di più il bambino dell’adulto. Mi interessa molto di più indagare, discutere e scrivere di ciò che non so rispetto a quello che so già. Mi interessano di più i libri che hanno immagini rispetto a quelli che non le hanno. Detto questo, si potrebbe pensare che sia logico ed evidente che io abbia finito per fare un libro illustrato di filosofia per bambini.
Devo aggiungere, però, che, piuttosto che scrivere da solo, preferisco fare libri insieme ad altre persone. E che, in particolare, amo lavorare con l’illustratrice Elena Odriozola (fortunatamente, anche a lei piace lavorare con me). Ecco dunque come sono arrivato al “mio” libro di filosofia per bambini, illustrato proprio da Elena Odriozola.


In che modo l’illustrazione ti ha permesso di entrare nella filosofia?

L’illustrazione può mettere d’accordo: grazie alle immagini le persone possono capirsi. Se ad esempio sono in un paese molto lontano e non capisco una parola della lingua che vi si parla – e viceversa -, posso disegnare una mela per indicare che ne voglio mangiare una, un letto per esprimere che voglio riposare o un labirinto per comunicare che mi sono perso.
Allo stesso tempo, però, un’illustrazione può significare cose diverse agli occhi di coloro che la osservano, anche se provengono dallo stesso paese e parlano la stessa lingua. Poniamo di mostrare a quattro persone l’immagine di un adolescente che sbircia da un armadio: essa può essere interpretata dal primo come la rappresentazione di un ragazzo che gioca a nascondino, dal secondo come quella di un ragazzo impaurito, che, per questo, si nasconde; il terzo potrebbe pensare che il ragazzo, sfacciato, stia spiando qualcuno, mentre il quarto immagina che il ragazzo sia affetto da sonnambulismo. Nessuna interpretazione è più corretta di un’altra perché ogni osservatore sta mettendo nell’illustrazione la propria verità.
Alla base di Mixed Feelings c’è proprio questo carattere polisemico e ambiguo dell’immagine. Nelle sue pagine ci sono 256 vignette, in cui interagiscono sette personaggi umani (oltre ad altri non umani). I testi, dal canto loro, riflettono su 44 sentimenti. Sta al lettore associare immagine e testo (e trovare, ad esempio, quale illustrazione sia quella che meglio esprime la “noia”) o mettere in relazione testo e immagine (e quindi, davanti al riquadro in cui appare una giovane donna che, seduta a un tavolo, urla, specificare se il suo sia “dolore”, “indignazione”, “vergogna” o “rabbia”).
In questo libro, l’illustrazione ha permesso di invitare il lettore a contribuire con la propria esperienza e il proprio punto di vista alla riflessione che facciamo sui sentimenti. In questo modo siamo riusciti a realizzare un libro che non stabilisce una sola lettura o un’unica possibile interpretazione. Inoltre, le illustrazioni rendono il libro molto più attraente, offrono storie, sfumature e dettagli che stimolano anche lo scambio e la conversazione.


Fino al grande lavoro che la filosofa Martha Nussbaum ha loro dedicato, le emozioni sono sempre state viste con sospetto dalla ricerca filosofica. Secondo te, perché, invece, è necessario riportarle al centro del dibattito filosofico?

Vi pongo alcune domande: fino a che punto un professore universitario della facoltà di Filosofia insegna filosofia? Non facciamo forse confusione tra la capacità di interpretare un testo filosofico, l’apprendimento della storia della filosofia e la Filosofia stessa? In che misura le pratiche e le consuetudini universitarie (come i piani di studio, le masterclass, gli esami, i paper, i congressi…) incoraggiano o frenano la riflessione filosofica? La «filosofia accademica» non è forse diventata una pratica autoreferenziale ed escludente, lontana dalle domande e dalle riflessioni filosofiche che potrebbero interessare un comune cittadino? Forse che un uomo o una donna sprovvisti di una laurea in filosofia non possono filosofare, perché le loro domande e le loro argomentazioni, in quanto non conformi alla metodologia accademica, non sono filosoficamente legittime?
Le risposte che diamo a queste e ad altre simili domande dipenderanno da come concepiamo la filosofia e da cosa ci aspettiamo da essa. Per Socrate, Platone, Aristotele, Epicuro, Zenone, Diogene, ad esempio, la filosofia era intrinsecamente legata al “saper vivere”, alla consapevolezza di sé, al nostro modo di agire e relazionarci nella società, alla ricerca della felicità.
Nell’antica Grecia la filosofia è esercitata, dibattuta, praticata. Non risponde solo alla meraviglia di fronte al mondo e al conseguente desiderio di conoscere, al bisogno di distinguere tra ciò che è piacevole e ciò che è doloroso o di decidere quale sia il miglior sistema politico, ma anche a bisogni “troppo umani”, come il consolarci per la perdita di una persona cara, il riparare un’offesa che abbiamo inflitto, l’accettazione della vecchiaia o della morte.
All’interno di questa comprensione esperienziale della filosofia, è essenziale che l’individuo approfondisca cosa sono la paura, la vergogna, l’invidia, la rabbia, come, quando e perché queste – e tutte le altre emozioni – lo influenzano. È necessario che l’uomo impari a conoscere e controllare le sue passioni. Riflettere sull’amore, sulla fiducia, la compassione, l’integrità aiuterà a vivere una vita più piena e soddisfacente.
Una laurea in Filosofia non ci rende persone migliori, né necessariamente più felici. Al contrario, dedicarsi alla conoscenza di sé, coltivare l’amicizia e impegnarsi a vivere una vita “bella” sì. Perciò, la ricerca filosofica a livello universitario potrà anche guardare alle emozioni con sospetto e persino escluderle dai suoi oggetti di studio; chi invece vuole capirsi, crescere ed essere felice non potrà fare a meno di indagarle.


Ci siamo conosciuti quando eri il direttore di ¡La leche!, rivista politica attuale rivolta a ragazzi e ragazze di età compresa tra i 9 e i 12 anni. Qual è, se esiste, il legame tra bambini, filosofia e politica?

Prima di rispondere alla tua domanda, è importante sottolineare un aspetto.
I bambini hanno il diritto di essere informati. Le decisioni prese da noi adulti li toccano sempre, ora indirettamente ora direttamente, perciò non possono esserne all’oscuro. Che il Regno Unito lasci l’Unione Europea, che scoppi una guerra in Ucraina, che in Italia una coalizione guidata dall’estrema destra vinca le elezioni… sono fatti che plasmano il mondo in cui vivono e in cui daranno forma al loro futuro.
Non sono molto sicuro che, in questi momenti di decisioni e cambiamenti, vengano presi in considerazione. Suppongo di no. Ma quello di cui sono convinto è che in Spagna, il paese in cui vivo, ai bambini non è garantito il diritto all’informazione. Non esistono spazi informativi sulla stampa, alla radio o sulla televisione pubblica o privata specificamente rivolti ai bambini o ai giovani: nessun luogo che racconti ciò che sta accadendo nel mondo in modo accessibile, interessante o rigoroso.
Per quattro anni e sedici numeri ¡La leche! è stata una rivista di giornalismo culturale per bambini. Qui, oltre a tanti altri argomenti, si parla anche di politica. Ogni numero affronta due temi sul modello rodariano del “binomio fantastico”. Abbiamo scritto di intelligence vegetale e Corea del Nord, di nazionalismo e spazzatura spaziale, del Venezuela di Hugo Chavez e surf, di omosessualità e ortografia, di storia del cibo e Afghanistan, di uccelli e ospizio, e così via. Abbiamo avuto la fortuna di avere collaboratori straordinari: per ogni tema, uno specialista riconosciuto e un formidabile illustratore. La sfida era, da un lato, affrontare questioni complesse in modo semplice e attraente e, dall’altro, catturare l’interesse del lettore. Dovevamo essere rigorosi e creativi, giocosi, ma anche seri e profondi. Non è stato facile, ma il risultato ci rende orgogliosi.
Il legame tra bambini, filosofia e politica esiste, ed è, nel bene e nel male, responsabilità di noi adulti. Filosofia e politica (ma anche linguistica, antropologia, etnomusica, ecc.) sono ambiti e interessi che possono essere latenti, attivi o che non si risvegliano mai nei bambini. In ogni caso, alimentare o reprimere questi o altri interessi è nelle nostre mani. Ne ¡La leche! dicevamo che ci incuriosiva ciò che non sapevamo nemmeno potesse essere interessante. Diffondere questo atteggiamento è stato ciò che abbiamo cercato di fare. E la risposta dei lettori è stata davvero molto gratificante.


E, infine, una domanda che mi pongo da sempre: credi che la filosofia con i ragazzi e le ragazze nasca da un’esigenza degli adulti o da un bisogno dei bambini?

Innanzitutto una precisazione. Non credo infatti che la filosofia risponda tanto a un bisogno quanto a un desiderio: il desiderio di capire, di conoscere, di interrogare o di dare un senso. E, come ogni desiderio, può essere risvegliato, creato, inculcato, esacerbato, coltivato… ma anche censurato, represso, frustrato o abbandonato.
La relazione tra desiderio adulto e desiderio infantile è una questione complessa. Spesso e volentieri noi adulti non siamo in grado di ascoltare, prestare attenzione, rispettare, accogliere, offrire spazio, mezzi e tempo ai desideri dei nostri bambini. E, quel che è peggio, capita ancor più frequentemente di imporre i nostri desideri ai più piccoli, cercando di fare di loro i “nostri figli ideali”.
Ci sono bambini irrequieti e curiosi, che osservano, fanno domande, si stupiscono e discutono, ma vengono zittiti con: “Non dire sciocchezze, sei solo un bambino” o “È così perché lo dico io”. D’altro canto, ci sono anche genitori che bramano, sopra ogni altra cosa, che la loro prole si trasformi in un piccolo Platone, una piccola Angela Davis o un Piccolo Principe.
Uno dei nostri libri si intitola Así soy yo e nelle sue pagine l’illustratrice Juliana Salcedo raccoglie le impressioni, le domande, le paure e i pensieri che sua figlia, Pía, ha espresso tra i 3 e i 4 anni. In uno di essi, Pía osserva un ananas che tiene tra le mani e commenta: «Riesci a immaginare che un giorno sarai bella come questo ananas?». Questa osservazione denota sensibilità, capacità di osservazione e meraviglia, ma spetta all’adulto riconoscere il seme di un’esperienza filosofica in quell’espressione spontanea e libera. Spetta a noi convalidare, sostenere e promuovere questa disposizione. Per questo è fondamentale prestare attenzione all’interesse e al ritmo del bambino: diventando complici nella contemplazione e nella ricerca, conversando, offrendo le nostre conoscenze e, in un secondo momento, arricchendo l’esperienza con alcune letture.
Ogni situazione è unica in sé stessa. In ogni caso, l’importante è sempre mantenere un atteggiamento equilibrato, fare attenzione a non incorrere nell’imposizione. In questo modo si apre uno spazio di incontro affettivo tra il bambino, l’adulto e la filosofia: un ambiente pieno di attenzione, ascolto e dialogo.
Tornando alla tua domanda, non credo che la filosofia con i ragazzi e le ragazze sia un’esigenza del mondo degli adulti o del mondo dei bambini. Piuttosto, la vedo come uno spazio in cui possiamo incontrarci e imparare insieme, gli uni dagli altri, sia i bambini (ma anche i giovani) che gli adulti. Proprio per questo è una cosa che desidero tanto fare.