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Ciao! Questa è FarFarFare, la newsletter che ogni mese sceglie un tema e di settimana in settimana lo esplora attraverso laboratori, attività e tanti materiali che potrai usare a tuo piacimento. 

Scritto, letto

Intervista aIrene D’Intino (Biancoenero Edizioni)

Tipografie

Laboratorio a cura di Elena Turetti

Disegni di carattere

Laboratorio a cura di Yocci

e un po’ di cose curiose che abbiamo selezionato su internet!

Imparare a scrivere è un’esperienza elettrizzante e faticosa.

Le prime volte in cui si impugna una matita per tracciare sul foglio caratteri leggibili e combinabili in parole si ha la sensazione di avvicinarsi un po’ di più al mondo dei grandi, così misterioso e straordinariamente capace. È una conquista importante, grazie alla quale si può affermare con soddisfazione di essere cresciuti, anche se solo più tardi, e non sempre con la giusta consapevolezza, si comprenderà l’effettiva portata di quel nuovo sapere.

In effetti, all’inizio, l’entusiasmo nel vedersi autori di lettere, sillabe e parole scritte rischia di mescolarsi allo sgomento di non riuscire a disegnare il segno nel modo corretto: la pancia non è abbastanza gonfia, la stanghetta non è abbastanza dritta, l’intera forma è rovesciata e guarda indietro anziché avanti. In quei primi momenti l’attenzione è quasi del tutto assorbita dall’aspetto di ogni lettera, che dovrà essere finemente riprodotto per essere riconoscibile secondo i parametri delle nostre convenzioni. E proprio quando si crede di essere riusciti a raggiungere un livello accettabile, fa la sua comparsa un altro ostacolo, che con la sua eleganza si permette di dirsi indispensabile: il corsivo, regale e vanitoso, si presenta con la garanzia di dare autorevolezza a qualunque forma scritta e convince a lasciarsi disegnare, spocchioso nel pretendere fronzoli, riccioli e occhielli. Così, com’era stato per lo stampatello, si ricomincia a riempire pagine e pagine di lettere che, una dopo l’altra, non ambiscono ad assumere alcun significato, ma sperano di avvicinarsi a quell’ideale di bellezza a cui, da sempre, aspira ogni grafia.

Forse, un’esperienza così drammatica non è comune a tutti e ammetto che la mia descrizione possa essere viziata dal ricordo – molto probabilmente ingigantito rispetto alla realtà dei fatti – di un intero periodo di vacanze natalizie passato a disegnare f in corsivo minuscolo. La mia mano sinistra si rifiutava di tracciarle: la doppia pancia che doveva cavalcare la riga lasciando lo spazio per quell’insulso baffetto esasperava le mie insopportabili manie di perfezione. Solo la mia nonna riuscì a farmi ragionare: «Fa’ solo la pancia in alto, il baffetto e va’ giù dritta: anche questa è una f in corsivo» mi disse col suo accento livornese, sufficiente di per sé a tranquillizzarmi e a darmi lo slancio per tornare a disegnare anche le altre lettere e, di conseguenza, la libertà di scrivere.

Le lettere scritte, siano in stampatello o in corsivo, in maiuscolo o in minuscolo, hanno una forma precisa, ma questo non significa che non possano avere una loro personalità: spigoloso o dolce, semplice o arzigogolato, proiettato nel futuro o ispirato al passato, generoso o compiaciuto, il loro aspetto sarà il carattere riflesso di chi scrive. Una parola, stampata o disegnata, sarà lo specchio di chi avrà individuato, tra tanti, il proprio tipo e avrà concesso alle sue mani un pizzico di libertà e interpretazione. Come Crictor, serpente buono e sinuoso, che con la sua curiosità e il suo impegno è riuscito a fare di se stesso un segno scritto.

Scritto, letto

Intervista a Irene D’Intino (Biancoenero Edizioni)

La forma scritta delle parole, rispetto all’oralità, risulta visibile e, se la seconda si rivolge all’udito, la prima è oggetto della vista. Insomma, per una mano che scrive, solitamente, ci sono due occhi che leggono. Ma quanto questi, nella loro varietà, sono tenuti in considerazione da chi scrive?

Laboratorio

Tipografie

Laboratorio a cura di Elena Turetti

Un percorso a tappe in cui la parola è una cosa da osservare, prendere in mano e costruire. A partire dalle più piccole tracce fino alle lettere che la compongono, una parola prende forma e, al contempo, si fa messaggio. 

Disegni di carattere

Laboratorio a cura di Yocci

Viaggiando per il mondo, ma anche stando seduti al proprio banco nella scuola in cui si va tutti i giorni, potrebbe capitare di vedere un foglio bianco con su scritti dei simboli che non somigliano affatto alle lettere a cui siamo abituati. Quante forme può avere l’alfabeto?

  Qual è il vostro font preferito? Qual è il carattere che preferite utilizzare quando scrivete qualcosa al computer? È sempre lo stesso o cambia a seconda del pubblico e del contesto a cui è destinato? Decidere quale aspetto avranno le lettere digitali che renderanno visibili le vostre parole non è affatto una mossa banale: c’è chi, come il noto regista Woody Allen, ha fatto di questa scelta la propria firma.

Le lettere che leggiamo abitualmente non sono l’unico modo in cui un alfabeto può manifestarsi agli occhi. In tutto il mondo esistono caratteri dalla forma diversa; nel corso del tempo i segni sono cambiati, si sono fatti più astratti e alcuni sono scomparsi. Tra i tipi di scrittura che sembravano smarriti, obsoleti e, di conseguenza, indecifrabili c’erano anche i geroglifici egizi. Questo, però, solo finché non è stata trovata la Stele di Rosetta

L’alfabeto, nella sua forma scritta, ha sempre avuto a che fare con l’idea di bellezza. Che fosse l’opera di una mano libera o l’ideazione di caratteri stampati, la storia della scrittura ha da sempre e in tutto il mondo mostrato come calligrafia e tipografia perseguissero, in tutte le loro sfaccettature, ordine e armonia