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Sogni di neve

Intervista a Davide Sapienza

Davide Sapienza, autore di La musica della neve, ci accompagna a passeggiare nella neve, solcando passi gentili e silenziosi, ascoltando le sue parole bianche, osservando mappe musicali e, inevitabilmente, immaginando. 


Vorrei partire da questa frase:

Quando i piedi rivelano il suono ovattato della neve fresca, possiamo sentirlo perché la neve produce il silenzio dal quale emerge ogni più delicato cambiamento e le sue note si concatenano attingendolo dalla luce che il cielo intaglia nella distesa.

Il fiocco di neve scende e il ritmo cambia, sia quello visivo sia quello sonoro; il silenzio della neve pare non essere la cessazione del suono, ma una nuova melodia che tutto pervade. Perché il silenzio delle neve è diverso da tutti gli altri silenzi?

Premesso che il silenzio credo non sia l’assenza di suono, ma una condizione di connessione profonda tra un essere umano e l’ambiente che lo circonda, un corridoio di luce per andare oltre se stessi e sentire più vicino ciò che è davvero profondo e vero per se stessi, ecco, credo che il silenzio della neve sia decisamente diverso perché la neve sembra produrlo incessantemente. Quando sono nella neve, in montagna e lontano dai caroselli turistici, ogni passo diventa una richiesta di permesso. Il permesso di entrare in questo universo effimero, senza date e senza orari, che è l’arrivo della neve. Ecco perché io lo vivo sempre come una musica poco invasiva, ma di grande presenza. Il silenzio della neve, potrei dire, per me è un orizzonte e come ogni orizzonte si sposta di continuo.


Associ alla neve le parole sogno, meraviglia, magia, immaginazione: perché la neve è materia strutturale di queste dimensioni extratemporali ed extraspaziali?

La neve è un elemento primordiale: è acqua, il che significa che è vita. E io percepisco la vita come qualcosa che esce dalla dimensione spazio temporale. La vita è qui, è ora e noi ne facciamo parte, un po’ come la neve: siamo effimeri e forse torniamo a essere materia di stelle nell’universo. Il fatto che la neve abbia una dimensione solida che sfugge però al controllo umano rende la sua palpabile impalpabilità qualcosa che va direttamente a toccare l’immaginazione umana, spingendoci a disegnare davanti a noi un mondo. E sì, un mondo di meraviglia.


Scrivi che «[…] le mappe sono affascinanti. Sono il segno tangibile del tentativo di scoprire e possedere lo spazio ma anche l’ammirevole qualità di gestire la presenza nel territorio». La neve, però, coprendo lo spazio intorno a noi, spazza via la nostra capacità di orientarci, ci catapulta in una dimensione altra dove tutto, pur sembrando immutabile, cambia di continuo. E noi?

Questo è un aspetto che adoro della neve. È come la mappa delle stelle. I sentieri scompaiono, le forme cambiano, i segni sul territorio sono certo riconoscibili, ma diversi: in questo senso spingono il nostro sguardo a cercare riferimenti differenti. Quindi, è come se noi dovessimo rivedere le nostre “carte nautiche” (e in effetti per come vivo io la neve, facendo scialpinismo-escursionismo, io navigo – anzi, nevigo, come ho scritto nel libro). Ecco che i territori innevati ci offrono ogni volta la possibilità di capire cosa davvero sentiamo del territorio, prima ancora di conoscerlo: che conversazione riusciamo a fare con la Terra? Che cosa ci dice la distesa bianca? Cosa diciamo noi alla distesa innevata? Credo che il bello dell’esplorazione, anche minima, sia il fatto di non avere ipotesi o tesi, ma solo rispetto per il territorio nel quale ci stiamo muovendo. E, nella neve, la meraviglia è che possiamo creare la nostra mappa-rotta, ma alla prossima nevicata, o con il vento, come in mare, tutto si richiude dietro di noi e allora potremo ripartire per un’altra avventura alla scoperta della nostra geografia interiore, per capire come si rapporta a quella fisica nella quale ci muoviamo.


Dici che nella tua vita hai spesso tratto ispirazione dalla musica per osservare la geografia: se dovessi “iniziarci” a questa modalità di relazione con la nostra realtà circostante, hai qualche suggerimento da darci che, ovviamente, possa valere sia per i grandi sia per i bambini?

È vero. Fin da piccolo, ogni musica che ascoltavo evocava paesaggi a me sconosciuti ma che in qualche modo sapevo esistere. Altre volte, evocava paesaggi immaginifici, geografie del possibile, immaginari. Così, quando ho lavorato tanti anni come giornalista musicale, spesso, intervistando gli artisti, chiedevo di questo tema. È evidente che il territorio ci influenza moltissimo, che lo si voglia o meno. Nascere e crescere in grandi spazi fa risuonare il territorio diversamente da come accade quando nasci in uno spazio ristretto. Ciò che posso suggerire è di ascoltare la musica che amiamo provando a viverla come un viaggio. A renderla imprevedibile. A lasciarci trasportare e visualizzare quello che ci viene da dentro, dalla mente, dallo spirito, dal corpo. Anche perché la musica è intangibile e invisibile, ma ha un effetto molto concreto sulla nostra vita, se trattata con rispetto e non come sottofondo, rumore, spazio tra una pubblicità e l’altra. Proviamo a chiederci: che musica mi fa venire in mente il mio paesaggio? Questo potrebbe essere un inizio.

Davide S. Sapienza (1963) è scrittore, traduttore di classici moderni e contemporanei (Jack London, Barry Lopez, E.A. Poe, A. C.Doyle) e giornalista. Lavora in editoria dal 1984. Gli inizi sono nel mondo della musica come giornalista
e conduttore radiotelevisivo (RAI3, Radio Popolare) e autore di popolari libri rock, fino a diventare label manager di Rykodisc Europe in Italia per otto anni. Dopo aver scelto di vivere in montagna e una lunga serie di viaggi (in particolare nell’Artico) nel 2004 pubblica da BaldiniCastoldi I Diari di Rubha Hunish e si dedica a reportage di viaggio per prestigiosi magazine e quotidiani (La Stampa, Corriere
della Sera). La scrittura è il risultato della pratica geopoetica alla quale si è dedicato negli ultimi venticinque anni, creando i cammini geopoetici; se tra i suoi libri più noti (La musica della neve; Scrivere la natura; Camminando; Il Geopoeta. Avventure nelle terre della percezione) ci sono queste tracce è perché sul campo realizza progetti ispirati a questi principi (come La Via dei Silter in Lombardia per ERSAF), anche internazionali (progetto Rocklines per Minett Biosfera UNESCO in
Lussemburgo; per il Nordland Nasjonalparksenter e Bodo2024 Capitale Europea della Cultura nell’artico norvegese), o storici (la sceneggiatura di Scemi di Guerra di Enrico Verra). Nel 2009 la Tv Svizzera Italiana gli ha dedicato il documentario La Sapienza di Davide. Parole in cammino. Di particolare valore formativo il lavoro coi poeti nativi americani Lance Henson e John Trudell. Tra i principali riconoscimenti: Pigna d’Argento (Bormio 2011, premio Alpinia), Ghiande di Cinemambiente (Torino, 2015). Dal 2012 parte dell’officina culturale ALPES di Milano. Nel 2022 curerà l’edizione italiana di Horizon, ultima opera del suo maestro e amico Barry Lopez.