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Stelle erranti

Intervista a Federica Duras

Di che cosa si occupa l’INAF?

L’INAF è l’ente italiano per lo studio dello spazio – il nome sta per “Istituto Nazionale di AstroFisica” – e si dedica all’esplorazione dello spazio a 360 gradi. Si articola su tutto il territorio italiano, con sedi sparse da nord a sud, isole comprese, ognuna diversa dall’altra: alcune hanno un approccio più teorico, mentre in altre, come la mia, ci si dedica proprio alla costruzione degli strumenti che poi volano a bordo di missioni spaziali importanti.

Qual è il stato il tuo percorso personale che ti ha portato qui?

Io sono arrivata all’INAF durante la tesi magistrale, che ho fatto all’Osservatorio astronomico di Roma e per la quale mi occupavo di buchi neri attivi, quindi galassie attive “Agn”. Ho lasciato l’INAF durante il dottorato e ci sono tornata successivamente, dopo aver lasciato la ricerca, nell’ambito della divulgazione.

Che cosa fa una divulgatrice all’INAF?

Possiamo dire moltissime cose! Il lavoro della divulgatrice è così variegato e soddisfacente che non mi ha mai fatto rimpiangere il fatto di aver lasciato la ricerca. Quello che faccio comprende attività con i bambini e con le scuole, la scrittura per la testata dell’INAF, EduINAF, il magazine dedicato alla didattica e divulgazione dell’INAF, di cui appunto mi occupo e con cui collaboro, le dirette di tipo astronomico che conduco con l’ausilio di telescopi dell’INAF, gli eventi scientifici, le mostre, e tanto altro.

Qual è il tuo approccio quando lavori con i bambini? Vuoi darci un assaggio di quello che avviene quando conduci laboratori che hanno quindi lo scopo di incuriosire e appassionare il pubblico dei più piccoli?

Le attività con i bambini sono tra le più belle, proprio perché i bambini non sono professionisti né hanno quelle conoscenze di base che caratterizza gli adulti. I bambini hanno un’innata curiosità, che ci impone di non “insegnare” loro niente. Durante le nostre attività, dobbiamo ricordarci che non siamo a scuola e che il nostro obiettivo non è che, una volta finito il laboratorio, tornino a casa con un x numero di nuovi dati o contenuti appresi, ma che escano contenti dell’esperienza fatta e ancora più incuriositi di quando sono entrati: il bagaglio di curiosità con cui sono arrivati deve essere portato via non svuotato, ma ancora più pieno di prima, così da dare loro il motore per voler esplorare ancora dell’altro. La cosa più bella di queste attività è quando riconosci nei volti dei bambini lo stupore e il desiderio di scoprire, per esempio, una nuova costellazione nel cielo.

Quando pensiamo al cielo, ci vengono in mente principalmente esplorazioni notturne, ma credo anche di giorno si possa fare molto. Vuoi darci qualche suggerimento, qualche strumento che i nostri lettori possano mettere in pratica?

I laboratori che si possono fare con i bambini a proposito del cielo sono moltissimi. Gli ultimi che abbiamo fatto sono quelli relativi alla mostra dell’INAF che ha inaugurato il 25 novembre e che sarà aperta al pubblico fino al 24 marzo. La mostra è dedicata a Linux e, più in particolare, alle macchine del tempo, che per noi astronomi sono i telescopi, strumenti che ci permettono di guardare indietro nel tempo.
A corredo della mostra sono proposte moltissime attività laboratoriali, dedicate ai bambini e, più in generale, agli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. Nel corso della visita guidata, già raccontando delle macchine del tempo, per esempio, facciamo giocare i ragazzi con i concetti di scale e distanze e proponiamo un laboratorio che permette di comprendere le dimensioni dei pianeti, in scala, all’interno della mappa di Roma. È molto divertente vedere le classi, soprattutto quelle romane, in questo caso, riconoscere il loro pianeta preferito nel loro garage o vicino al giardino di casa.
Un altro laboratorio molto carino è quello di costruire le costellazioni più note utilizzando opportuni stuzzicandenti, così da far capire ai bambini e alle bambine che in realtà le stelle che le compongono non sono poi così vicine. Ad ogni modo, come dicevi tu, il cielo non si guarda soltanto di notte e, per questo, un altro laboratorio prevede la costruzione (e la prova) di un telescopio col cartoncino. Un’altra attività è finalizzata invece alla costruzione di uno spettroscopio con un vecchio CD-ROM. 

Se chi ci legge fosse interessato a scoprirne di più, può trovare quasi tutte le attività che proponiamo sul portale di EduINAF, dove troveranno la sezione “INAF on line LAB” e anche la mia mail. È una finestra che abbiamo aperto durante la pandemia, ma che continua a funzionare molto anche ora, proprio perché ci permette di raggiungere scuole che non possono raggiungerci fisicamente.

L’immagine che abbiamo dello spazio e del cielo è erroneamente bidimensionale. Abbandonare questa dimensione e abbracciare con consapevolezza la tridimensionalità dev’essere qualcosa di magico, un’esperienza immersiva…

A questo scopo disponiamo di uno strumento molto funzionale: il kit “Pianeti in una stanza”, inventato dall’associazione Speak Science in collaborazione con molte altre realtà (Euro Planet Society, l’ENAV e l’Università di Roma Tre). Anche le scuole possono costruirsi il proprio kit, che richiede una sfera da esterno (di quelle acquistabili da Leroy Merlin), luci e un proiettore: basta questo per vedere proiettati su una sfera i principali corpi celesti che siamo abituati a vedere stampati su carta. Vedere in forma tridimensionale un pianeta come Giove con la sua macchia rossa o anche la nostra Terra con tutta l’acqua desta stupore tanto nei grandi quanto nei bambini.
“Pianeti in una stanza” è uno strumento che utilizziamo nelle scuole e nei festival scientifici ed è un meraviglioso stimolo per il racconto di storie, che credo sia il centro del mio lavoro di divulgatrice: creare delle narrazioni capaci di affascinare e di rendere la scienza, che non è solo un contenitore di numeri e formule, accessibile a tutti.

È vero. La scienza, per essere comunicata, ha bisogno di una narrazione che tenga conto della storia che le scorre dentro, della progressione che ha portato, per esempio, ad alcune dimostrazioni che oggi noi riteniamo dei dati assoluti. Se raccontassimo le vicende umane, gli errori, le esperienze che vivono nella scienza, la renderemmo un mondo più avvicinabile, in cui magari possiamo immaginare di portare un nostro contributo.

Quanto sia importante sbagliare è qualcosa che mi capita spesso di sottolineare nei laboratori. Quando un bambino non riesce a ottenere il risultato o magari sbaglia anche solo a tagliare un cartoncino e si sente un po’ deluso, io dico sempre che anche lo scienziato, che ha studiato e sa un sacco di cose, non per questo è in grado di sapere e realizzare tutto. Se pensiamo, per esempio, che la comunità scientifica ancora non sa come sia nato l’Universo, ci rendiamo conto che, mentre sappiamo costruire telescopi potentissimi, d’altra parte ci manca proprio la nozione di base, forse la più importante. Io incoraggio i bambini a sbagliare: ricordo sempre loro che è dall’errore che possono nascere nuovi approcci e nuove, bellissime idee.

C’è un episodio o un aneddoto che vuoi raccontarci come esempio di ciò che dici?

Mi viene in mente l’episodio che riguarda la costruzione del telescopio. Il protagonista è un simpatico astronomo del 1700, pronto a tutto per studiare Venere, un pianeta molto complicato da osservare, perché circondato da un’atmosfera molto densa. Inoltre, era interessato a scoprire il più possibile delle distanze tra i corpi celesti, di cui all’epoca si sapeva ben poco. L’episodio è molto buffo, perché, per tutta una serie di sfortunati eventi, il nostro astronomo non riuscirà a raggiungere il suo obiettivo. Proprio la sua storia, però, ci insegna che la curiosità ripaga sempre, perché, nel cercare di scoprire ciò che voleva, ha fatto moltissime altre scoperte, con cui ha saputo, seppur inconsapevolmente, aiutare gli scienziati che sono venuti subito dopo di lui.