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Ri-Alzate la voce!

Laboratorio a cura dei Ludosofici

In ogni nostra casa è custodita la storia di una mamma, nonna, bis-nonna, zia, amica, vicina di casa, cugina, sorella, amica… che non aspetta altro di essere raccontata o addirittura illustrata. Potete aggiungere fotografie o altro materiale che può servire a descriverla meglio e raccontare le straordinarie gesta di cui è stata protagonista. E quando le tracce sono state smarrite, nulla ci vieta che possiamo essere noi, con la nostra immaginazione, a sopperire a questa mancanza. Grazie all’esempio di Le Ortique, che ridà voce alle artiste dimenticate, anche noi possiamo dare voce a tutte le artiste nascoste nelle nostre case e nei nostri ricordi e immaginare, a partire da loro e grazie a loro, nuove forme per i nostri sogni e i nostri desideri.

Dunque, che aspettate? Scaricate il libretto qui sotto, andate alla ricerca di voci sussurrate e trasformatele in racconti udibili in tutto il mondo!

“Essere la libertà”:
Goliarda Sapienza

Articolo a cura di Alessandra Trevisan (Le Ortique)
Letto da Costanza Faravelli

Goliarda Sapienza è un nome (e cognome) curioso. I goliardi, nel Medioevo, erano dei giullari sempre pronti allo scherzo. “Goliarda” contiene la parola “gola” e la “voce”; la “sapientia” è qualcosa di alto, irraggiungibile, che mette in crisi. Ed in effetti, per una scrittrice nata nel 1924, cresciuta tra i pupi della sua Sicilia durante il ventennio e poi diventata attrice, il suo è un cosiddetto nome omen: un nome che segna un destino. 
Si parla poco di autrici donne; si conoscono e si leggono ancora meno: meno degli scrittori, che hanno fatto il cosiddetto canone. Chessò: da Pirandello a Pasolini. Eppure la storia delle scrittrici, i loro libri e le loro imprese sono tutte da (ri)scoprire. 
Goliarda Sapienza era catanese, venuta poi a Roma per recitare dal ’43. Passata la Resistenza – dove fu partigiana insieme al padre e alla madre, l’avvocato Peppino e la sindacalista Maria Giudice – ha vissuto il dopoguerra del neorealismo, insieme a Citto Maselli, un regista e un maestro di vita, che le ha insegnato il cinema. Ha lavorato con Luchino Visconti; si è immersa in un ambiente che ha iniziato a farle sperimentare le potenzialità del femminile, prima del sessantotto e prima dell’autocoscienza. Conoscere come arrangiarsi, darsi un proprio tempo, costruirsi da sola. Quando sceglie la scrittura come mestiere ha già quasi trent’anni. Quando riesce a pubblicare ne ha più di quaranta, e sta affrontando un momento complesso: vuole cambiare mestiere, è in cura da uno psicanalista per la sua depressione, il panorama intellettuale che ha a fianco le sta stretto. La letteratura inizia a diventare la sua forma d’espressione più vitale, perché lei impara a conoscersi: lei è più nella parola che nel corpo. Per questo, quando scrive i suoi primi romanzi parla della sua rocambolesca famiglia nell’Italia fascista, in una Sicilia fortemente provinciale in cui i suoi genitori, pur avendo più di dieci figli, non erano sposati. Fa storia, fa memoria e si comprende. Rinasce tante volte come personaggio: un altro sé. Raccontarsi, per lei, è calarsi completamente nell’esistenza, in modo puro: certo, una vita di carta che si fa plurima, introspettiva, per poi liberarsi al lettore. Infatti l’autobiografia resta il suo vestito perfetto.
L’arte della gioia, il romanzo più famoso al mondo, inizia a scriverlo quando ha quarantacinque anni; Modesta – la protagonista – è un suo alter ego; soprattutto è la più coraggiosa versione della scrittrice da cui è nata, che tutto può ‘su carta’. È l’estrema riprova che lo scrivere ha nutrito Goliarda bambina e nutre la creatività dell’adulta, dell’artista: «Ma bisognava essere liberi, approfittare di ogni attimo, sperimentare ogni passo di quella passeggiata che chiamiamo vita. Liberi di osservare, di studiare, di guardare dalla finestra, di spiare fra quel bosco di palazzi ogni luce che dal mare si insinua fra le imposte…». Il suo sguardo spinge oltre l’immaginazione, mangia il presente, diventa futuro: insegna a vivere fino in fondo, con slanci di gioia. Goliarda rifiorisce nel romanzo ma non riesce a pubblicarlo. Troppo lungo, troppo audace, troppo oltre, per lei. È senza denaro. Commette un furto. Finisce nel carcere di Rebibbia nell’ottobre 1980. Lì conosce un’umanità completa, che la anima, e la fa uscire dal guscio élitario di prima. Viene rilasciata di lì a poco, dopo aver sperimentato la libertà anche dentro la prigione, la sua “stanza tutta per sé”. Riesce poi a pubblicare due libri su quell’esperienza, anche grazie ad Adele Cambria e al poeta Beppe Costa, che la aiutano. È già vaccinata alla solitudine che provoca il suo ambiente eppure frequenta altre scrittrici: da Francesca Sanvitale a Clara Sereni. Eccentrica prima, troppo intransigente ma anche inclusiva. È una donna fiera di sé, priva di narcisismo, che sa stare bene con gli altri; che ama ascoltare, conoscere, scoprire, e anche ridere e giocare. È una donna infinita che, nonostante un finale avverso, non cederà mai: «Ho fatto bene a rubare, sempre, la mia parte di gioia a tutto e a tutti» scrive nei suoi taccuini. La determinazione, fuori da ogni pregiudizio, e la letteratura, sono i suoi strumenti per rinascere, sempre.

Alessandra Trevisan foto

Alessandra Trevisan è PhD in Italianistica all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si occupa di autrici dimenticate del Novecento e ha lavorato a lungo su Goliarda Sapienza, dedicandole due monografie. Nel 2020 ha fondato con Viviana Fiorentino e altre autrici il gruppo Le Ortique. È lyricist e poeta.


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Le Ortique deforming the canon. A group of women authors committed to discover forgotten women artists.
Dall’Italia all’Irlanda, un percorso obliquo e fuori strada fatto da autrici per riscoprire le artiste dimenticate dai canoni.