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Scritture marine

A cura di Monica Gilli

A scrivere si fa così:
si dorme un pochino,
si resta in attesa
con mani perfette, vuote.

Mariangela Gualtieri

Le rotte marine, a differenza delle rotte di terra, non lasciano il segno.
Eppure, la scrittura, per essere considerata un dispositivo formativo, ha bisogno di lasciare traccia.

La traccia che la mano imprime su ciò che scrive è graphein, che in Greco indica un segno che incide e che narra. L’atto umano di tracciare un solco, di imprimere parte di sé su qualcosa di esterno, per poterlo poi guardare con distanza, è un gesto auto-formativo.
Quando scriviamo plasmiamo forme. I pensieri, i ricordi i desideri transitano attraverso di noi e quello che accade è che questa materia pensosa prende forma, si tras-forma.
Che forma hanno, allora, i pensieri?

Quando la mente pensa accade una magia. Le sensazioni fisiche che proviamo e tutte le informazioni che il cervello riceve dal sistema percettivo, ossia dalla vista, dall’udito, dal tatto, dal gusto e dall’olfatto, si tras-formano in immagini.

Vi è mai capitato di pensare ad un oggetto qualsiasi? Provate a chiudere ora gli occhi e a fare questo semplice esercizio di immaginazione (appunto!).
L’oggetto pensato apparirà davanti agli occhi, anche se sono chiusi, come se fosse veramente lì, come se lo steste guardando.

I pensieri, ci insegna Antonio Damasio che è un importante professore di Neuroscienze, hanno la forma delle immagini, come tante piccole cartoline che la nostra mente conserva in un luogo meraviglioso che si chiama memoria.
E quando, invece, vogliamo che i pensieri escano dalla nostra mente?
Usiamo le parole! E per farlo generalmente usiamo la bocca che, attraverso il sistema articolatorio, produce il linguaggio.

Quando parliamo, trasformiamo pensieri in parole ad una grande velocità. Così tutto quello che c’è nella mente si trasforma in immagini e poi esce dalla bocca cambiando ancora forma e diventa parola.
Questo processo incredibile accade continuamente, ogni giorno. Se, però, volessimo osservarlo e provare a fermarlo, allora avremmo bisogno della scrittura.
La scrittura è un processo lento, forse direte “noioso” ! Ma è anche molto affascinante perché avrete l’occasione di poter incontrare voi stessi, magari in un giorno d’estate, vicino al mare.
Ecco, allora, alcune proposte laboratoriali di scrittura autobiografica che hanno lo scopo di stare un pochino con voi stessi e di decidere se volete tenere i pensieri per voi o regalarli all’acqua.

La traccia sulla battigia

È un esercizio molto semplice e anche rilassante, ma può diventare incredibilmente divertente.

Cercate un legnetto sufficientemente lungo e rigido per poterlo utilizzare come fosse una matita.
Giocate a scrivere parole e pensieri vicino al mare, osservando quali emozioni provate quando l’acqua partecipa al vostro gioco, cancellando la scrittura.

Che traccia volete lasciare sulla sabbia? Quali parole/pensieri decidete di cancellare o salvare dall’acqua?

Provate a fare questo esercizio scrivendo con un tratto sempre più grande, occupando molto spazio, come se voleste gridare i vostri pensieri.
Se lo desiderate, potete scattare delle fotografie e conservare, così, la vostra scrittura marina.

Un dialogo col mare

Quante volte è capitato di fermarsi di fronte al mare e parlare con lui! Molti scrittori lo hanno fatto, altrettanti poeti hanno dialogato con il mare, ascoltando la sua voce e provando a raccontare all’acqua le storie umane.

Antico, sono ubriacato dalla voce
ch’esce dalle tue bocche quando si schiudono
come verdi campane e si ributtano
indietro e si disciolgono.
La casa delle mie estati lontane,
t’era accanto, lo sai,
là nel paese dove il sole cuoce
e annuvolano l’aria le zanzare.
Come allora oggi la tua presenza impietro,
mare, ma non più degno
mi credo del solenne ammonimento
del tuo respiro. Tu m’hai detto primo
che il piccino fermento
del mio cuore non era che un momento
del tuo; che mi era in fondo
la tua legge rischiosa: esser vasto e diverso
e svuotarsi cosi d’ogni lordura
come tu fai che sbatti sulle sponde
tra sugheri alghe asterie
le inutili macerie del tuo abisso.

Eugenio Montale

Il mare risuona in consonanza o dissonanza con noi, ma risuona sempre. Il mare ci fa sentire in armonia, ci rilassa, oppure sconvolge il nostro ordine interno.
Le onde sembrano parlare, sospirare.
Avete mai provato a respirare in consonanza con il mare?

Il flusso continuo della marea che risucchia e rilascia le onde sembra un respiro!

M’affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l’onde.
Vedo stelle passare, onde passare;
un guizzo chiama, un palpito risponde.

Ecco, sospira l’acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d’argento.

Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?

Giovanni Pascoli

L’acqua possiede anch’essa un suo linguaggio e parla gorgogliando, sciabordando con sciacquii e guizzi.
Quante parole e quanti suoni onomatopeici conosciamo o possiamo inventare per imparare il linguaggio dell’acqua?
Provate a registrare la voce dell’acqua e a cercare delle parole che possano mettervi in contatto con il mare.
Dopo aver fatto questa esplorazione chiedete al mare se potete consegnargli le vostre parole.
I messaggi nelle bottiglie sono oggetti davvero affascinanti. Rispondono al bisogno umano di comunicare e di lasciare traccia di sé per l’eternità.
Oggi scriviamo messaggi per lo più utilizzando il telefono cellulare, ma in passato si comunicava affidando ai volatili o alle onde del mare la propria scrittura.
Teofrasto nel 310 a. C. fu il primo uomo a voler dimostrare che il Mar Mediterraneo era connesso con l’oceano Atlantico ed utilizzò una bottiglia, contenente un messaggio, per osservare le traiettorie delle correnti. Con questo sistema nel 1855, venne redatta La Geografia Fisica dei Mari il primo testo di oceanografia moderna.
Tornando ai tempi contemporanei, proprio in questi giorni, in Grecia, è stata ritrovata una bottiglia  sulla spiaggia. Conteneva un messaggio  scritto ben ventitré anni fa (1/01/1990) da un turista. Il messaggio diceva:scrivimi una lettera se trovi questo messaggio in bottiglia”.

Scrivere e ricevere messaggi è un dono. Costituito da un tempo, dove si decide il contenuto della missiva, lo si affida e si resta in trepidante attesa. Volete provare questa affascinante esperienza?
Per rispetto verso il mare e la natura utilizzeremo delle foglie per scrivere su di esse il nostro messaggio. Certo la resistenza del vetro permette alla scrittura di conservarsi per molto tempo e di navigare nell’acqua protetta, ma desideriamo conservare il nostro mare nella sua bellezza pura perciò partite alla ricerca di foglie, ossi di seppia o piccoli legni piatti.

Una volta deciso il supporto della scrittura procedete all’incisione, alla traccia o all’impronta che avete pensato di inviare. Preparate con cura il momento e il luogo dove consegnerete il vostro messaggio al mare e osservandolo cullarsi tra le onde e prendere via via il largo, predisponetevi ad attendere la risposta.

Noi siamo gocce d’acqua.
Che cosa ne è della goccia d’acqua quando muore? La goccia scompare. Cade nel
pèlagos infinito.
Scompare? Ma che cosa sei tu in realtà, la goccia d’acqua oppure l’acqua della goccia?
Durante la nostra vita mortale, dobbiamo realizzarci come acqua, e non soltanto come goccia.
La goccia è il luogo delle lotte, delle cadute e delle vittorie, di tutto quello che mi causa gioia e sofferenza in forma immediata.
Ma se mi realizzerò in maniera autentica, se sono in ascolto della realtà che io sono in profondità, io sono acqua.

Raimon Panikkar


Monica Gilli è maestra d’infanzia e allieva dei bambini, pedagogista critica e sognatrice, sempre in movimento e alla ricerca di significati e storie da raccontare.