Quando il tempo cambiò
A cura dei Ludosofici
Tempo è una parola che racchiude un mondo, poiché da sola indica un elemento che a noi, nel suo fluire indifferente ma determinato, appare tanto impercettibile quanto vincolante. Il tempo delimita la cornice entro cui la nostra vita è iscritta, scorrendo nella precisa direzione che porta da un inizio a una fine, ma è così discreto che spesso e volentieri ci dimentichiamo di lui e ci comportiamo come se non esistesse.
In effetti il tempo, in quanto tale, non si tocca, non si annusa, non si gusta e non si sente: sembra inevitabile che passi inosservato. E invece, quasi a volersi palesare, riesce a rendersi visibile diventando cambiamento in noi stessi e in ciò che ci circonda: è allora che affermiamo senza dubbio “il tempo passa” e che, sapendo di non poterlo trattenere, vogliamo almeno provare a controllarlo. Lo misuriamo, con meridiane, clessidre od orologi, nel tentativo di renderlo oggettivo per trattarlo in modo freddo e distaccato, per poterci organizzare e per poterlo usare a nostro beneficio. Eppure c’è ancora qualcosa che ci sfugge quando capita che un’ora duri sessanta minuti su un quadrante e cinque secondi nella nostra percezione. Nonostante i nostri sforzi di appiattirlo, il tempo non passa uguale per tutti e in ogni situazione. Ed è così che, quanto può essere oggettivo, il tempo è altrettanto soggettivo e trascorre secondo le nostre emozioni.
Del resto, invocare l’oggettività presenta sempre qualche rischio. Perché anche quando tutti concordiamo sul fatto che dopodomani è tra 48 ore, che di qui a una settimana passeranno sette giorni e che tra un anno avremo un anno in più, dobbiamo sempre ricordare che è da umani che parliamo: se fossimo stagioni, per esempio, non avremmo ragione a suggerire che il tempo, anziché scorrere in avanti su una linea, si muove come sul perimetro di un cerchio? E l’esperienza della nostra esistenza è forse sufficiente a farci dire che il tempo sia per forza finito e non eterno?
E non dimentichiamo che il tempo è anche passato, presente e futuro. Queste sono categorie che tutti riconosciamo e rispetto alle quali non esitiamo a collocarci: viviamo nel presente, il passato è stato e non c’è più e il futuro sarà, perché ancora non c’è. Ma se davvero fosse così semplice, se davvero potessimo dividere il tempo a compartimenti stagni, non saremmo investiti dai ricordi e non avremmo speranze, ambizioni e aspettative; negheremmo la responsabilità di radici ben piantate nella storia e potremmo evitare di preoccuparci per il nostro futuro.
Il tempo scorre, fluisce e ci trascina con sé. Ma noi abbiamo il potere di pensarlo, accettando le sue ferree condizioni mettendolo a frutto nel modo migliore. Perché sul fatto che il tempo sia qualcosa di prezioso nessuno discute: il tempo non si butta e se perderlo è un peccato, prendersi del tempo è certamente un privilegio.
Vincolante e discreto; misurato e percepito; oggettivo e soggettivo; lineare e circolare; finito ed eterno; fluido e scandito; astratto e prezioso. Queste sono alcune delle qualità che è possibile attribuire al tempo, lenti attraverso le quali dovremmo osservarlo per comprenderlo meglio.
Il tempo è di per sé un concetto complesso e sfaccettato, che merita di essere indagato sotto diversi punti di vista, proprio come noi ci proponiamo di fare in questo contesto, e ciò basterebbe a renderlo un candidato perfetto per la nostra newsletter.
Eppure c’è dell’altro a motivare la scelta di questo tema…
In questi giorni, ora dopo ora, tutti noi stiamo prendendo coscienza dell’impatto che questa nuova e straordinaria situazione avrà sulle nostre vite. E mentre politici e scienziati si appellano al nostro senso civico e alla nostra responsabilità, perché «di tempo non ce n’è più», molti di noi, nel loro privato, si trovano a fare i conti con un tempo completamente scombinato, tutto da riorganizzare perché privato della tanto schernita ma tutto sommato rassicurante routine. Improvvisamente, mentre chi lavora negli ospedali corre contro il tempo per fare tutto il possibile in condizioni di estrema difficoltà, alcuni di noi si trovano per la prima volta a porsi il problema di come impiegare il tempo che loro stessi hanno a disposizione, talvolta divenuto così tanto da sembrare troppo, o quello dei loro figli, d’un tratto privati delle ordinarie ore di scuola.
L’emergenza in corso pone moltissime questioni, che è necessario appuntarsi perché si faccia tesoro di ciò che una simile esperienza potrà insegnarci come individui e come società. Alcuni di questi interrogativi riguardano proprio il tempo, che ci fa così paura quando si fa tiranno e ci spiazza quando ci si offre all’improvviso in grandi quantità: sappiamo accettare le ferree condizioni che il tempo pone sulle nostre vite? Siamo all’altezza del tempo che abbiamo a disposizione? Siamo disposti a chiederci che cosa significhi impiegare bene il proprio tempo? Siamo in grado di prenderci del tempo senza aver paura di perderlo?
Questi giorni ci mostrano che, volenti o nolenti, del nostro tempo, e non solo, ci dobbiamo occupare. Avere del tempo per farlo è una grande occasione che non vogliamo sprecare.