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Toccare l’ozio con mano

Lente riflessioni… per far lievitare la creatività

A cura di Monica Gilli

Il periodo estivo, con i suoi tempi rallentati, la sua calura e le pause dal lavoro e dalla scuola invita al riposo, alla leggerezza, all’ozio.

Ma cosa significa questa piccola parola con la zeta di zanzara al suo interno? L’ozio è fastidioso e ci punzecchia o ci avvolge lentamente nelle sue brame? E quali sono i suoi sinonimi?

L’ozio è un non fare tanto discusso e giudicato nei tempi moderni perché si contrappone all’azione. Quest’ultima è un fare che nel corso della storia si è associato al produrre e quindi al lavoro inteso come strumento necessario per nobilitare l’uomo, per mantenere vitale la produttività, per permettere una continua evoluzione all’umanità.

Nell’antichità, all’epoca dei Romani, l’ozio invece veniva considerato un tempo indispensabile per nutrire l’animo e riposare.

L’etimologia della parola ozio si contrappone a quella di negozio. Buffo vero? Utile però per comprendere immediatamente quanto il non fare sia contrapposto al produrre, al vendere e comprare. Ozio deriva dalla parola latina otium, che sta per autium-av-eo (ave) che significa: Sto bene.

L’ozio è pertanto un riposare dalle occupazioni che non deve divenire però un vizio, ovvero l’abitudine a non far nulla.

L’ozio è anche considerato sinonimo di noia, che presenta una sfumatura di significato psicologicamente più negativa.

Se un bambino si annoia è necessario correre ai ripari e aiutarlo ad uscire da questa situazione di stallo. Infatti, è proprio nel periodo dell’infanzia che si inizia ad associare alla noia, al non far nulla, un sentimento di vuoto che ci destabilizza, che ci fa sentire a dis-agio. Ma siamo proprio sicuri che sia necessario intervenire?

Ron Arad, noto designer e artista israeliano, disse un giorno che “la noia è la madre della creatività” e il famosissimo filosofo Friedrich Nietzsche scrisse “l’ozio è il padre della filosofia”.

Ecco che i grandi pensatori ed artisti ci autorizzano a provare questo esperimento molto difficile del non far niente, promettendoci grandi sorprese. Non ci resta che sperimentare un po’ di sano ozio.

Come si fa?, chiederete. In effetti non è per niente facile provare a non far nulla, soprattutto se siamo abituati a riempire il nostro tempo di attività. Ecco che la prima cosa che potremmo fare, allora, è quella di non trovare nuove cose da fare. Provare a lasciare spazio e tempo tutto per noi e per l’ozio.

L’estate e, soprattutto, la natura ci possono aiutare in questo. Gli spazi aperti, il mare o le montagne invitano i nostri sguardi a vagare senza cercare un focus attentivo specifico.

Proviamo poi a lasciar fare ai gesti. Rallentiamo i movimenti e lasciamo che le mani inizino a giocherellare con gli oggetti naturali che incontriamo casualmente accanto a noi.

Facciamo spazio, creiamo un vuoto. Per accogliere cosa?

Bruno Munari, in un libro che racconta la fantasia, ci invita a dare spazio a facoltà umane come l’immaginazione e la fantasia, che sono proprio i motori di avviamento della capacità di inventare e creare. Ecco allora che il posto lasciato vuoto si riempie senza una volontà produttiva, ma semplicemente generativa, molto appagante.

Per i bambini essere lasciati ad oziare significa spesso permettere loro una naturale ed altrettanto vitale possibilità di inventare nuovi giochi, di stare con i propri pensieri, di immaginare il proprio futuro.

Il gioco, potremmo dire, è figlio dell’ozio! Ora abbiamo tutta una famiglia di facoltà umane da sperimentare, in assoluta libertà.

Sì. Perché il gioco, per natura, possiede molte caratteristiche associabili alla condizione iniziale dell’ozio.

“Il gioco risulta essere un’attività propriamente umana e particolarmente legata al mondo dell’infanzia, legata alla sfera del divertimento e dello svago, che provoca piacere ed è espressione di creatività e regno della fantasia. È un’attività libera, nel senso che viene liberamente decisa dai giocatori poiché non è necessaria all’adempimento dei bisogni primari, quindi può essere scelta o evitata. È un’attività circoscritta da regole che ne determinano gli obiettivi… il gioco appare come il regno della finzione, della rappresentazione, della simulazione.”
Antonacci F. 2012, Puer Ludens. Anitmanuale per poeti, funamboli e guerrieri, Franco Angeli

Oziare e giocare diverranno due esperienze generative di nuove ed inedite possibilità.

Se questo esperimento risultasse troppo difficile, troppo lontano da un fare rassicurante, il consiglio è quello di chiedere aiuto alle mani.
Sì, avete capito bene! Proprio alle mani, alle dita, alla loro capacità di giocherellare con le cose, di percepire al tatto sensazioni interessanti, di infilare, scavare, toccare, arrotolare, premere e lasciare, contenere e non per ultimo pizzicare, strappare e schiacciare.
Insomma, la proposta è quella di mettere le mani in pasta, ovvero toccare con mano l’ozio e provare a prendersene cura.

Un’esperienza che ci può aiutare a sperimentare un tempo libero, vuoto, lento e generativo può essere quella di provare a fare il pane partendo da niente. E come si fa?

• 1 •

Anzitutto, ci si mette in ricerca di una fonte d’acqua dolce. Portate con voi una borraccia e attingete direttamente a una fonte l’acqua pura che è l’elemento primario, insieme alla farina, per fare un buon pane.

• 2 •

Successivamente, procuratevi della farina (se proprio volete essere puntigliosi potete cercare un mulino o un fornaio disposto a vendervi un po’ di semola o farina bianca biologica, buonissima anche quella integrale!).

• 3 •

Eccoci ora alla fase più complessa, ma anche capace di regalare maggior soddisfazione. Andate alla ricerca di qualcosa di acido. Un attivatore di micro-organismi può essere dello yogurt o un frutto o un pomodoro molto maturo, della birra o del formaggio.

• 4 •

Preparate ora un impasto di farina e acqua e aggiungete il succo dell’ingrediente attivatore. Fate una pallina con le mani e impastate a lungo, con calma, senza pensieri, con cura.

• 5 •

Quando la vostra pallina avrà assorbito parte della vostra energia vitale e tutti e tre gli ingredienti principali si saranno ben amalgamati, riponetela in una tazza di ceramica.

• 6 •

Anche in questo caso fate una ricerca della tazza adatta nella vostra casa (quella della nonna, un po’ sbeccata, dove si metteva il caffelatte con il pane ad inzuppare, potrebbe essere l’ideale) e ponete lì la vostra pallina di lievito madre. Copritela con un piattino e aspettate

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Nel frattempo oziate un pochino, riposate, giocate molto e andate di tanto in tanto a controllare.

• 8 •

Dopo alcuni giorni, come per magia, vedrete il vostro impasto ingigantirsi!

Prima di essere pronto per essere utilizzato per fare il pane dovrete rinfrescarlo un po’ di volte, ossia aggiungere nuova acqua e nuova farina e lasciare lievitare ancora. Procedete così, rinfrescando la pasta madre ogni giorno per sette giorni.

• 9 •

Al termine di questo tempo il vostro lievito madre sarà pronto per cucinare un pane profumatissimo e molto digeribile.

“Il non fare nulla è la cosa più difficile del mondo” dice Oscar Wilde. Non vi resta che provare.


Notizie curiose sulla pasta madre

Il lievito madre, o pasta acida, ha origini molto antiche. Si narra che in Egitto venne lasciato un pezzo di pane azzimo al sole e questo fermentò diventando più gonfio e morbido, invitando gli antichi egizi ad aggiungerne una parte al nuovo impasto.
Nelle regioni contadine del sud Italia, la pasta acida veniva regalata come dote alla sposa. Questo perché in ogni famiglia, la madre preparava questo lievito naturale e lo conservava per tutta la vita, rinfrescandolo ogni settimana, per produrre il pane.
Il lievito naturale era considerato un dono prezioso per la sposa e un simbolo di fertilità e buon auspicio.


Monica Gilli è maestra d’infanzia e allieva dei bambini, pedagogista critica e sognatrice, sempre in movimento e alla ricerca di significati e storie da raccontare.