Ciao! Questa è FarFarFare, la newsletter che ogni mese sceglie un tema e di settimana in settimana lo esplora attraverso laboratori, attività e tanti materiali che potrai usare a tuo piacimento.
Da brezza a tempesta
laboratorio con Luci su Marte
Pianta dei luoghi
laboratorio a cura di Camilla Marani
Briciole di pane
quadrografia a cura di Nicola Ricciardi
e un po’ di cose curiose che abbiamo selezionato su internet!
Qual è il colore della natura?
Se chiudiamo gli occhi, probabilmente il Verde si imporrà come risposta. Ricorderà ai nostri pensieri che sono sue le sfumature dei prati e le tinte delle foglie che rivestono i rami di alberi e cespugli. Si vanterà di trasformare in macchie di colore i boschi e le foreste, fitti e intricati nei loro singoli elementi e comunque distinguibili come collettività, e sarà orgoglioso di stendere il suo manto su isole e montagne. Al Blu risponderà che il mare è verde-acqua e, se l’Azzurro del cielo proverà a farsi avanti in nome della sua vastità, rivendicherà la straordinarietà dell’essere una striscia nell’arcobaleno o di risplendere tra le onde di luce di un’aurora boreale.
Aprendo gli occhi potremmo ridimensionare un Verde tanto prepotente: se il nostro sguardo fosse abbastanza paziente e desideroso di esplorare, la natura si mostrerebbe nell’infinita varietà dei suoi colori e ogni suo dettaglio si vedrebbe riconosciuta la giusta dignità.
Solo il vento si sentirebbe escluso da questa esibizione di colori: a causa della sua trasparenza non saprebbe come gareggiare. Così, per attirare l’attenzione su di sé, ha escogitato altre strategie. Invisibile, attraversa lo spazio, lo pervade e comincia a danzare invitando tutto ciò che incontra a unirsi a lui. Soffia delicatamente, presentandosi come una carezza, o, appena più deciso, vola sopra superfici liquide e le increspa. Esitante, solleva pesi leggeri come piume. Intraprendente, scompiglia terra e sabbia e, coraggioso, si arrischia in piroette vorticose e irresistibili, capaci di coinvolgere anche chi non vorrebbe saperne di ballare. Fischia, ulula e batte il ritmo facendo sbattere porte e finestre. Incolore, si fa sentire sulla pelle e nelle orecchie.
Un solo colore non basta a raccontare la natura, così come non bastano due occhi a percepirla. È necessario un corpo che la esplori e, muovendo un passo dopo l’altro, accetti di danzare.
Da brezza a tempesta
laboratorio con Luci su Marte
Abbiamo sempre avuto numerose idee sulla natura, tanto che nessuno farebbe scena muta se gli venisse chiesto di darne una definizione. Sappiamo, però, veramente che cos’è? Oggi, forse, è tempo di assumere un punto di vista diverso e acquisire una nuova consapevolezza nei confronti della natura.
Pianta dei luoghi
a cura di Camilla Marani
Se facciamo parte della natura, è vero anche che ne abbiamo una tutta nostra? Forse, in questo caso, la parola è la stessa, ma il significato è diverso. Ciò che è certo è che “dentro” ciascuno di noi c’è qualcosa di unico, che va esplorato, conosciuto e, se si vuole, raccontato. Questo laboratorio permette di farlo giocando.
Briciole di pane
quadrografia a cura di Nicola Ricciardi
Che ruolo può avere la natura a teatro? Può dare forma a una scenografia, ma essere essa stessa l’oggetto del racconto che si vuole far vivere sulla scena: protagonista, personaggio tra tanti, d’ispirazione alla sceneggiatura.
Il vento si rende visibile attraverso gli elementi che danzano con lui. Allo stesso modo, riesce a farsi ascoltare se il suo soffio attraversa interstizi o sfiora superfici che risuonano al suo passaggio. Il più delle volte questi incontri sono casuali, ma può capitare che siano immaginati e predisposti strumenti musicali che il vento stesso possa suonare. È il caso dell’arpa eolica, le cui corde, vibrando al tocco del vento, permettono di riconoscerne il suono. Ascoltata con attenzione, la voce del vento può ricordare una melodia ed essere ritrovata in alcuni brani musicali, come è accaduto a Schumann nell’udire l’Étude op.25 n.1 di Chopin. Del resto, se ci impegnassimo a dare voce alla natura, non sapremmo riconoscerla più facilmente e sentirla molto più vicina?
Ragionando insieme ai bambini sulla nostra capacità di comunicare attraverso le parole, spesso e volentieri si arriva a formulare l’ipotesi che anche gli animali, grazie ai loro versi, sappiano parlare. Ci si interroga sull’adeguatezza di questa parola, si propende per l’idea che tra gli animali della stessa specie ci sia un’efficace comunicazione e si rimane delusi di fronte all’evidenza che non ci sia una fedele traduzione che sappia ricondurre un qualunque verso animale a una parola umana. Insomma, la possibilità di conversare tra specie diverse sembra un sogno irrealizzabile. Eppure, come racconta questo articolo del National Geographic, ci sono scienziati che hanno deciso di non smettere di sperare.
Il modo migliore per conoscere la natura è immergersi in essa, fondersi con lei, ricordarsi che siamo un tutt’uno, percepirla e abbandonarsi alle sensazioni che suscita in noi. È possibile, però, raccontarla a modo nostro senza che questo significhi tradirla? Si possono usare le parole per mostrare la natura o, anziché chiarire e avvicinare, si rischia unicamente di erigere barriere? Esistono poesie – piccole, essenziali – nate apposta per essere fedeli alla natura: sono gli haiku giapponesi, dove le parole sono il riflesso spontaneo e inevitabile di un’esplorazione che si lascia guidare da ciò che percepisce. È un buon esercizio, che vale la pena tentare.