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Scuola di videogiochi

Intervista a Kenobit

Molti ritengono che i videogiochi non siano null’altro che passatempi, altri non riescono a fare a meno di ritenerli un vizio pericoloso. I videogiochi, però, sono un mondo complesso, ricco, certamente, di leggerezza e di insidie, ma anche di grandi storie e di occasioni preziose che la scuola non dovrebbe ignorare.


Spesso si ritiene che la narrazione “vera” possa esistere solo su carta. In che modo, invece, questa è nata e si è evoluta nel mondo dei videogiochi? I videogiochi possono essere considerati uno strumento per fare letteratura?

I videogiochi sono un medium, proprio come la carta stampata, la tela o un muro su cui viene dipinto un murales. Sono un mezzo di comunicazione, la cui natura può variare di volta in volta: un semplice svago, una ricerca estetica o una forma narrativa potente tanto quanto un libro o un film.
Libri, film e videogiochi sono tutti e tre strumenti narrativi capaci di raccontare storie. Lo fanno utilizzando meccanismi diversi e incarnando punti di vista differenti, ma tutti e tre possono racchiudere una storia.

Quando parliamo di storie, rispetto al libro e al film, sul videogioco regna qualche pregiudizio, come se il suo contenuto non possa essere all’altezza degli altri strumenti narrativi. Tuttavia, non è così. Intendiamoci, esistono videogiochi che raccontano vicende banalissime (quando, per esempio, un omino armato di spada e pistola parte per sconfiggere i nemici e salvare la vittima o risolvere la situazione). Chi elabora un videogioco, però, può anche immaginare una storia complessa e dai risvolti profondi a cui, come meccanismo proprio dello strumento, aggiunge l’agency della persona che gioca: il fruitore di un videogioco è al contempo spettatore e attore, perché, mentre osserva, vive sulla sua pelle la responsabilità di alcune scelte
Vi faccio un esempio secondo me molto rilevante. Papers, please è un videogioco di Lucas Pope, in cui chi gioca riveste …