Se son domande, fioriranno…
Se son immagini, appariranno…
Articolo a cura di Claudia Corrent

C’è un racconto di Plinio il Vecchio che spiega la nascita a cui far risalire la fondazione dell’immagine. Lo condivido spesso con i ragazzi a cui insegno fotografia perché è molto significativo. La storia narra della figlia di un vasaio che, disperata per la partenza del suo amato, chiede al padre di far qualcosa. Il vasaio, allora, tratteggia sul muro la sagoma del fidanzato che viene proiettata dal lume della candela. Da questa, poi, ne farà un ritratto con l’argilla.
È una storia che trovo bellissima e che spiega perché abbiamo bisogno delle immagini: esse servono per perpetuare il ricordo, lenire l’assenza. Ma c’è dell’altro, rilevante da un punto di vista ontologico: l’immagine (la fotografia) è la storia di un’ombra, un elemento a metà tra il visibile e l’invisibile nonostante la sua materialità.
L’immagine, se ci pensiamo, fa questo, ovvero dice: “Guarda qui, questo è importante”. Chi le produce lo sa e invita anche gli altri a fermarsi a guardare.
La fotografia non è solo una forma tecnica di riproduzione, ma permette modalità di creazione di senso. Avere a che fare con essa vuol dire non solo fermare una porzione di mondo nel tempo ma inventare nuove immagini del mondo. Permette di elaborare un universo di impressioni in grado di decifrare il reale in una dimensione attiva dello sguardo, non passiva. Perché, come ricorda Arbus: “una foto è un segreto intorno a un segreto, più rivela e più lascia capire”.
Su questo tipo di riflessioni si inserisce la pratica dei laboratori artistici di immagine e fotografia che svolgo con i ragazzi. Mi occupo di arti visive da ormai qualche anno e la mia ricerca si concentra sulle immagini di archivio e di paesaggio. Dico spesso che mi piace far fare …