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Tra dire e fare c’è di mezzo… la nascita

a cura di Monica Gilli

C’è un momento che precede l’atto del venire al mondo. Questo momento di trepidante attesa, di sospensione, di silenzio, racchiude e dischiude la possibilità di percepire la nascita in tutta la sua valenza simbolica; per alcuni, spirituale e mistica.
Restando entro un’ottica pedagogica e didattica ma, soprattutto, sostando in questo tempo complesso di pandemia, noi insegnanti ed educatori sentiamo la necessità di trovare spazi e momenti di silenzio per poter dare voce ai dubbi, alle incertezze, alle fatiche di una scuola al tempo del Coronavirus.
Pensare il silenzio come ad un luogo e un tempo contenitivi e riflessivi, altresì fecondi, potrebbe essere un modo per iniziare a riflettere sulla scuola ritornando alla sua essenza. Si eserciterebbe così un pensiero sottrattivo utile a fare chiarezza e a rendere possibile un nuovo vigore pedagogico e una rinascita.
Proviamo, pertanto, a utilizzare il concetto e la simbologia della nascita come chiavi di lettura e interpretazione di pensieri educativi e didattici.


L’atto della nascita è un evento potente e progettuale, è un’esperienza che ognuno di noi ha vissuto in prima persona ma che non si ricorda. Tutti siamo nati, ma nessuno è in grado di raccontare la propria nascita. Per fare questo è necessario l’Altro. 

Per questo la nascita è un evento fortemente relazionale, che chiama una comunità di persone ad assistere per poi narrare e tramandare nel tempo.

Anche la scuola è una comunità costituita da persone in relazione tra loro e, anche se le scuole sono in parte chiuse, anche se nelle aule il silenzio prende il posto del vociare dei ragazzi, dell’insegnante che spiega la sua lezione, delle sedie che sfregano sul pavimento, anche se chi è a scuola è costretto a restare nella propria “bolla di sicurezza”, a chiudersi in spazi pre-definiti, a restare al banco o alla cattedra, a rispettare le distanze, è importante che non si perda di vista il valore delle relazioni, dell’essere comunità educante e che apprende.

La scuola è anzitutto relazione, questa è la sua essenza e questo è un primo pensiero da custodire e da condividere per strutturare insieme agli altri insegnanti e/o educatori momenti di pura, semplice, nutriente, relazione.


La nascita è un evento di libertà. È la filosofa Hannah Arendt che ce lo spiega nel suo profondo lavoro Vita activa. La condizione umana. La nascita è un evento di autoaffermazione libera. Alla natalità è strettamente collegata la possibilità di azione per ognuno di noi.

Agire è dichiarare il proprio essere nel mondo, è dare inizio, pro-gettare qualcosa di nuovo, di inedito. L’azione è un gesto, una parola nati in funzione della realizzazione di un pensiero progettuale. Quando agiamo siamo liberi, esercitiamo una condizione politica, intesa nell’accezione classica.

Esercitiamo un potere di cambiamento della realtà, dichiariamo chi siamo e ci poniamo entro un dialogo con gli altri attori.

L’azione è anche un potente antidoto per la paura. Una paura che serpeggia ogni giorno, amplificata dalle numerose notizie, informazioni o fake news, da dati statistici e regole necessarie al contenimento del virus, ma non dell’angoscia.

Come vincere, o almeno, attenuare questa inquietudine quando si “fa” scuola? Come trovare parole e azioni utili a superare la paura? 

Una risposta possibile potrebbe essere quella di sperimentare un’azione riflessiva, ovvero capace di tenere la mente attiva e presente nel qui e ora dell’attività didattica o educativa proposta, cercando di viverla immergendosi nella situazione, nei dialoghi e nei processi di apprendimento che in essa si generano e nascono.

Un’azione capace di fare nel mentre
In quel mentre dell’ascolto delle parole, delle vicende quotidiane che inevitabilmente entrano a scuola. Un fare capace anche di ascoltare il sentire emotivo. La paura senza azione paralizza, crea panico. Fare e far fare ai nostri alunni e bambini ci aiuta a vivere nel presente e a trasformare i pensieri in concreti antidoti.


Infine, ma non in ultimo, il tema della nascita si offre a una riflessione riguardo la responsabilità della venuta al mondo.

La nascita è anche un atto doloroso, è l’alba che squarcia il velo dell’oscurità, direbbe Maria Zambrano, accecando. Nascere, secondo la filosofa spagnola, è anche apparire in un modo non con-formato. Nascere è una promessa che va mantenuta per tutto il corso della vita, ma è anche la grande possibilità di dis-nascere verso più direzioni, ovvero di nascere più volte costruendo continuamente la nostra struttura identitaria.
Questo suggerimento filosofico può essere utile anche per ragionare sull’identità della professione educativa, sulla sua deontologia e sull’etica, permettendo a noi insegnanti ed educatori di poterci immaginare in vesti differenti, dove la sostanza non è più combaciante con la forma, ma con l’essenza.
Ragionare sull’identità educativa e docente ci aiuta a ritornare all’essenza del lavoro a scuola a ciò da cui non si può prescindere. Questa riflessione aiuterebbe chi crede ancora che la scuola sia un luogo fisico entro cui si “indossa” il proprio ruolo a comprendere che la scuola è dove siamo noi, in relazione con i nostri alunni a conoscere e a meravigliarsi della bellezza e della potenza trasformativa dell’apprendimento.


Qual è allora l’essenza del fare scuola oggi? E in che modo è possibile immaginare una scuola che nasce, ri-nasce e dis-nasce come chi la abita è invitato a fare?
Questa esperienza pandemica ci chiama e ci offre a una pan-patia[1] ovvero a vivere tutti (e con tutti ci si riferisce davvero all’umanità intera) la stessa esperienza, il medesimo evento, insieme.
Un evento che chiama ognuno all’etica della responsabilità. Ogni giorno, nei contesti educativi,  incontriamo coloro che in futuro, dopo di noi, vivranno il pianeta. Architetti, muratori, camerieri, poeti, contadini, musicisti, insegnanti, commercianti, scrittori, panettieri, medici, etc. (ovviamente declinando in entrambi i generi!). 

Il prof. Mantegazza a riguardo dice: “insegniamo educazione civica parlando del senso di responsabilità che mai come in questi giorni sembra avere diviso l’Italia tra chi lo possiede e chi lo ignora. Se tutto ciò che studiamo e facciamo non è fatto e studiato per l’umano, allora non serve a niente, anzi serve ad asservirci”.[2]

Un augurio a tutti noi insegnanti, oggi più che mai, potrebbe essere quello di assumerci, nuovamente, ancora e ancora una volta, la nostra responsabilità; faticosa sì, ma sensata, di vivere la scuola pensandola come luogo di crescita per sguardi, corpi, parole, voci, mani, capelli, pensieri, odori, emozioni, sogni, paure, curiosità. Una scuola per l’umanità.
Quando un bambino nasce, con il suo corpo umano nudo in bella vista, chiama chi lo accoglie tra le sue braccia ad assumersi una responsabilità.
La responsabilità di proteggerlo, prendersi cura di lui, rispettare la natura che è al mondo prima di noi e che lo regola, riconoscere e rispettare le sue regole. Insomma, insegnargli solo a stare al mondo.


Piccola bibliografia

Mantegazza R. “La scuola dopo il Coronavirus”, Lit Edizioni, Roma, 2020

Mancino E. “Lì dove ci incontriamo. Appunti per una pedagogia dell’imprevisto” Cafagna Editore, Barletta, 2020

Arendt H. “Vita activa. La condizione umana”, Giunti ed./Bompiani, Firenze, 2017

Zambrano M. “Per l’amore e per la libertà”, Marietti, Genova, 2008


Monica Gilli è maestra d’infanzia e allieva dei bambini, pedagogista critica e sognatrice, sempre in movimento e alla ricerca di significati e storie da raccontare.


NOTE
1. Mancino Emanuela
2. Mantegazza R. La scuola dopo il coronavirus, 2020, Lit Edizioni