Intervista a Stefano Fregonese
Una città, prima di tutto, è un insieme di persone che decide di vivere in una comunità più o meno grande. Solo una minima parte delle persone che vivono in città, però, partecipa attivamente al processo decisionale che le riguarda: tra gli esclusi spiccano sicuramente i bambini.
Al fine di sanare questa falla democratica molti comuni si sono impegnati nel favorire la collaborazione tra le scuole e le amministrazioni e, per incentivare e stimolare la partecipazione delle bambine e dei bambini nelle decisioni della città, hanno istituito i Consigli Comunali dei Giovani.
Era il 20 novembre 1989 quando a New York nasceva l’idea di un simile consiglio: lo stesso periodo in cui in tutto il mondo 196 paesi, tra cui l’Italia, firmavano la “Convenzione sui Diritti del Fanciullo”, che, oltre a fissare i principi fondamentali a tutela delle bambine e dei bambini, promuove la partecipazione dei più piccoli nelle istituzioni.
I Consigli Comunali dei Giovani, composti da bambine e bambini nominati in ogni scuola aderente al progetto a rappresentare i compagni, possono proporre iniziative e respingere o accettare proposte, ma solo se riguardanti specifiche tematiche, come lo sport, gli spettacoli o la scuola, che gli adulti riconoscono di loro competenza. È evidente che i temi su cui bambini e ragazzi sono chiamati a esprimersi sono molto limitati e, soprattutto, sono scelti dagli adulti. Che cosa accadrebbe, invece, se si interrogasse il punto di vista dei bambini per riflettere e indirizzare anche altre decisioni – piani urbanistici, bilanci, riconversioni, strategie turistiche… – che inevitabilmente coinvolgono i più piccoli?
È proprio da questa domanda che, a cura della cooperativa Spaziopensiero con la collaborazione del Comune di Milano, è nato il progetto ConsigliaMI.
Per capire di che cosa si tratta abbiamo parlato con Stefano Fregonese, anima del gruppo, che il 22 maggio 2019 ci ha accolto nel suo spazio e ci ha introdotto al concetto di Parametro Bambino. Questa conversazione e la lettura di suoi numerosi scritti sull’argomento sono alla base dell’articolo che state per leggere.
ConsigliaMI è un progetto nato nel 2015 a cura della cooperativa milanese Spaziopensiero, un gruppo di psicologi, psicoterapeuti, sociologi ed educatori guidato da Stefano Fregonese, che opera con i bambini.
ConsigliaMI nasce dall’esigenza di ripensare i tradizionali Consigli municipali delle bambine e dei bambini trasformandoli in nuovi spazi di scambio e di riflessione, in cui adulti e bambini dialogano mettendosi sullo stesso piano, ascoltandosi e ragionando insieme sui reali bisogni di entrambe le parti all’interno degli spazi cittadini.
Ma come si fa a coinvolgere bambini e ragazzi in un percorso che sia davvero co-partecipato, ricorrendo a un linguaggio che sia loro comprensibile e che non risulti imposto o calato dall’alto dal mondo adulto?
Uno dei primi strumenti proposti per indagare nuove metodologie di partecipazione è stato un esercizio di immaginazione che, come diceva Einstein, è più importante della conoscenza stessa. Durante i laboratori i bambini sono stati invitati a ragionare sull’idea di modello di città attraverso i mattoncini lego: pensare e ragionare è molto più facile quando si usano le mani. Lo affermava la stessa Maria Montessori, quando diceva che: «l’esperienza manipolativo-sensoriale, tipica della produzione artistica, assume un ruolo centrale in chiave evolutiva e la mano può essere considerata una sorta di “protesi” della mente». Ragionare attorno a un modello ha permesso di superare la contingenza di ciascuna realtà, permettendo di partire dall’immaginario e dall’esperienza dei bambini stessi che, in quanto cittadini già di oggi e non solo di domani, devono essere forniti degli strumenti adeguati perché la loro partecipazione sia davvero reale e non fittizia o posticipata in un futuro ipotetico e lontano.
È proprio a partire da queste premesse che, come spiega Stefano Fregonese, nei Consigli di zona si introduce il cosiddetto parametro bambino, ovvero il principio secondo cui si assume che ogni soluzione tesa a migliorare la qualità della vita dei bambini migliorerà la qualità della vita di tutti.
a scelta di assumere il bambino come unità di misura ha implicazioni non solo sulla relazione tra adulto e bambino, ma in particolare sulla relazione educativa, sulle relazioni sociali, sulle scelte culturali, sulla modellazione dell’ambiente fisico, ma anche sullo sviluppo psichico individuale e collettivo di entrambi. Visto in questa prospettiva, il parametro bambino dovrebbe essere un principio da assumere e difendere, un punto di riferimento in relazione al quale orientare gli sforzi progettuali, il desiderio di cambiare noi stessi e il mondo in cui viviamo.
Secondo Fregonese, assumere il parametro bambino sarebbe come gettare un sasso nello stagno della relazione educativa, poiché provocherebbe una serie di onde che, propagandosi, andrebbero a determinare in modo dinamico dei cambiamenti sui diversi livelli del mondo interno ed esterno, tanto del bambino quanto dell’adulto: una dopo l’altra, le onde genererebbero mutamenti nell’ambiente, dapprima in quello circoscritto della classe, poi in quello dell’intero istituto, coinvolgendo l’équipe dei docenti e l’organizzazione scolastica, e infine in quello della più ampia rete sociale.
Se guardiamo alla storia recente della pedagogia, constatiamo che questa utopia è stata più volte enunciata. In modi diversi, enfatizzando aspetti differenti, l’essenza del messaggio è la medesima nell’approccio educativo di Maria Montessori, di Don Milani, di Mario Lodi, di Loris Malaguzzi, fondatore del collettivo di Reggio Children, di Bruno Munari. Facendo propria la prospettiva del bambino, la visione del mondo cambia: cambiano la percezione delle dimensioni e i rapporti prospettici. Assumere il parametro bambino è un processo che muta il nostro assetto mentale nei confronti dei bambini e del mondo esterno.
Se si pensa allo spazio assumendo il parametro bambino non si può farlo se non in termini dinamici e relazionali, poiché la mente con cui interagisce è in evoluzione e si muove rapidamente.
Adottare il parametro bambino consente la reintegrazione dell’emotività rimossa, o addirittura scissa, e permette di ritrovare una visione più equilibrata della realtà sociale e dello strumento utile a governarla: la politica, che dovrebbe fungere da contenitore simbolico delle istanze emotive primarie. Quando questa funzione fallisce si aprono paurose brecce attraverso cui dilagano il conflitto e la guerra. Introdurre nel pensiero politico il parametro bambino significa andare oltre quella scissione delle emozioni e degli affetti che da Tucidide [cfr. Tucidide, La Guerra del Peloponneso, Garzanti] in poi è invocata come necessaria per operare scelte lucide e razionali per il bene della comunità. Assumere il parametro bambino come misura non significa dare libero sfogo alle istanze emotive primarie, ma comprenderle, avviando un processo di integrazione e trasformazione che porta ad avere una comprensione di sé e della realtà più ricca e articolata.
Esiste anche un modo critico di usare il parametro bambino e consiste nel riscontrare parallelismi tra i disagi patiti dai bambini nel corso di un percorso fisiologico che dovrebbe portarli via via a conquistare maggiori spazi di autonomia e i disagi patologici che interessano la collettività urbana.
Per spiegare cosa intende, Fregonese parte dal racconto dell’esperienza che deriva dal suo lavoro nelle scuole, con quelli che lui stesso definisce i ‘nostri’ bambini e ragazzi. Durante il percorso, il gruppo di Spaziopensiero ha avuto l’impressione che ai bambini fosse sottratta la possibilità di simbolizzare l’ambiente in cui vivono, pur essendo essi (e a volte proprio per questo) messi al centro dell’attenzione protettiva degli adulti.
Alcuni dei loro tentativi si scontrano con un impedimento fisico: l’autonomia di movimento tra casa e scuola, per esempio, è frustrata per molti anni, ma, insieme a essa, è frenata la possibilità di simbolizzare lo spazio che connette le due realtà in cui il bambino vive. Usando un concetto espresso da Marco Romano, che descrive la correlazione tra emarginazione sociale ed emarginazione simbolica [cfr. Romano, 2008, pp.105 seg.], si potrebbe dire che rispetto alla possibilità di simbolizzare lo spazio urbano i bambini milanesi tendono a essere emarginati. Secondo Marco Romano la città europea, la città in cui viviamo, è una città leggibile sia nel suo sviluppo storico sia in quello estetico sia in quello antropologico. I termini simbolici, ‘le parole’, sono costituite dai manufatti architettonici e urbanistici, dal modo in cui sono disposti in relazione tra loro. Essi sono simbolici e non meramente funzionali perché al di là della loro funzione attuale conservano il significato simbolico che è stato loro attribuito in origine da parte di un gruppo di cittadini o dall’intera collettività, significanti di uno specifico tema collettivo (per esempio l’ἀγορά nella città greca antica o il palazzo del principe nel Rinascimento sono elementi urbanistico-architettonici che veicolano il tema collettivo della partecipazione nel primo caso o della sottomissione ai valori dell’ordine e della ἀρετή nel secondo).
Con il tempo cambiano i temi collettivi nei quali l’individuo si identifica o nei quali trova quel significato simbolico che veicola la sua identità di cittadino, che gli permette di iscriversi a quel particolare universo simbolico collettivo chiamato città. La città è prima di tutto un universo architettonico e urbanistico composto di manufatti che assurgono o meno a significanti in relazione tra loro come termini di una narrazione specifica di ciascuna città.
Quali sono, a questo punto, i manufatti urbani che veicolano i temi collettivi dei bambini, la loro identità di cittadini? Sono forse le architetture residenziali, la scuola, il parco, la via di casa, la stazione dei treni? E quali sono gli strumenti grazie ai quali i bambini attribuiscono un significato simbolico agli elementi costitutivi del loro spazio di vita?
Un altro tentativo di simbolizzare gli spazi da parte dei bambini e dei ragazzi è costituito dal graffitismo urbano. Ecco, però, che spesso da parte degli adulti quest’azione è svuotata di senso ancora prima di essere compresa. Su questo tema i grandi fanno fronte compatto, ideologicamente da destra a sinistra, dimostrando così come esso rappresenti la manifestazione di un conflitto primario e insanabile che oppone i bambini agli adulti nella contesa degli spazi urbani, reali e immaginari [cfr. Ward, 1978].
Diversamente bisognerebbe agire progettualmente per restituire a bambini e adulti la possibilità di abitare la città nel senso in cui lo intende Christian Norberg-Schulz, per il quale l’uomo abita un luogo quando riesce a orientarsi e a identificarsi con esso.
L’approccio interdisciplinare alla progettazione degli spazi per i bambini in città, dove architettura, pedagogia, urbanistica, sociologia e psicoanalisi si incontrano e si uniscono in un lavoro di tipo partecipativo, non è una prassi diffusa. Esistono, in letteratura, alcune descrizioni di esperienze di progettazione partecipata che tendono a enfatizzare la fecondità dell’interazione dei diversi soggetti implicati nella progettazione di servizi per minori.
Spesso, in passato, il pretesto della progettazione di servizi e istituzioni per l’infanzia è servito per tradurre in opera particolari visioni del mondo infantile e dei suoi bisogni, prevalentemente interpretati dal punto di vista adulto. Il problema è che le esigenze degli adulti non sempre coincidono con quelle dei bambini, non sempre è una naturale convergenza di bisogni e un comune progetto per soddisfarli, ma un insieme di bisogni che a volte si ignorano a vicenda o entrano in conflitto tra loro.
Nel tempo si è compreso che il compromesso tra i bisogni degli adulti e quelli dei bambini può trasformarsi in un’occasione di crescita e sviluppo per il bambino, e di facilitazione del compito educativo per gli adulti, se l’attenzione è focalizzata sul bambino.
Già negli anni ‘70/’80 si era compreso come fosse possibile coniugare un’azione vasta e profonda di risanamento da farsi alla luce del sole, con la volontà politica di cominciare dal bambino a difendere la qualità della vita [cfr. Lodi, 1977].
Questo approccio ha portato alla conclusione che assumendo il punto di vista del bambino, assumendo il parametro bambino, si producono, o si potrebbero produrre, vantaggi godibili da tutti gli altri membri della comunità. Un aspetto critico di questo approccio riguarda il livello di onestà con cui ci si pone nei confronti dei bambini. Nei passaggi che caratterizzano l’assunzione del parametro bambino nei processi di progettazione partecipata si è avvertita la presenza di alcuni pericoli, sempre in agguato, riguardo: – il rischio di manipolare i bambini, le loro manifestazioni di interesse, i loro contributi, le loro opposizioni; – il pericolo di sfruttare la loro creatività, la loro capacità ideativa e immaginativa; – il pericolo di colonizzare il loro immaginario; – il pericolo di sedurli; – il pericolo di illuderli e deluderli. Nonostante la loro volontà fosse quella di dar voce ai bambini, garantendo loro alcuni diritti fondamentali come il diritto d’espressione e il diritto di cittadinanza, il diritto al benessere e alla fruibilità dello spazio urbano; il diritto alla partecipazione democratica alla vita collettiva.
All’interno di questo quadro, Spaziopensiero ha provato a ideare un percorso progettuale finalizzato alla creazione di servizi per l’infanzia e per la riqualificazione di spazi urbani utilizzabili anche dai bambini (scuole, parchi, piazze, vie, interi quartieri). Realizzare un tale progetto è un’azione ‘politica’ appropriata quando coinvolge i diversi soggetti della comunità cui è destinato. Secondo il principio di applicazione del parametro bambino, bisogna comprendere anche i bambini tra i cittadini che hanno diritto non solo di utilizzare in modo paritario le risorse messe a disposizione, ma anche di partecipare alla fase progettuale. Questo principio dovrebbe essere applicato a ogni tipo di progetto destinato ai cittadini e imprescindibilmente ai progetti destinati ai bambini.
Un esempio di progettazione partecipata potrebbe riguardare la costruzione o la ristrutturazione di una scuola: l’ambiente in cui si realizza l’apprendimento e il modo in cui è strutturato agisce come una cornice, nella quale i bambini costruiscono la loro individuale teoria del tempo e dello spazio, delle relazioni tra persone e cose e del mondo in generale. È importante che lo spazio conservi caratteristiche di riconoscibilità e accoglienza indispensabili perché bambini e adulti possano orientarsi e identificarsi in esso. Per realizzare una nuova scuola a partire dal bambino, si dovrebbe necessariamente partire dal bambino, assumendolo come misura della nuova realtà che si va a costruire, coinvolgendolo nel processo progettuale stesso. Ancor meglio, sarebbe concepire la scuola stessa come un progetto non concluso, dove i bambini, abitandola, possano modellarla secondo le loro esigenze.
Assumere il parametro bambino richiede all’adulto un cambio di passo, una revisione, giorno per giorno, dei progetti, delle strategie, degli obiettivi educativi, una ri-modulazione dei propri programmi nel rispetto del bambino considerato come soggetto attivo; riducendo via via le situazioni e i contesti in cui si chiede al bambino un adattamento passivo.
Assumere il parametro bambino implica un’attenzione non solo riguardo la qualità della vita del bambino (e nostra) presente ma, anche quella futura.
Progettando spazi e servizi, scuole e ambienti per i bambini si progetta uno stile di vita. Le scelte fatte oggi in materia di progettazione architettonica e urbanistica continueranno ad avere ricadute anche quando noi adulti (di una certa età) non ci saremo. Per esempio, costruire una scuola assumendo il parametro bambino, implica mettere in discussione la scelta di ogni elemento della struttura, degli impianti, dell’architettura e dell’arredamento, in favore di una concezione che segue i principi di compatibilità ecologica, economica e pedagogica. Operare in questo senso diviene l’occasione per passare da una generica preoccupazione riguardo la qualità della vita a una fattiva modificazione della realtà, per gli anni a venire.
La capacità di immaginarsi membri di una comunità che non si proietta nel futuro in modo avido, onnipotente o in modo opportunistico e irresponsabile, per evitare le proprie angosce attuali, ma che ricerca un nuovo equilibrio dove la crescita dei bambini sia garantita da una decrescita dei livelli di sfruttamento indiscriminato delle risorse e dell’ambiente, passa attraverso l’assunzione individuale e collettiva del parametro bambino.
Ed è proprio a partire dalle considerazioni fatte fino a questo punto, che si è cercato di attuare quel cambio di paradigma che sta trasformando i tradizionali Consigli dei Bambini.
I bambini non sono più stati chiamati a immaginare un’idilliaca città senza alcuna connessione con quella che è la progettazione reale, ricevendo in risposta, e quando andava bene, dei cosiddetti contentini, ma sono stati chiamati ad esprimere un giudizio sui progetti urbanistici dei quartieri in cui abitano, quelli esistenti su cui anche le giunte degli adulti si confrontano e prendono decisioni.
Ne è un esempio la proposta di intervento fatta dai più piccoli su un progetto di riqualificazione di una piazza di un parcheggio, antistante alla chiesa di Santa Rita a Milano.
In uno dei Consigli municipali, il Comune di Milano ha fornito indicazioni e planimetrie, e i bambini hanno ragionato su diverse possibilità di ri-adattamento e intervento sullo spazio.
Moltissime idee hanno preso voce, tra cui quella dell’inserimento di una fontanella.
Spesso molte di queste si sono rivelate irrealizzabili, per una questione di disponibilità monetaria o di complessità realizzativa: difficoltà che sono sempre state spiegate e giustificate ai più piccoli.
La cosa che vale la pena sottolineare, però, è proprio come da questi limiti, così ben compresi dai bambini, sia nata una proposta del tutto brillante e praticabile, ovvero quella dell’inserimento di una segnaletica che indicasse la fontanella più vicina alla piazza, il parco più comodo per andare a giocare, e così via. Un’idea che si è rivelata geniale, a cui forse gli adulti non avrebbero mai pensato, ma che ha preso forma grazie all’intervento della mente dei bambini e all’ascolto delle loro necessità.
Un esempio che, oltre che a dar prova di quanto poco spesso siano utopici i bisogni infantili (anzi, al contrario, esplica perfettamente come questi siano fondati e determinati) può andare concretamente a modificare un luogo, rendendolo più vivibile e più funzionale per tutti i cittadini.
È questo uno dei tanti esempi dell’applicazione del parametro bambino di cui abbiamo appena parlato, e a pensarci davvero, ci si rende conto di quanto questo si riveli, oltre che mai banale, uno strumento incredibilmente prezioso per la collettività e per le nostre città.