Tipografie
Laboratorio a cura di Elena Turetti
Siamo partite dall’inizio, abbiamo messo in discussione tutto, e ci siamo fermate ad ogni passo.
Ci ha guidato la volontà di non dare per scontato quel che facciamo ogni giorno, usare e mettere al mondo parole, dette, scritte e lette.
Abbiamo cercato uno spazio in cui queste tre movenze, molto umane – dire, scrivere, leggere – potessero essere osservate in ogni loro parte.
Sono azioni – dire, scrivere, leggere – che hanno un che di familiare, di abitudinario, di usuale e che fanno sembrare la parola una materia docile.
Docile, ma non per questo innocua.
Ci ha guidato la fiducia che disegnarci su misura le parole come gli abiti sarebbe stato bello e divertente.
Abbiamo così messo sul tavolo tutto quanto (o quasi) sta tra noi e la volontà di dire, scrivere e leggere una parola.
L’alfabeto
L’alfabeto è una tecnologia spaziale, visiva, riproducibile, standard.
Le Lettere
Le lettere stanno in uno spazio continuo e connesso che presuppone un incedere e una direzione, quelli della scrittura e della lettura.
Le lettere sono innanzitutto una traccia, un’impronta.
L’impronta è fisica, è un’impressione, leggera o pesante, definitiva o cancellabile.
In un museo tipografico, le parole sono prima cose che stanno in mano, di legno o ghisa, e poi tracce.
La lettera è una traccia che posso vedere o posso leggere.
Se la leggo, è un codice pieno di regole.
Se la vedo e basta, la disegno.
Se la leggo ad alta voce, decifro un codice, ma non solo, produco un suono.
Se la traccio o scrivo metto in gioco lo spazio del foglio, la pagina.
Un percorso a tappe
Abbiamo costruito un percorso a tappe. Ogni tappa si è trasformata in un’esplorazione alla luce della quale affrontare l’esplorazione successiva.
Ignorando quella ancora dopo. Consideriamo il lavorare alla cieca, all’insaputa di quel che verrà poi: una condizione di apprendimento davvero preziosa, per tutta una serie di motivi.
1. Tracce
Le tracce sono disegni indiretti,
un insieme eteroclito di materiali e di oggetti.
Inchiostro da stampa o colore,
un tampone per ciascun colore,
un foglio lungo e largo quanto il tavolo su cui si lavora.
Impregnare i materiali o oggetti d’inchiostro o colore.
Imprimere la traccia sul foglio bianco.
Tracciare.
Guardare attentamente le tracce lasciate.
Imprimere una prima volta,
poi una seconda
poi una terza e così via,
sino a che non c’è più colore.
Riconoscere le differenze, le variazioni.
Scegliere la traccia che si considera più interessante
per ogni materiale od oggetto impresso.
2. Lettere
Un volume di polistirene o altro materiale solido facilmente tagliabile,
un po’ più grande della tua mano,
un taglierino,
inchiostro da stampa,
tampone.
Il pieno è il nero,
il vuoto è il bianco.
Iniziare a togliere materia,
a svuotare il volume.
Controllare il lavoro
impregnando il volume rimasto d’inchiostro
e imprimendone la traccia sul foglio bianco.
Andare avanti sino a che vi sembrerà impossibile togliere altra materia.
Guardare le tracce tutte insieme.
Forse si è creato un nuovo alfabeto?
3. Carattere
Dentro un museo tipografico
davanti a una cassettiera piena di caratteri tipografici
le parole astratte
sono prima cose
che potete maneggiare
e poi tracce.
Anche lo spazio bianco e l’interlinea sono delle piccole o grandi barre metalliche. Pensare un ultimatum:
un ultimatum ha un verso e uno o più destinatari
ma non un solo tono.
Cercare i caratteri e le parole per dirlo.
Comporre il messaggio nello spazio del telaio tipografico
disponendo caratteri e spazi bianchi.
Inchiostrare e passare nel torchio,
il torchio riproduce l’ultimatum
che ora occupa lo spazio bianco di un foglio.
State usando al tempo stesso disegno e codice?
Come volete dirlo e cosa volete dire coincidono?
Avete cercato di trasferire al destinatario un significato preciso usando sia il codice sia il disegno?
Il media è il messaggio, qui più chiaramente?
La parola è viva.
La parola, uscendo da noi, va in pasto agli altri, che vi vedono altre tracce.
Diventa un discorso, si dipana, si apre. Basta un motivo, un invito, un incipit, una sollecitazione.
Appena la metti al mondo, diventa un terreno di confronto. Lì, ti misuri con le tracce d’altri. Inneschi storie altrui, trovi la tua posizione, ti alleni a dire, aspetti, ascolti.
La parola è viva.
Siamo fatti di parole, raccontiamo storie continuamente, raccontiamo storie per scoprire chi siamo, diamo forma a noi stessi raccontando storie, per spiegarci il mondo, per incontrare gli altri, per dire la nostra.
Se per qualcuno la parola è una conquista, servono traduttori.
La traduzione è una forma di riscrittura.
Questo percorso, concepito e curato da Sara Galli ed Elena Turetti, è nato in risposta a Zeus!, rivista mutante, editata da Il Cardo da più di 15 anni, alla cui redazione partecipano persone diversamente abili ed educatori.
Il Cardo è una cooperativa sociale sui generis, che è più facile incontrare che spiegare, perché proprio non riesce a stare tra le righe. Zeus! è una magnifica macchina di traduzione da cui nascono testi spiazzanti, inquieti, strampalati, ironici, dissacranti. Come tutte le macchine di traduzione ogni tanto ha bisogno di essere revisionata. Ma non tutte le macchine vengono smontate da cima a fondo e rimontate in maniera sempre diversa.
Elena Turetti, dopo una lunga esperienza come docente, dal 2009 si occupa di progettazione in ambito culturale. La volontà di spingere la sperimentazione sempre un po’ oltre, provare nuove strade per fare educazione e nuovi modi per costruire cortocircuiti tra i contenuti e le modalità di apprendimento, lavorando sempre e comunque in équipe multidisciplinari, connota e qualifica il suo modo di lavorare. Considera l’educazione uno dei principali strumenti critici a sua disposizione, che le consente di guardare avanti e anzitempo ai cambiamenti della società civile e del suo rapporto con il paesaggio. A tale scopo nel 2017 ha creato SPICCA, un laboratorio permanente dedicato alla concezione e sperimentazione di progetti di educazione.