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Più manifesto di così…
Intervista a Teresa Sdralevich
Idee chiare e confuse
Articolo a cura di Sara Leghissa
e un po’ di cose curiose che abbiamo selezionato su internet!
“La Sirenetta” è tra i film d’animazione della Disney più noti, tanto che anche chi non l’avesse mai visto sarebbe in grado di dipingere tra i suoi pensieri un’immagine fedele della protagonista: Ariel, con i suoi capelli rossi perennemente mossi dalla corrente del mare, il sorriso fiducioso e l’aria sognante, è la giovane sirena incuriosita da ciò che accade in superficie, disposta a tutto pur di incontrare la vita che scorre al di sopra e al di fuori del suo mondo. Ribelle, disobbediente e testarda, non accetta il divieto che la condannerebbe a non emergere mai dal pelo dell’acqua e, infrangendo le regole imposte dal padre, non fa che risalire gli abissi fino al punto in cui l’azzurro del mare diventa il colore del cielo. Così facendo, conosce un principe, se ne innamora e dà inizio ai suoi guai, scatenando la preoccupazione di amici e consiglieri, che si impegnano per farla ragionare.
Al fine di suonare più convincente, il tentativo di dissuasione assume la forma di una canzone: il granchio Sebastian chiama a raccolta un’intera banda di creature marine per intonare la sua indubitabile verità, secondo cui nessun luogo è sicuro e meraviglioso come quello che da sempre fa da casa a lui e alla giovane sirena, e questo basta a comprendere che la scelta migliore sia restare “in fondo al mar”.
Il lieto fine del film sarà sufficiente a dimostrare che Sebastian aveva esagerato. D’altra parte, se fosse giunto alle orecchie dell’analoga ma più sventurata principessa narrata dalla penna di Andersen, il suggerimento musicale si sarebbe rivelato decisamente prezioso.
In effetti, come si fa a stabilire se sia una buona idea avventurarsi in superficie? Abbandonare le oscure e conosciute profondità marine è un atto coraggioso o temerario? Resistere alla tentazione di esplorare terre ignote e luminose è una mossa pavida o prudente? Nel caso di una favola (e non solo), nulla se non l’arbitraria conclusione saprà dare, a posteriori, una risposta.
In ogni caso, per quanto ignara delle conseguenze, in tutte le sue versioni la Sirenetta decide di venire a galla. Ciò che c’è là sotto, sul fondale, non le basta più, perché, insieme a una tana sicura, vi giacciono sogni inespressi, desideri impauriti, idee che hanno imparato a definirsi azzardate. Quella che un tempo era casa adesso è una gabbia, in cui l’abitudine stordisce i pensieri: confusi, vorrebbero darsi un tono e mettersi in ordine, ma non sanno più se ne vale la pena. Ecco perché è necessario squarciare la superficie e mostrarsi, prima di tutto a se stessa sullo specchio dell’acqua, e poi alla nuova realtà che la circonda.
Giunta sulla terraferma, Ariel non può rivelarsi perché priva di voce, data in pegno alla perfida Strega del Mare. Ci sono pensieri che vorrebbe gridare, ma non ci riesce e si sente perduta. Forse, però, in una storia diversa, avrebbe potuto scriverli: solcando la sabbia con un ramoscello, non avrebbe dato nell’occhio, ma avrebbe reso visibile ciò che le sarebbe piaciuto cantare.
Più manifesto di così…
Intervista a Teresa Sdralevich
Come si fa a mostrare un pensiero o un’idea che, seppur pronti a venire allo scoperto, hanno un po’ di paura, si vergognano o non si sentono all’altezza di farlo? C’è chi, dopo profondi respiri, affida alla voce il compito di far sentire la propria opinione. Ma se, oltre che udibile, un pensiero sapesse rendersi visibile?
Idee chiare e confuse
Articolo a cura di Sara Leghissa
Alcuni pensieri se ne stanno rintanati dentro di noi: lì lì per essere riconosciuti, aspettano l’occasione giusta per esprimersi. E poi, d’un tratto, si sentono rassicurati: trovando chi ha pazienza di ascoltarli, si lasciano mettere in ordine e raccontare a chi non li avrebbe mai immaginati, ma che ora è disposto a notarli, manifesti nella confusione.
Un poster non è solo un elemento decorativo volto a rallegrare mura che altrimenti resterebbero anonime. Un poster è un messaggio racchiuso tra i confini di un foglio leggermente più spesso del solito: un esercizio superficiale di forte approfondimento.
Può un pezzo di carta cambiare il mondo? È risaputo che saper leggere e scrivere trasformi radicalmente la vita di ogni individuo, ma in che modo la collettività può beneficiare di parole scritte, illustrate e affisse nello spazio pubblico? A volte, non c’è grido più forte di un manifesto: non c’è modo più efficace di implorare e imporre un cambiamento condiviso.
La strada è uno spazio pubblico, che tutti attraversiamo continuamente. Quando lo facciamo, la nostra testa è tra le nuvole, altre volte è più attenta a ciò che ci circonda. Vi è mai capitato di osservare un punto preciso del vostro percorso e desiderare di leggervi una vostra idea? In che modo la strada potrebbe diventare la superficie di un libro scritto da voi e destinato a chi vi posa passi e occhi?