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Stacce dentro

A cura di Pietro Corraini, Flavio Pintarelli e Ilaria Rodella

Liu Cixin nel romanzo di fantascienza “La materia del cosmo” inventa una razza avanzatissima di freddi e calcolatori alieni che combattono gli avversari annichilendo una dimensione dello spazio in cui vivono; attaccati da una simile arma ci troveremmo ad abitare, al posto dello spazio a tre dimensioni che viviamo quotidianamente, uno spazio bidimensionale, schiacciati solo su larghezza e lunghezza senza più poter vedere o percepire la profondità.

Nel romanzo del 1884 Flatlandia[1] descrive un mondo fatto proprio così: a due dimensioni, dove abitano forme geometriche che si possono vedere solo di lato (lì andava di gran moda dipingere proprio i lati).

Ad un tratto in questo mondo tridimensionale appare una sfera (tridimensionale) che gli abitanti possono vedere solo come fosse un cerchio.

Un fortunato quadrato riesce grazie alla sfera a vedere il mondo dall’alto (concetto inimmaginabile per un abitante di una realtà due dimensioni). Quando racconta che il mondo che gli altri vedono è solo una porzione della realtà viene imprigionato per eresia e creduto folle.

Per gli abitanti di linealandia è impossibile vedersi dall’alto e non sanno di essere cerchi,  quadrati, triangoli o pentagoni…

Il non poter vedere una situazione in cui si è immersi, e che si da spesso per scontata, porta a considerare soluzioni già sperimentate e tradizionali come uniche possibili.

È una condizione simile a quella che il filosofo Timothy Morton individua quando ci descrive come inseriti all’interno di quelli che lui chiama “iperoggetti”[2]. Si tratta di eventi caratterizzati da viscosità (ci si appiccicano addosso), non localizzabili (avvengono allo stesso tempo in ogni parte del mondo e da nessuna parte in patricolare), soggetti a ondulazioni temporali (non seguono uno sviluppo cronologico lineare, ma si verificano con moto ondoso), che si manifestano per fasi distinte (quindi appaiono e poi scompaiono fino alla fase successiva) e caratterizzati da interoggettività (stanno dunque tra le cose, e ne costituiscono la maglia). Il cambiamento climatico, dice Morton, è l’iperoggetto per eccellenza.

I bambini, che non hanno ancora risposte precostituite, sono più abituati al cosiddetto pensiero laterale: l’attitudine a guardare le cose in un modo nuovo e diverso, in qualche maniera a guardarle dall’esterno.

Guardare dall’esterno è anche il gesto del pittore che si allontana dalla tela per guardare, con un veloce sguardo d’insieme la sua opera, per poi potercisi ri-immergere per aggiungere una pennellata proprio nel punto giusto. Avere una visione totale ed esterna permette di pianificare (pensate alle mappe) e prendere decisioni più coscienti e, in definitiva, a poter creare in maniera consapevole.

Questa immagine del pittore che si allontana dalla tela per aver una visione d’insieme potrebbe essere assimilata a quella di Dio all’interno di quel sistema tratteggiato da Gottfried Leibniz, matematico e
filosofo del ‘600, nella Monadologia[3],  una delle sue opere più celebri. In questo testo formula la teoria delle monadi quali forme di cui è composta la nostra realtà. Le monadi sono assimilabili ad “atomi spirituali”: eterni, indivisibili, individuali, che seguono le proprie leggi, senza ma interagire con le altre, perché senza finestre.

Ogni monade riflette dentro di sé l’intero universo da un determinato e unico punto di vista ed è coordinata con le altre per mezzo di un’armonia prestabilita. Ogni monade, contenendo in sé tutto l’universo, è pertanto tutte le altre, ma con infiniti e diversi gradi di consapevolezza in quanto percepisce sì l’intero universo, ma in modo confuso, mentre appercepisce (ovvero, è conscia di percepire) solo la parte dell’universo più vicina a sé. Una visione totale dell’universo e della realtà nella sua complessità è pertanto loro negata: proprio come avviene a ciascuno di noi, chiuso nella propria personale visione e percezione del mondo, a cui manca sempre una dimensione come nel caso del romanzo di Abbott. Oppure siamo talmente immersi negli iper-oggetti descritti da Morton, da non riuscire a staccare il pennello dalla tela e distanziarci dal quadro per aver quella visione di insieme necessaria per creare in modo consapevole.

Certamente, neanche i bambini sono in grado di avere una visione totale ma, perché meno incastrati all’interno di sovrastrutture storiche e culturali, potrebbero anche essere più capaci di spalancare le finestre, uscire fuori ed emozionarsi ad ogni incontro, proprio come il Quadrato di Flatlandia.


[1] E.A.Abbott, Flatlandia, Adelphi, 1993.

[2] T. Morton, Iperoggetti, Nero, 2018.

[3] G.L.Leibniz, Monadologia, Bompiani, 2001.